Pierre Notte al Sala Uno. Un'incomprensibile inclinazione per la morte

Articolo di: 
Giuseppe Talarico
Caterina Misasi

Lo spettacolo Coltelli Nella Schiena, in programmazione al Teatro Sala Uno di Roma fino all’11 aprile 2010, scritto dal drammaturgo francese Pierre Notte con la regia di Reza Keradman, è pervaso dai grandi temi e dalle suggestioni culturali che hanno segnato la corrente letteraria dell’esistenzialismo e appare fortemente influenzato dalla psicanalisi.

Proprio un grande autore della cultura Italiana come Giuseppe Prezzolini, fondatore delle riviste La Voce e La Cerva, in un suo indimenticabile scritto sostenne che se Freud ha esercitato, al di là di ogni dubbio, una grande influenza sui grandi letterati del novecento da Proust a Svevo, allora occorre considerarlo il più grande scrittore del secolo scorso. In questo dramma, la cui forma stilistica è moderna per come la vicenda esistenziale è rappresentata e raccontata, sulla scena compaiono personaggi che sperimentano e provano nella loro intima coscienza l’insensatezza della vita ed una inquietudine dolorosa, acuita dal confronto con la noia ed il vuoto delle loro esistenze anonime e smarrite. Nella parte iniziale della pièce, una voce collocata ai margini del palcoscenico, annuncia che i personaggi principali del dramma si trovano nella loro abitazione.

La moglie, madre della giovane protagonista Maria, invita il marito a non turbarla con le sue inutili e insopportabili parole, pronunciate con enfasi eccessiva. Poi, in presenza della figlia e del marito, dichiara di non voler essere disturbata, poiché è perennemente sopraffatta dall’ansia, che le provoca angoscia e dolore. La figlia, Maria, splendidamente interpretata da Caterina Misasi, attrice giovane e molto brava, a scuola assume un atteggiamento ostile verso la sua insegnante. Alla sua insegnante che le domanda cosa vuole fare da grande, Maria, con un tono volutamente insolente ed in segno di sfida verso la sua autorità, replica che desidera conoscere il colore delle sue mutande. La professoressa, indignata, si rivolge alla preside della scuola, perché la sua allieva, ribelle e maleducata, sia punita.

In questa prima parte del dramma viene in modo straordinario descritta la personalità della giovane Maria, che incarna un disagio esistenziale, sia nella sua famiglia sia nell’ambito della scuola. La madre di Maria, sgomenta ed addolorata, dopo questo increscioso episodio, scopre in preda allo sconcerto che sua figlia vuole lavorare in un Casello autostradale, per osservare il movimento ininterrotto delle persone. Per questa incomprensibile inclinazione della figlia, prova un’immensa sofferenza, aggravata ed accentuata dai continui attacchi di ansia, di cui parla con il suo medico di fiducia e con la sua migliore amica.

Maria assume, nel dramma di Pierre Notte, la dimensione di un personaggio simbolico, che raffigura il disagio umano dinanzi alla civiltà, su cui tanto ha scritto Freud. Oltre a lei, gli altri personaggi della pièce appaiono angosciati, disperati ed in preda all’alienazione provocata dallo smarrimento interiore. La madre di Maria, inconsolabile e sconfortata, si interroga drammaticamente sul senso della maternità, chiedendosi per quale ragione i figli, che pure ricevono tanto amore dai genitori, spesso si rivelano incapaci di corrispondere alle loro legittime aspettative. Maria, incapace di sopportare il vuoto esistenziale che le impedisce di cogliere la bellezza della vita umana, si taglia le braccia, gesto terribile che esprime il suo male di vivere.

In seguito, alla ricerca di una possibile salvezza, parte e si allontana dalla sua famiglia, suscitando lo stupore nell’animo dei suoi genitori. Lavora come cassiera, per un periodo della sua vita, su di un casello autostradale. In questo periodo ha un incontro con un ragazzo molto sensibile, con cui non riesce, pur desiderandolo ardentemente, ad avere una compiuta storia d’amore. Questa scena dello spettacolo, in cui il dialogo tra i due giovani è appena accennato, poiché la parte interiore del loro animo prevale su di una vera ed autentica comunicazione, per altro sterile ed infeconda sul piano esistenziale, è la più bella dal punto di vista letterario dell’intero dramma. Maria, senza nessuna gioia nel cuore, oramai lontana dalla sua famiglia, parte per raggiungere la Norvegia. Durante il viaggio sul treno dei rimorsi, che poi simbolicamente diviene il treno del rimosso in senso psicanalitico, Maria ascolta un dialogo intellettuale sul suicidio di Ofelia nel grande testo di Shakespeare, sulla fuga di Nora dal matrimonio in Casa di Bambola di Ibsen, su Medea che nella tragedia di Euripide uccide i suoi figli, sul Disprezzo di Moravia libro nel quale viene rappresentata l’infelicità coniugale, testi in cui riecheggiano temi che sono al centro del dramma di Pierre Notte.

Maria, sopraffatta dall’angoscia, tema esistenzialista per eccellenza, si uccide, perché non sopporta la miseria della sua vita, dominata dal vuoto e dalla noia. Prima di morire suicida, pronuncia delle frasi memorabili e di straziante bellezza. Intanto il suo mancato fidanzato, infelice e prigioniero di una irrimediabile disperazione esistenziale, si ferisce ed in seguito muore. Nella parte finale del dramma, è commovente la scena delle due donne, madri inconsolabili per la perdita dei rispettivi figli, che parlano tra loro, coltivando i ricordi legati alla vita vissuta insieme con i figli,  prima che la tragedia colpisse le loro famiglie. Dei due figli morti rimane la stanza vuota nelle loro case, in cui aleggia l’ombra di due giovane persone, morte a causa dello smarrimento esistenziale, poiché non sono riuscite a comprendere il valore della vita umana. L’epilogo della pièce è per molti versi sorprendente. In una scena malinconica e poetica, Maria parla con una donna che simboleggia la Morte, alla quale confessa che non avrebbe voluto nascere e venire al mondo, poiché non ha capito il valore della vita umana e non crede che le persone durante l’esistenza terrena possano essere felici.

In una altra scena compare il grande drammaturgo Ibsen, il quale, oramai morente, parla dell’ultimo testo teatrale che ha scritto, il cui titolo è Quando noi morti ci destiamo. Gli viene chiesto quale immagine della morte gli uomini dovrebbero avere, ma lui ovviamente non sa cosa rispondere, visto che siamo ai confini dell’indicibile e dell’ignoto inafferrabile. Con questo omaggio al grande drammaturgo, si chiude la pièce. Questo dramma, che pure possiede un notevole spessore letterario e filosofico, è intriso di molti elementi simbolici, la cui sovrabbondanza rende in alcune parti confusa e poco chiara la descrizione e la rappresentazione della vicenda esistenziale. Tuttavia, è innegabile la profondità di Pierre Notte come drammaturgo, capace di scavare nel vuoto delle esistenze anonime del nostro tempo, in cui trionfa il nichilismo e si assiste all’eclisse di ogni forma di vita spirituale. Gli interpreti di questo dramma sono bravi e recitano i loro ruoli con grande intensità e grande rigore.

Pubblicato in: 
GN12 Anno II 18 aprile 2010
Scheda
Titolo completo: 

I coltelli nella schiena, le ali nel muso
di Pierre Notte
Nominato miglior autore al Premio Molière

Dal 30 marzo all’11 aprile 2010
SALAUNO TEATRO Regia di  Reza Keradman
Con Reza  Keradman, Gerardo Mastrodomenico, Caterina Misasi , Monica Samassa, Giulia Weber e Daniel Terranegra