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Bellini di Mario Dal Bello. La sinfonia della Luce
Leggere i libri di Mario Dal Bello sui canti pittorici degli artisti svelati dalla tela, è come ascoltare i suoni silenti di Arvo Pärt, fra i cantori contemporanei dell'Infinito. Quest'ultima opera su I silenzi di Giovanni Bellini, silenzi facondi pubblicati dalla LEV (Libreria Editrice Vaticana) dopo le monografiche su Lotto, Raffaello, Tintoretto, El Greco ed altre delizie pittoriche, prefata autorevolmente da Francesco Buranelli, è un libro che si scorre come un sentiero interiore che, dai miti ed allegorie, conducono alle sue tenerissime Madonne con bambino i cui tratti avvolgono di dolcezza i nostri occhi.
Un excursus dal vivo che Mario Dal Bello, giornalista, professore di Storia dell'Arte presso l'Università Vaticana, ha condotto presso la Libreria Internazionale Paolo VI (accanto a Piazza di Spagna, Via di Propaganda 4) per la rassegna “I venerdì di Propaganada” l'11 dicembre scorso, partendo dalla profonda “cristianità” del pittore veneziano (1435/38 circa – 1516), cugino di Andrea Mantegna e definito da Albrecht Dürer “Il miglior pittore di tutti” (p.8 della Prefazione).
Non indifferente alle grandi figure di pittori del suo tempo, da Antonello da Messina fino a Piero della Francesca, e “senza essere indifferente ai giovani Giorgione, Tiziano e Sebastiano del Piombo” (p.9 dell'Introduzione “La porta dell'infinito”), Bellini si mostra molto autonomo nelle scelte, in particolare è noto l'episodio della richiesta di “opera mitologica” da parte di Isabella d'Este, che alfine si “contentò” di una Madonna e i Santi, poiché l'artista non dipingeva i temi su commissione, bensì li sceglieva in proprio, come fece per Francesco Gonzaga, che invece della veduta di Parigi, diede carte blanche al pittore per qualsiasi altra città.
Approfondiamo con l'autore Mario Dal Bello, alcuni quadri, a cominciare dal quadro della copertina, la Presentazione di Gesù al tempio (1470 circa), e conservato a Venezia, nel Museo della Fondazione Querini Stampalia: “Insieme al ritratto della Sacra Famiglia sulla sinistra, all'estrema destra vediamo un autoritratto di Bellini da giovane, fatto che spesso avveniva come per i ritratti dei committenti: in questa Sacra conversazione, di commissione ignota, che ritrae lo stesso soggetto di quello del Mantegna conservato a Berlino, ma che, come notiamo subito, espone colori stremamente morbidi, la delicatezza è profusa nei tratti in particolare di Maria, “dal volto purissimo” (p.45), dal quale s'effonde, come dall'insieme, un “clima di mistero” profondo, a lume di candela.”
Il topos della Pietà emerge in Bellini secondo varie rappresentazioni, tutte circonfuse di una profondità interiore: la Pietà conservata nella Pinacoteca di Brera (1470 c.) dipinta da giovane è ben diversa da quella, dipinta nel 1505, conservata a Venezia alla Galleria dell'Accademia: la prima rappresenta il lamento e la pietas universalis in un paesaggio colpito da un temporale, come se le lacrime per il Cristo si fossero materializzate nella natura compassionevole. La Pietà (p.80) del 1505 invece presenta un paesaggio primaverile che diffonde luce: nella stessa posa di quella di Michelangelo in San Pietro, la Madonna anziana carezza il figliolo col braccio penzoloni (indicativo della morte). La stessa luce sprigiona dalla Pala di San Zaccaria (p.82-83), a Venezia nell'omonima chiesa e dello stesso anno: qui la Sacra conversazione si svolge in una loggia che aumenta la prospettiva della Chiesa rappresentandone la cappella con gli absidi, e irrorando di ocra la figura di San Pietro, e Girolamo di un rosso fiammante, come se questi colori equivalessero a suoni di un divino concerto in cui le note toccano le vesti come sinfoniche trame di luce: estasi collettive in silente dialogo con l'altro.