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The Hunter. L'interpretazione mancata
The Hunter di Ralf Pitts è un film diverso dai soliti a cui si è abituati e che, a parer mio, manca dell’elemento maggiormente caro al regista: l’interpretazione. La trama s’incentra sulla triste vicenda di Alì Alavi (Ralf Pitts) il quale, uscito di prigione, decide di trovarsi un lavoro e di passare più tempo con sua moglie (Sara - Mitra Hajjar) e sua figlia (Saba Yaghoobi).
L’evolversi degli eventi, però, sfocia in tragedia quando, in uno scontro tra la polizia e i manifestanti, Sara rimane uccisa; la bambina, invece, scompare. A nulla servono le ricerche e le investigazioni della polizia che, in realtà fanno il minimo indispensabile per aiutare Alì. Solo dopo ‘estenuanti’ attese al commissariato il protagonista decide di farsi giustizia da solo.
L’esposizione della trama non è conclusa, ma ho ritenuto opportuno separare la struttura basilare della vicenda, da ciò che Pitts stesso chiama ‘interpretazione’: non solo una chiave di lettura, ma il tema centrale della pellicola determinato, in The Hunter, da un evento particolare.
Continuando: Alì ha una passione che lo distrae dal caos frenetico della città ovvero la caccia. Un giorno, mentre cerca sua figlia, decide di fermarsi su una collina molto alta per fare pratica con il suo fucile mirando a delle macchine. Prende di mira una volante della polizia e spara ai due agenti che vi sono all’interno. A tale episodio seguirà una caccia all’uomo che si concluderà soltanto alla fine del film.
Rileggendo con attenzione le ultime righe appena esposte si noterà come l’innesto iniziale della trama sia stato deviato: Pitts ha preferito concentrarsi sull’immagine di un uomo che, non avendo più nulla da perdere e stanco di non essere aiutato dalla polizia, cerca il modo di tornare in prigione (luogo familiare ad Alì in merito all’inizio dell’esposizione della trama del film) per omicidio. Da questo, infatti, nasce la mia perplessità in merito alla pellicola: Pitts afferma che ‘il protagonista è una bomba ad orologeria pronta ad esplodere e che, un giorno, mirando a casaccio spara a due poliziotti’; pur sforzandosi, è possibile ‘interpretare’ in altri modi il comportamento di Alì?
La frase di Pitts, in riferimento a The Hunter, la trovo più che mai inappropriata poichè il protagonista, pur non sapendo per quale motivo, è pur sempre un ex-carcerato; ciò, infatti, lascia supporre che Alì sia realmente un assassino che, scontata la pena, avesse deciso di cambiare vita; non avendo più, però, un solo singolo motivo per reintegrarsi nella società, la sua unica via di ‘fuga’ dal dolore sembra essere la prigione dove finirà i suoi giorni lontano dal caos del mondo.
Nonostante questa piccola ‘imprecisione’, tra concetto d’interpretazione e dati effettivi immessi nella pellicola, The Hunter pone la sua qualità nel contrasto col caos: insiste molto sul silenzio delle scene, inteso come il vuoto di Alì nel momento in cui perde la moglie e la figlia, ma, soprattutto, quando capisce che nessuno lo aiuterà; ad esternare la sensazione del protagonista interviene l’ambiente iraniano (‘osservato’ con abile maestria dal direttore della fotografia Mohammad Davudi): una realtà fredda e arida a metà tra il caos cittadino e il completo isolamento dei boschi di periferia.
In conclusione, la verità è che Rafi Pitts voleva raccontare semplicemente la storia di un cacciatore/assassino priva di qualsiasi chiave di lettura; purtroppo ciò non corrisponde a quanto rilasciato nelle sue dichiarazioni sull’importanza attribuita all’interpretazione come indice di curiosità dei suoi film.