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Nineteen Mantras al Parco della Musica. Il buio rosseggiante di Pradjapati
Le diciannove parole, ecco quello che sono i Mantra in indiano, che hanno composto lo spettacolo in anteprima assoluta il 10 e l'11 gennaio 2012 alla Sala Petrassi del Parco della Musica di Roma, a cura di Giorgio Barberio Corsetti insieme alle musiche di Riccardo Nova e la coreografia di Shantala Shivalingappa, sono il repertorio mitico che formula la religiosità indiana dei Veda, i libri sacri.
Musicisti indiani ed occidentali, quelli ben rappresentativi dell'ondata classica contemporanea che ha trovato una sua sede precipua al Parco della Musica con l'orchestra residente della Parco della Musica Contemporanea Ensemble, si sono divisi i due lati del palco, in una contrapposizione che poi è diventata simbiotica nell'accordo degli strumenti attraverso il suono, unico e ben amalgamato delle due parti.
I miti vedici partono dalla creazione degli dei, attraverso il primo creatore assoluto Pradjapati, nato a nuova vita in senso ciclico da un ventre ben rappresentato dal telo che sembra squarciarsi in un buio rosseggiante nella notte. Paride Blasuzzi, potentemente muscolare, si divincola dalla tela che gli dà forma per affrontare il neonato figlio che metamorfizza il fuoco, Agni, che dopo aver tentato di divorare suo padre, tenetrà di sedurre le mogli dei sapienti, Rshi. Sconfitto nell'impresa, riuscirà invece in quella di avvincere Svaha a sé, oppure lei piuttosto, nelle forme suadenti di Hema Sundari Vellaluru, lo attirerà tra le sue maglie femminili.
Questi primi episodi insieme al sesto sono formulati in modo chiaro e intellegibile sullo sfondo di uno spettacolo fortemente evocativo la cui caratura essenziale è non solo nel movimento scenico, ma nelle suggestive immagini a cura di Giorgio Barberio Corsetti, Massimo Troncanetti, Igor Renzetti e Francesco Esposito, curate in video e proiettate sugli oggetti a firma di Igor Renzetti, che sostanziano lo spettacolo per capacità immaginative e competenze tecniche. Alcuni altri episodi invece sono meno deducibili se non tramite lettura della presentazione della spettacolo a cura del critico Renato Bossa, che lo suddivide in nove quadri giungendo a quello conclusivo dedicato all'Occidente meccanico e propulsivo, oltreché ripetitivo nel suo viaggio senza scopo.
Una nota di merito particolare alla flessuosa capacità del Dr Mysore Manjunath al violino, che ha raggiunto apici di virtuosità compositamente elevati, ed a Fabio Bagnoli all'oboe per la PMCE, insieme ad un plauso unanime ai ballerini per un'incisiva performance che mi fa ricordare quella di Ileana Citaristi sulla stessa materia, una delle ballerine italiane perfettamente amalgamate in India fin dal 1979, con ballerini tutti indiani, alla Sala Casella della Filarmonica.