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Teatro Parioli. Sciascia e l'inafferrabile Sicilia misterica e mafiosa
Lo spettacolo Il giorno della civetta, tratto dal celebre libro di Leonardo Sciascia ed in scena al Teatro Parioli di Roma dal 23 febbraio al 4 marzo 2012, colpisce lo spettatore, che abbia letto il romanzo, per la cura con cui l’adattamento teatrale del testo, realizzato da Gaetano Aronica, è stato compiuto.
Lo spettacolo, la cui regia è stata affidata a Fabrizio Catalano, è fedele al testo di Sciascia, libro che si colloca tra i classici della letteratura Italiana del secondo Novecento, per avere svelato e descritto il fenomeno mafioso, cogliendone i caratteri storici ed insieme quelli antropologici.
Sciascia ebbe una frequentazione costante ed assidua con i grandi scrittori francesi, come Montaigne, Voltaire, Stendhal, Balzac, poiché da illuminista credeva che la ragione fosse capace di indagare qualsiasi fenomeno umano, quindi anche quello mafioso. All’inizio della rappresentazione, così come avviene nel libro, viene perpetrato un delitto in un paese della Sicilia profonda, l’uccisione di un imprenditore edile, Salvatore Colasberna, su cui avvia le indagini il Capitano Bellodi, personaggio interpretato con grande bravura e intensità da Sebastiano Somma.
Il capitano Bellodi è nato a Parma ed è un ex partigiano rimasto incantato dalla bellezza del paesaggio siciliano, ed all’inizio della sua inchiesta sull’omicidio di Colasberna constata quanto sia difficile ottenere la collaborazione dei cittadini, per scoprire la verità e ricostruire i fatti che hanno preceduto il delitto. Per superare il muro di omertà che ostacola le indagini - ed in questa parte dello spettacolo emerge la straordinaria capacità di osservazione di Sciascia sulla realtà eterna ed immutabile della Sicilia - il capitano Bellodi si rivolge ad un confidente dei carabinieri, designato con il soprannome di Parrineddu. Proprio da Parrineddu apprende Bellodi che dietro il delitto di Colasberna, in precedenza sfuggito per caso ad un altro attentato, c’è Pizzuco e qualche autorevole esponente della onorata società.
Ma mentre il capitano Bellodi si muove in un ambiente difficile e pieno di insidie, compare una donna, Rosa Nicolosi, che denuncia la scomparsa del marito, avvenuta lo stesso giorno in cui Colasberna è stato ucciso, coincidenza che sorprende ed insospettisce il capitano Bellodi. In questo spettacolo agli interrogatori che avvengono all’interno della caserma dei carabinieri, il luogo che simboleggia l’autorità della legge, si alternano, nella parte superiore della scena, i dialoghi tra un onorevole, eminente politico siciliano ed esponenti della mafia, quasi a voler evocare, con questo allestimento scenico, la natura misteriosa e sfuggente che occulta il potere della criminalità.
Questi dialoghi tra l’onorevole, che si preoccupa di ostacolare le indagini condotte dal capitano Bellodi, ed i mafiosi, indicano in modo efficace quanto profonda sia stata la connivenza tra il potere politico e la criminalità, per un lungo periodo della storia italiana. Interrogando la signora Nicolosi, in ansia per la sorte del marito scomparso, il capitano Bellodi viene a sapere che Paolo Nicolosi, il giorno in cui Colasberna venne ucciso, aveva riconosciuto, vicino alla sua abitazione, un uomo, noto con il nome di Zicchinetta.
Intanto il confidente della polizia Parrineddu viene ucciso in circostanze misteriose, anche se prima di morire offre altre indicazioni al capitano Bellodi, sostenendo che dietro il delitto Colasberna si intravvede la figura di Don Mariano Arena, uomo d’onore che aveva il controllo assoluto sulla gestione degli appalti. In questo spettacolo è sorprendente la capacità di rappresentare l’atmosfera ed il clima della società siciliana, almeno di una sua parte, che, come dichiara con amarezza e disincanto il Capitano Bellodi, diffida ed è indifferente verso la legge e la legalità, e prova un senso di estraneità verso lo stato percepito come una entità astratta e distante, crede nel valore della famiglia oltre i cui confini si sente perduta, sola e smarrita.
Ovviamente all’origine di questo atteggiamento verso lo stato da parte di alcuni siciliani vi sono, come ricordava Sciascia, cause storiche che affondano le loro radici in una storia millenaria. Alla signora Nicolsi, dopo che è stato trovato il corpo del marito ucciso per motivi incomprensibili, il Capitano Bellodi promette che riuscirà a scoprire la verità e ad individuare i responsabili del delitto. Il capitano Bellodi, senza temere nessuno e forte della sua autorità, decide di far arrestare Pizzuco, Zicchinetta, esecutore del delitto Colasberna, e Don Mariano Arena, personaggio interpretato con grande bravura da Orso Maria Guerrini. Con abilità il Capitano Bellodi ottiene la confessione di Zicchinetta. Tuttavia, proprio mentre le indagini stanno per avviarsi felicemente verso la conclusione e la scoperta della verità, compare in Caserma l’onorevole, per perorare la causa di Don Mariano Arena.
Conversando in un memorabile dialogo con il Capitano Bellomo, l’onorevole afferma di non avere compreso e capito dove il Potere risieda, confessando di ritenerlo per la sua intima essenza inafferrabile ed misterioso. In seguito, sottoponendo ad interrogatorio Don Mariano Arena, il Capitano Bellodi rimane colpito dalle dichiarazioni di questo uomo, che nega tutto, si rifiuta di spiegare l’origine dei suoi ingenti capitali, e con arroganza e impudenza dichiara di avere accordato la sua protezione a chiunque gliela abbia chiesta. Inoltre, sollecitato dal capitano a dare un giudizio su Parrineddu, lo definisce un Quaquaracquà. In questa parte dello spettacolo emerge la grande profondità dello sguardo di Sciascia, capace di scolpire il ritratto del capo mafia con una precisione e una chiarezza letteraria incomparabili.
Le indagini del Capitano Bellodi si riveleranno inutili, poiché verrà privilegiata la pista del delitto passionale ed accantonata quella legata al delitto politico mafioso. Alla fine, da uomo sconfitto dal potere, il Capitano Bellodi lascia la Sicilia, dichiarando alla signora Nicolosi di amare questa terra vendicativa e misteriosa. Alla fine dello spettacolo, mentre sulla scena comparivano in un luogo oscuro uomini irriconoscibili, è risuonata la voce registrata di Siascia, il quale sosteneva che in Sicilia non si crede che le idee possano governare il mondo e mutare il corso delle cose, tutto deve rimanere in eterno cristallizzato in un dominio esercitato da un potere che si è costituito nei secoli. Uno spettacolo indimenticabile.