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U-Theatre da Taiwan. In sincronismo con l'acqua
Il fluire dell'acqua risveglia dal profondo le nostre vibrazioni, permettendogli di scorrere in un sincronismo che non distingue tra la vita di qua e la vita aldilà, come se fossero legate da un eterno cordone che le unisce in un continuum circolare e profondamente intenso: queste sono le prime sensazioni provate allo scorrere dei cinque episodi o ondate di musica, danza, sacralità diffusa tra Tai-chi ed una trance meditativa cui spronano sitar, tamburi, e gong soprattutto, facendo rimbalzare il suono come sassolini sull'acqua. Il 5 ed il 6 ottobre a Campi Bisenzio, a due passi da Firenze, in occasione del XXXVII Festival Musica dei Popoli, il Teatro Dante ha accolto The Sound of the Ocean del gruppo taiwanese U-Theatre grazie anche alla partecipazione dell'Ufficio di Rappresentanza di Taipei in Italia, al Ministero della Cultura e il Ministero degli Affari Esteri di Taiwan.
Gli insegnamenti di Jerzy Grotowski, sia dell'objective drama e dell'arte come veicolo percettivo di altre dimensioni durante la performance, come anche le danze sacre di Gurdjeff, sono alla base del risveglio alla consapevolezza della ricerca coreografica di Liu Ruo-yu e musicale di Huang Chih-chun. Entrambi sono volti a riconsegnare il teatro ad una totalità composita pludirezionale per confluire verso un'unità di rappresentazione che affonda le radici in un sincretismo che abbraccia buddismo, taoismo, induismo, e dove le arti marziali divengono nastro di trasporto di gesti perfettamente sincronici al Suono di quell'Oceano che dall'esplosione dei tamburi (Collpase) muterà nel lento ondeggiare degli echi dei gong (Listening to the Ocean Heart) fino a svilupparsi in una danza accennata come parafrasi della musica in gesto evocativo oppure un ispirato canto celebrativo.
I cinque episodi in cui si divide The Sound of the Ocean, tutto dedicato all'acqua e quindi al concetto del “fluire della vita e della morte”, sono già di per sé simbolici: ed infatti il cinque è formato dal maschile tre sommato al femminile due, per compenetrare quindi non solo il Sole e la Luna rappresentati alla fine, ma anche i componenti omogenei del gruppo, formato da sei donne e sei uomini, che suonano e danzano unanimente veicolando un messaggio comune alle tradizioni folkloriche, come all'Opera Cinese, come una sacralità rappresentata in tournée in tutto il mondo a partire dal 1993 con The Great Sacred Drum, dal Festival di Avignone alla Biennale di Venezia nel 2000, dal Barbican londinese al Berliner Festpiele e fino ad Israele e gli Stati Uniti.
Sulle montagne di Laochuan, ad un'ora circa da Taipei, si svolgono le prime prove e le prime rappresentazioni dei nuovi spettacoli: ed è sempre lì, immersi in una natura che chiama a vivere il presente, dove Liu Ruo-yu insieme a Huang Chih-chun, conducono l'ensemble a porsi in connessione diretta con l'universo attraverso la meditazione, in un training che consente di ideare nuovi spettacoli come quello dell'anno prossimo a Berlino con le musiche del compositore tedesco Christian Jost ed il Berliner Rundfunk Choir (il Coro della Radio di Berlino). Quasi a giungere si direbbe a riallacciare quello spesso filo che ha condotto Arthur Schopenhauer (1788-1860) allo studio delle religioni orientali ed a scrivere la sua opera più compiuta, “Il mondo come volontà e rappresentazione” (Die Welt als Wille und Vorstellung, 1844). Qui Schopenhauer ha sviluppato il concetto di “velo di Maya” in cui afferma che noi vediamo il mondo attraverso un velo (quello di Maya) che ci oscura la realtà col principio d'individuazione, suddividendoci in buoni e cattivi e senza lasciarci intendere che il bene ed il male sono in tutti, nell'assassino come nella sua vittima, e che non esistono realmente delle dicotomie, ed un dualismo bene/male (tipicamente occidentale come quello materia/spirito) e che, come insegnano le Upanishad, la formula per riassumerlo è la seguente: "tat tvam asi" (Questo sei tu): ovvero tu sei tutto, l'essenza dell'Universo è compresa in ogni uomo, è parte della sua natura più assoluta.
Nel suono dei vari tipi di gong, - tutti originali - acconmpagnati dalle performance e dal prolungato battito dei lunghi bastoni per suonarli, si ritrovano come gocce di quell'acqua che prima si è mutata in tempesta e poi in calma bassa marea, per terminare con il massiccio tamburo che Huang suona nell'ultimo episodio omonimo del titolo: montato su un albero che ricorda Yggdrasil, l'albero sacro ad Odino dell'Edda norrena (norvegese), è sollevato sul palco ed appare come l'albero cosmico della vita, simbolo comune a tutte le culture e teologie, a rappresentare l'intima connessione della vita e della morte, dal sicomoro egizio fino al melograno che compare nella Torah ebraica.
Come lo Zarathustra di Nietzsche che scende dalla montagna sulla terra, gli artisti con la U dell'”eccellenza” in cinese, scendono come i rami dell'albero attraverso un fiume fino all'oceano, è da lì, dalle spiagge battute dall'immensità dell'acqua, che è stato raccolto l'albero che vediamo issato sul palco, come se in fondo noi guardassimo quella stessa montagna protagonista e riflesso dell'oceano, forse un tempo inabissata e risorta ora per unire due culture che non sapevano di condividere una consapevolezza comune nell'incessante fluire.