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La bottega dei suicidi. Il soprendente cartoon di Leconte
Una città grigia dove il sole non splende più, dove la gente è triste e rassegnata, dove non si sa se è mattina o sera, se è oggi o domani. Cosa fare allora se non suicidarsi? E se la tua vita è stata un fallimento puoi sempre fare della tua morte un successo. Basta affidarsi a professionisti, come la famiglia Tuvache ed entrare nella piccola bottega oscura! Tutto scorre nel migliore dei modi fino a quando Alan, il nuovo nato, non distrugge l’equilibrio famigliare con la sua “ingiustificata” gioia di vivere. Ironico, irriverente, sorprendente, unico nel suo genere. Dopo aver visto questo film la vostra vita non sarà più la stessa!
Questa l’atmosfera e la trama iniziale de La bottega dei suicidi, film francese di Patrice Leconte. Presentato a Cannes con grande successo, uscito Oltralpe e in mezza Europa, da noi ha rischiato di non arrivare in sala a causa del divieto di visione ai minori di 18 anni poi ritirato (il nostro paese si distingue sempre in quanto a scelte ipocrite).
Sinceramente la pellicola per il sottoscritto è stata una grande delusione. L’atmosfera “gotica” usata dal regista e dal suo staff conferisce all’opera fin dall’inizio un “vuoto” contenutistico, producendo una involuzione narrativa dovuta al continuo privilegiare concetti filosofici propri della vita (come il bene e il male) incastonati (però) in situazioni stereotipate, a scapito proprio dell’approfondimento psicologico dei personaggi.
Pur essendo l’idea di partenza sicuramente accattivante, il film Leconte però, a causa di scelte discutibili (intermezzi canori francamente stucchevoli, a tratti quasi irritanti; la fin troppo prevedibile distinzione tra grigiore quotidiano e calore/colore dell’amore) restituisce un prodotto fin troppo semplice per il genere cui appartiene (ad esempio il Tim Burton di Nightmare Before Christmas) non tanto a livello iconografico (la scelta dello stile “disegnato” è anche apprezzabile), quanto a livello narrativo.
Una pellicola di animazione oggi ti permette, sulla carta, una libertà soprattutto a livello filmico di ciò che si può mostrare (in parole povere l’aspetto “visivo”, il pure cinema) che potrebbe non avere eguali nella storia del cinema inteso in senso più tradizionale. Il fallimento di Leconte in tal senso è tutto racchiuso in una scena del film, quando un giovane “homeless” decide di togliersi la vita mettendo la testa in un sacchetto di plastica. Sarebbe stato suggestivo a mio avviso mostrare la sensazione fisica del ragazzo nel momento di congedarsi dalla vita in soggettiva (e quindi vedendo con gli occhi del ragazzo da dentro il sacchetto), con il respiro sempre più etereo e l’effetto di sfocatura che ci suggerisce la chiusura degli occhi. Invece la solita (irritante) performance canora del ragazzo fa da sottofondo ad una ripresa in oggettiva che lo mostra mentre si uccide.