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Teatro Orologio. La brezza leggera di Carafollia
Una ventata di euforia e di freschezza ha attraversato il Teatro dell’Orologio, a Roma, tra il 23 ottobre e l’11 novembre. Ne siamo rimasti travolti anche noi. Carafollia, questo è il titolo dello spettacolo scritto e diretto da Claudio Carafoli, interpretato poi con verve dall’incontenibile Tiziano Floreani insieme a un gruppetto di attrici senz’altro da tenere d’occhio, per quel mix di bravura, bellezza e attitudine alle performance musicali che tutte, in misura magari differente, hanno dimostrato di poter esprimere.
Più in particolare, avevamo già visto all’opera Tiziano Floreani e una delle interpreti, Eleonora Gnazi, in un altro spettacolo dello stesso Carafoli: Sopra la panca. E sommando queste differenti esperienze da spettatore ne viene fuori, innanzitutto, la figura di un autore brillante, che ama affidarsi ad attori preparati e versatili per ridefinire i contorni del comico, approcciato con un occhio alla genuinità del rapporto col pubblico e un altro alla volontà di sperimentare.
Difatti il meccanismo della risata, nei testi di Carafoli, sembra agire sempre su più livelli, passando con disinvoltura dai più spigliati giochi di parole e da altre forme decisamente popolari di intrattenimento a una ludica (e lucida) frammentazione dei criteri della messa in scena, per cui si mettono in discussione con leggerezza e allegria i ruoli degli interpreti, le coordinate spazio-temporali della narrazione, la natura stessa dei cliché in uso nella commedia. La struttura dello spettacolo si colora quindi di una vivace, spesso ardita manipolazione del processo creativo. Ed è così che in Carafollia (verrebbe naturale pensarlo, già dal nome, come un manifesto delle scelte autoriali e delle idee del regista: Carafoli vs. Carafollia) si è approdati infine a un impianto meta-teatrale: vi si rappresenta infatti, senza risparmio di ironie, il tentativo di mettere in piedi uno spettacolo da parte di una compagnia improvvisata e inesperta.
L’incipit della pièce consiste proprio negli scalcinati provini, con quattro attrici o aspiranti tali (interpretate nella fattispecie da Alessia Francescangeli, Eleonora Gnazi, Domiziana Loiacono, Valentina Traini) che vengono messe alla prova, con esiti spesso farseschi, da un regista eccentrico e nevrotico (Tiziano Floreani) coadiuvato dalla sua fedele assistente (Paola Tripodo). Entrambi fuori campo rispetto agli sguardi del pubblico, questi due, fino a quando non parteciperanno direttamente alla preparazione dello spettacolo raggiungendo sul palco le ragazze selezionate (le uniche presentatesi, del resto); tutto ciò in un tripudio di incomprensioni e approssimazioni che dovrebbe poi portare, in pochi giorni, all’allestimento dell’improbabile Kaligola con la kappa pensato dal giovane, tormentato regista.
Il meta-teatro si riflette quindi, all’interno di Carafollia, in quelle prove che riescono prima di tutto a evidenziare le capacità, il talento e la freschezza del cast messo su dal buon Carafoli. Sono in particolare le quattro protagoniste a lavorare, attraverso un doppio registro, sullo schema portante dello spettacolo, che le vuole estremamente imbranate ogniqualvolta provino a recitare, cantare o danzare per l’ormai imminente Kaligola, mentre nei sogni del regista successivamente messi in scena, le stesse ragazze sembrano distinguersi per impegno e bravura. Un sapiente gioco di luci accompagna questi momenti allucinatori. La brillante versatilità delle attrici vi risalta quindi insieme all’istrionismo di Tiziano Floreani, capace anche qui di ardite performance vocali e strepitosi monologhi che hanno saputo conquistare, poco alla volta, il pubblico del Teatro dell’Orologio. Tra risate e applausi a scena aperta, Carafollia è una brezza leggera da cui ci si fa volentieri trasportare.