Biennale di Venezia. Padiglione del Lazio a Palazzo Venezia. Scene primarie

Articolo di: 
Livia Bidoli
Chimera

Il viaggio tra più di cento artisti laziali ospiti del Padiglione Lazio della Biennale di Venezia a Roma a Palazzo Venezia che si protrarrà fino al 22 settembre 2011, si profila come ampia e diversificata, anche nell'ala dedicata alla Fondazione Roma che ha contribuito con un fondo (€ 150.000) e degli artisti di sua scelta (14 in totale. La cura della mostra è di Vittorio Sgarbi per un totale di 130 opere selezionate.

Al centro della scala che conduce al padiglione riservato al Lazio si erge la piramide argentea, bronzea, dorata e con tanti occhi ed una luna avvolta dalle nuvole (oppure un pianeta) di Piero Fantastichini intitolata Monumento al caos (2009), che a dispetto del titolo appare variegatamente ordinata.

Si inizia con un viaggio Metalchemico, quello della coppia di artisti Di Nardo ed Orlando che firmano questa sorta di tracciato topografico in grigio, panna ed un cuore rosso sormontato dalla verticalità di un pannello che sembra fatto di carta di riso cinese ed invece è ben più materico: tre cerchi rossi in fra le onde nere su fondo grigio lo completano. 

L'opera che si mostra altamente suggestiva di passato e futuro proiettato distopicamente è quella di Patrick Alò, la Chimera (2009 - che riprende il bronzo etrusco omonimo di Arezzo del 360-380 a.C. conservato nel Museo Archeologico Nazionale di Firenze) che assembla parti frutto del riciclo – ferrose, come scritto nella didascalia – a ricomporre un corpo di tre teste d'animali: la ferina chimera ha il volto di un leone in difesa dallo sguardo triste e comunque pronta all'attacco, surmontata da un appena plasmato muso di caprone con le due corna ben visibili ed un serpente in atteggiamento predatorio con la bocca spalancata. 

La testa tagliata da una lunghissima sega di Marco Barina è Senza titolo (2010) ma ha ben radicate antropologie selvagge formulate in metallo e resina che si stempera nel quasi fumo del quadrato nero di Guido Strazza dell'acquaforte a puntasecca di Trame quadrangolari (2005). Lo strappo (2009) di Elvio Marchionni si ricongiunge alla romanità dell'intonaco affrescato dove si staglia una donna di spalle in seppia su colonnati raffinatamente decorati. 

Dante Ferretti espone uno dei bozzetti per il film Prova d'orchestra (1997) di Fellini: una grande ed inquietante sfera nera sorge su un'arpa sotto alla quale giace una macchia rossa ed un fumetto accanto che dice: “Beethoven ma chi sei?”, rimandando alla celebre ribellione dell'orchestra del film. Alla sua sinistra un olio di Corrado BonicattiConvergenze 2 (2005-2006), che ricorda L'isola dei morti di Böcklin: una fortificazione sospesa e riflessa dall'acqua, di matrice araba con una tenebrosa e piccola porta al suo centro prospettico.

Il senso della luce di Syrinx: La luce del suono (2001-2009) di Mario Velocci in acetato, ferro e vetro, rappresenta dei tubini fini di vetro da cui si dipanano aghi di ferro chiaro e lucido che danno la sensazione di essere l'uno diverso dall'altro nel loro percorso cromatico in senso musicale. Il nome Syrinx trova la sua genesi in una composizione di Claude Debussy per flauto solo, del 1913. La leggenda narra che il dio Pan, innamorato della ninfa Siringa, non è ricambiato e che lei, braccata, si getti in un canneto, trasformandosi per intervento divino in una canna. Pan, recisa la canna e divisala in vari pezzi, crea uno strumento a fiato che si chiamerà Flauto di Pan. Nome che è anche il titolo originariamente pensato per questa composizione. Al lato opposto un'opera “effluviante” nei vapori dell'acqua demineralizzata in un vortice di gas e denominata Anatomia di un fenomeno patogeno di Donato Piccolo, inquieta con la sua immagine di uragano nettamente verticalizzato. L'Ascension (2010) di Andrea Simonini è una stampa su carta baritata (che esalta i bianchi soprattutto), mostra una ragazza sospesa con una rosa color rosa antico quasi grigio sul pube che si libra nell'aria: tutto tra toni di grigi che si stemperano l'uno sull'altro e quasi mai un veramente nero.

La culla della pace nella casa di Myriam (2000) di Tito Rossini riconduce alla cena eucaristica con il suo interno semivuoto, la sua tavola con un pesce che sbuca dall'angolo destro, un pane ben visibile semicentrale ed una colonna accanto ad una culla vuota con un ramo di ulivo ad annunciare la pace cristica. 

Ernesto Lamagna con Ecce Mater Dolcissima (2003) è una scultura dal carico drammatico fortissimo e dal senso inconfondibile: una anziana donna, come a dire “Ecco la madre”, a riprendere l'Ecce homo cristico di Pilato quando lo mostra dopo la flagellazione, seduta su una sedia a rotelle ed un incavo al centro del petto nella zona del cuore, induce una pena insostenibile in chi guarda, notando vieppiù la melagrana dell'Ade ed il memento mori che tiene in grembo. Estremamente espressiva e dallo sguardo penetrante quasi maschile tanto è potente, sta a raffigurare la crudeltà verso la salute inferma di chi ha generato e poi si ritrova senza garanzie per gli anni più fragili della sua vita, liquefacendosi come la cera persa della scultura di bronzo durante la cottura, la stessa cera che ne determina l'unicità.

Un'altra scultura di rilievo in bronzo a cera persa è la giustizia trifronte di Alba Gonzales intitolata Lei, vede e non vede o altrove guarda (2010) e con l'epigrafe “Guai a colui che s'incapriccia a voler giusta la giustizia” tratto da Brofferio: due piatti fra le mani e forse non del tutto bilanciati come afferma il sottotitolo. Il Notturno n.1 (2010) di Franco Mulas è una cascata di colore esplodente dal nero a contrastare la finta formalina sostituita dall'olio per la Treccani sott'olio (2010) di Benedetto Marcucci. Un vapore metafisico quello del fumo dipinto sulle grandi tele di Alessandra Cannistrà: Andrò ad eseguire – Fumo solo 1e Fumo solo 2 (2011) che tinge la tela con l'elemento del titolo, creando una caverna con un lago sotterraneo estremamente suggestiva. 

Alberto Di Fabio apre la sala dedicata alla Fondazione Roma, dipingendo di energia le sue spericolate strutture cellulari: la prima, Neurone rosa (2008), ha radici celestine che immergono nella grazia rosea mentre l'effluvio azzurro dello Spazio curvo attiene al piano propriamente astrale. Di fronte le librerie e la borsa NYC di Giannoni che nascondono, dietro di loro, gli spazi grigi, bianco-sporco e neri della serie British Black diJonathan Guaitamacchi, con uno dei suoi edifici rassomigliante al Pandemonium che John Martin (1789-1854) dipinse per illustrare il Paradiso perduto (edizione del 1827) di John Milton (1608-1674).

Maurizio Savini con La sindrome di Pilato (2010), in chewing-gum rosa (vi ricordate la big bubble?) produce una doppia scultura ridondante di bandiere da lavare: l'uomo ivi dedito ha una cuffietta all'orecchio sinistro (come in un'altra delle sue sculture) e si nota che la bandiera italiana che ha fra le mani mezza immersa nella schiuma, è retta da una corda di spine, come anche lo stendino con le altre bandiere lì accanto. Fra queste notiamo quelle della Cina e della Siria, degli Stati Uniti, Regno Unito, dietro Israele e davanti ONU ed Unione Europea. E' abbastanza trasparente il senso politico sia della disposizione sia delle bandiere presenti.  

Tommasso Cascella con il suo tondo Cielo rovesciato (2010) abbiglia con pianeti, mezzelune, suppellettili astrali una tavola rotonda armonica in contrapposzione con il quadro e la scultura di Gabriella Di Trani dal titolo Il più ignobile e la macchina del tempo, qui dominano nero, bianco e rosso su una bocca deformata e semisquagliata su un dolcetto da fiera a strisce mentre la Shadow box di Teresa Emanuele (sottotitolata Senza ombra di dubbio, 2011) osserva ombrosa tra i suoi alberi innevati. 

Silvia Codignola dipinge la Cena primaria che rimanda alla scena primaria (espressione introdotta da Freud dapprima per indicare esperienze infantili traumatizzanti; in seguito per indicare la scena del rapporto sessuale dei genitori che il bambino avrebbe osservato, o ricostruito fantasticamente a partire da certi indizi. Questa esperienza, in cui il bambino vive il coito, interpretato come coito anale, come un atto d'aggressione del padre nei confronti della madre, fornisce un supporto all'angoscia di castrazione): una cena in cui i due non hanno volto, si fronteggiano a braccia conserte senza comunicare o guardarsi, su un fondo nero ed una tavola vuota tranne una specie di libro marroncino. Lo sguardo invece cristico, completo di coroncina di spine, sormonta la fronte di una bambina che piange di Guido Fabrizi, dal titolo I'm raped ed indica soltanto un colpevole, quella Chiesa stessa che ha sconfessato quella stessa corona di spine.

Pubblicato in: 
GN65 Anno III 5 settembre 2011
Scheda
Titolo completo: 

Padiglione Lazio della Biennale di Venezia

fino al 22 settembre 2011 a Palazzo Venezia

Curata da Vittorio Sgarbi, raccoglie 130 opere di artisti contemporanei che operano a Roma e dintorni

Ala Fondazione Roma