Bologna 2014. Bellocchio e il restauro di La Cina è vicina

Articolo di: 
Eleonora Sforzi
Marco Bellocchio Cineteca di Bologna

Nel corso della ormai conclusa 71° Edizione della Mostra d'Arte Cinematografica di Venezia, nella sezione Venezia Classici, sono stati presentati in anteprima nazionale i restauri, realizzati dai laboratori della Cineteca di Bologna, di alcuni film molto significativi del cinema italiano, prodotti tra fine anni '60 e primi anni '70 e incentrati su una profonda critica verso la situazione politica coeva.

Oltre che ai capolavori di Marco Ferreri (L'udienza, 1971) e di Elio Petri (Todo modo, 1976), una nuova veste restaurata è stata applicata anche al secondo lungometraggio di Marco Bellocchio – realizzato due anni dopo l'uscita di I pugni in tasca – intitolato La Cina è vicina e riproposto la sera successiva all'anteprima nazionale proprio al Cinema Lumiére della Cineteca di Bologna e seguito dall'incontro con il regista.
Il film è una commedia politica che mette in luce una situazione generalizzata di decadenza all'interno del partito socialista italiano, mentre un piccolo movimento rivoluzionario di stampo maoista cerca di sovvertire il sistema.
Il dialogo tra Andrea Morini, Responsabile della programmazione del Cinema Lumiére, e Marco Bellocchio ha preso le mosse proprio da una riflessione su quella controversa realtà socio-politica italiana da cui il film è stato ispirato e seguita da considerazioni sul significato del lungometraggio stesso, strettamente legato all'esperienza personale del regista.

Di seguito i tratti più salienti della conversazione.

Bellocchio: «È un film di quarantasette anni fa. Io l'ho visto ieri sera e ovviamente ha destato tanti ricordi, tante emozioni... Mi ha molto emozionato. Al di là che poi qualcuno dice che sia profetico, oppure che sia attuale per i temi perché parla in modo molto pesante di un certo trasformismo politico... In un'epoca, oggi, in cui tutti i partiti che c'erano allora penso siano scomparsi, penso che ci siano dei possibili riferimenti di quel passato remoto al presente. Per me è stata tutta un'altra emozione. Era il mio secondo film. Quasi mi sono stupito a vederlo.. Anche un certo tipo di sarcasmo, di provocazione.. Non che adesso sono diventato più buono, ma mi ha stupito... Anche vedere alcune persone grandi, a cui ero molto legato (la fotografia è di Tonino Delli Colli). Il bersaglio principale era un partito che è scomparso, il partito socialista, anche se ci sono allusioni abbastanza precise al partito comunista e al suo revisionismo, ma anche – in una dimensione provinciale, Imola appunto – a quei gruppi maoisti che prima del '68 erano veramente delle realtà folkloristiche, poi divennero delle cose più serie... Anche se non sconfinarono mai, come altri movimenti, nel terrorismo.»

Morini: «È un film straordinario... […] Un paio di curiosità. Ieri hai detto   nell'introduzione che questo film ha fatto arrabbiare molti, però in particolare ha fatto arrabbiare i socialisti.. Tu non facevi parte di gruppi maoisti?»

Bellocchio
: «È accaduto questo. Questo film – del '67, appunto precedente al '68 – poi mi mise in crisi personalmente. Nel '69 aderii all'Unione dei Comunisti Marxisti Leninisti, che però era una formazione maoista (dopo il '68 molti movimenti, abbandonato lo spontaneismo del '68, decisero di organizzarsi politicamente). Io aderii per alcuni mesi a questa formazione. È chiaro che questo è un film di critica radicale. Io conoscevo indirettamente, attraverso  amici comuni a Piacenza, dei piccolissimi gruppi maoisti, che appunto non avevano nessun seguito. Invece successivamente, seppur brevemente, certi movimenti ispirati al maoismo avevano ottenuto dei consensi piuttosto vasti, non duraturi. Poi fu molto criticato questo film.. Certamente dai socialisti, che si sentirono attaccati frontalmente, ma anche da una sinistra radicale che in parte mi accusò di aver un po' tradito lo spirito de I pugni in tasca. Questo film disorientò molto – seguendo I pugni in tasca in cui, per chi ne avesse voglia, si possono ritrovare delle costanti o dei temi – […] perchè è come se chi avesse amato I pugni in tasca si aspettasse un altro tipo di film...»

Morini
: «Tu l'hai definito una commedia in un certo senso.. Come ti è venuta l'idea di cambiare registro?»

Bellocchio: «I pugni in tasca fu girato a Bobbio, con un registro più “irrealista”, più astratto, mentre invece qui Imola è un po' come Piacenza.. Mi ricordo un titolo di Goffredo Fofi, “Le mura di Imola”, che era abbastanza significativo.. La provincia qui si sente assai di più di quanto non si senta ne I pugni in tasca, che aveva una sua terribilità, però più astratta, forse anche più universale.. Non a caso, La Cina è vicina, proprio per questo suo potenziale polemico, ebbe in Italia un grande successo, mentre I pugni in tasca fu un successo più internazionale.»

Morini: «Chiaramente hai ragione. È un film che va ben al di là dell'attacco frontale ad una parte politica, è molto complesso. L'apporto della provincia, effettivamente, viene fuori nel suo distillato più autentico. Ci sono le radici borghesi, il rapporto fra l'ambiente di famiglia e la controparte...»

Bellocchio: «Pur non essendo io di famiglia nobile, però saprei riconoscere ne La Cina è vicina una serie di personaggi minori o maggiori che io ho conosciuto nella mia esperienza piacentina, anche se poi I pugni in tasca è un film autobiografico, ma non c'è nulla di autobiografico in modo diretto. Qui l'esperienza radicale, l'esperienza di Glauco Mauri, è qualcosa che, pur avendola trasformata, nasceva più direttamente dall'esperienza di vita provinciale, anche se io la vita provinciale l'ho fatta assai poco. Sì, ho fatto le scuole a Piacenza, poi ho fatto il liceo al Collegio San Francesco di Lodi, ma dopo sono andato subito a Roma... Quindi non ho fatto una gran vita di provincia piacentina.»

Morini: «È incredibile la forma [de La Cina è vicina]. La capacità che hai dimostrato di saper costruire un racconto impeccabile, con i tempi scanditi perfettamente...»

Bellocchio: «Bè, certo. Però al tempo stesso colpì perché era molto diverso dai capolavori della commedia all'italiana, perché oltretutto non avevo utilizzato – in questo Cristaldi mi lasciò molto libero – grandi attori. Glauco Mauri era un grande attore, però per il cinema assolutamente sconosciuto.»

Morini: «Infatti, [questo film] non è “apparentabile” a nulla. Ieri, ripensando che costituisce proprio una strada a sé della commedia, forse l'unico che può essere in qualche misura accostato – ma sempre in qualche misura – potrebbe essere Ferreri, ma lui usava invece attori di chiara fama. Quindi tu invece dici che è stato programmaticamente scelto di non utilizzare volti noti...»

Bellocchio: «Sì, anche perché Franco Cristaldi, dopo La Cina è vicina, mi propose di fare un film e io gli chiesi la massima libertà ad un badget basso, quindi lui rispettò questo patto... […] Lui non interferì minimamente.. Questo è un film – mentre Ferreri spinge sempre verso un registro anarchico e anche surreale – direi molto irrealistico, perché estremamente concatenato, però che tiene molto conto di uno humor provinciale. Rivedendolo ieri, dopo tanti anni, mi ha colpito anche – perché io sono una persona tendenzialmente ottimista, poi ho sempre cercato di cambiare, con una insoddisfazione positiva – il fatto che non c'è, effettivamente, un personaggio che si salva.. Mi ha colpito, non ce n'è uno.. Evidentemente la mia mente allora aveva questo sarcasmo pessimista... Uno è peggio dell'alto... […] In Marcia trionfale c'era già un certo tipo di moralismo positivo, nel senso che appunto c'è il soldato che in qualche modo si redime, ci sono sempre i buoni e i cattivi... Qui no, c'è quel sarcasmo che in molti altri film è stato non solo mitigato ma contrastato. Mi viene in mente L'ora di religione: anche lì ci sono dei personaggi biechi, però in fondo il protagonista è qualcuno che personalmente si dibatte, non si accetta, vorrebbe cambiare, vorrebbe essere diverso. Qui invece, ripeto, non c'è uno che si salva. Loro e ciò che li circonda (i partiti avevano ancora un'ideologia, che però si stava svuotando progressivamente e per un giovane questo era un aspetto da attaccare, da contrastare ecco), anche i giovani, vengono visti con una loro fragilità... Forse l'unico che un pochino si salva, infatti contrasta il giovane contino, è il personaggio di Alessandro Haber, uno dei tre ragazzi...»

Morini
: «Insomma, ti era tutto molto chiaro...»

Bellocchio
: «Insomma, se ha una sua vivacità... Ripeto, io ieri sono rimasto molto colpito, ma per ragioni molto soggettive, molto personali... Lì siamo un po' alla “preistoria”, perché i partiti oggi non esistono più, in un certo senso... Cioè, esistono ancora, però allora il partito comunista aveva una sua teoria, il partito socialista aveva qualcosa, che si era totalmente svuotato... E non a caso poi si è dissolto.»

Morini: «[...] È stato curioso perché, nella rassegna dei Classici, oltre a La Cina vicina, abbiamo presentato anche Todo modo, ed è stato molto impressionante vederli vicini e capire il loro carattere profetico, perché tu qui anticipi lo sfacelo di una classe politica, di un partito, di una coalizione e anche di un'ideologia. Todo modo, nel '76, anticipa o rappresenta il suicidio del partito di maggioranza relativa.. E quindi, sono film che hanno mostrato, per me, un'attualità sconcertante. […] Ieri si ricordava che il film fu presentato a Venezia nel '67, vinse il Leone d'Argento, in un concorso di grande livello, perché c'era La chinoise di Godard, Edipo re di Pasolini, Belle de Jour di Buñuel [che fu premiato con il Leone d'Oro]...»

Bellocchio: «Allora non c'era il Leone.. C'era il premio speciale della giuria, diviso tra La chinoise e La Cina è vicina. Fu una specie di riconoscimento tardivo, da parte di Chiarini, a I pugni in tasca, perché due anni prima I pugni in tasca fu rifiutato da Venezia, proprio perché Chiarini, che era un grande politico, aveva deciso che Visconti doveva finalmente prendere (giustamente e meritevolmente) il Leone d'Oro e allora, siccome Vaghe stelle dell'orsa aveva dei temi che in qualche modo richiamavano I pugni in tasca, non volle averlo in concorso e lo rifiutò. Due anni dopo, però, lo stesso Chiarini mi sollecitò ad andare a Venezia... Non fui io a decidere. Il presidente della giuria era Alberto Moravia, tra l'altro penso piuttosto imparziale perché nel concorso c'era anche l'Edipo re, che però non fu premiato... Per dire che le giurie sono strane […]  È un grande regista che io ho ammirato [Visconti] però non Vaghe stelle dell'orsa... Poi, curiosamente, nello stesso festival, c'era anche Visconti con Lo straniero, forse il suo film più “non viscontiano”... Buñuel che, appunto, aveva visto I pugni in tasca e lo aveva criticato, però poi al momento della premiazione lui si avvicinò – io ero un ragazzo e avevo una grande ammirazione per lui – e si congratulò, però mi disse: “Io ho le mie idee”... Perchè mi riferirono che lui aveva molto criticato, da un punto di vista moralistico, I pugni in tasca (“Non si può saltare sulla bara della propria madre...”). Ecco una curiosità.»

Una interessante conversazione, quella fra Morini e Marco Bellocchio, che dimostra l'inscindibile legame tra cinema e realtà e, ad un livello più ampio, tra l'espressione artistica e l'esperienza personale dell'autore che, inevitabilmente, riflette se stesso e il proprio tempo nelle sue opere.

Pubblicato in: 
GN41 Anno VI 24 settembre 2014
Scheda
Titolo completo: 

Proiezione del film La Cina è vicina in versione restaurata

(seconda proiezione dopo la prima nazionale alla 71° Edizione della Mostra d'Arte Cinematografica di Venezia)

Incontro con il regista Marco Bellocchio

Cineteca di Bologna, 4 settembre 2014