Bologna 2014. Incontro con Edgar Reitz

Articolo di: 
Eleonora Sforzi
Heimat

Lo scorso 16 aprile, la Cineteca di Bologna – in collaborazione con il Festival del film di Locarno – L'immagine e la parola e Goethe-Zentrum Bologna – ha proiettato in lingua originale con sottotitoli Die andere Heimat - Chronik einer Sehnsucht (L'altra Heimat – Cronaca di un desiderio), ultimo capolavoro della saga a cui Edgar Reitz lavora da  trent'anni.

Il film, pensato come “prequel” del primo Heimat (uscito nel 1984 e costituito da 11 episodi per una durata complessiva di 15 ore), è stato proiettato in anteprima mondiale in occasione della 70° Mostra internazionale d'Arte Cinematografica di Venezia ed è il primo della saga ad essere stato concepito interamente per il cinema.
Ambientato nell'ormai noto villaggio di Schabbach, nell'Hunsrück, nel 1842-'43, il lungometraggio, nell'arco delle quasi quattro ore di durata, racconta le vicende legate alla famiglia Simon – protagonista dell'intero progetto Heimat – che, come molte altre nelle campagne prussiane, sopravvive di stenti e fatiche in mezzo a territori improduttivi e inverni rigidi.
Ancora una volta la prospettiva adottata dal regista – fedele alla grande tradizione neorealistica italiana – si caratterizza per la coralità ed è improntata al racconto delle piccole vicende dei diversi rappresentanti delle generazioni familiari, insieme ad altre più o meno importanti figure che popolano Schabbach. In particolare, la macchina da presa di Reitz segue il giovane Jakob (interpretato dall'esordiente Jan Dieter Schneider), che, sentendosi  in parte estraneo alla ripetitività della vita di campagna condotta dalla famiglia, nutre i sentimenti tipici dei sognatori del Romanticismo; passa ore nei boschi leggendo libri che raccontano affascinanti storie sulle popolazioni dell'America latina; ma soprattutto nutre nell'animo sentimenti profondi e imposta la propria vita sulla continua ricerca, sulla conoscenza.

Al termine della proiezione, Edgar Reitz ha incontrato il pubblico. Sono intervenuti Andrea Morini, responsabile della programmazione della Cineteca e Matteo Galli, direttore del Dipartimento di Studi Umanistici dell'Università di Ferrara, che ha tradotto dal tedesco le parole del regista.
Questi alcuni frammenti significativi dell'intervista.

Morini: <<Una semplice constatazione anche molto viscerale. Sono passati circa cinquant'anni dal Manifesto di Oberhausen (1962).. Mi è venuto in mente guardando fra le altre cose l'apparizione di Herzog.. Complimenti, perché tutta una grande scuola si vede in questo film.  Complimenti per la tenacia con cui ha costruito una straordinaria filmografia.>>

Galli: <<"Heimat Fragmente" sembrava il commiato definitivo e invece, sono trascorsi altri sette anni e siamo di nuovo a parlare con Edgar Reitz e a vedere un film di Edgar Reitz: il primo film che scrive e presenta esplicitamente per il cinema, mentre gli altri cicli erano in primis per la televisione. Quando è nata l'idea di riprendere il progetto?>>

Reitz: <<È un'idea antica, che risale agli anni '80 (gli anni di Heimat 1), quella di fare un film su queste popolazioni, su quest'enorme quantità di persone che sono emigrate non soltanto dall'Hunsrück ma anche da altre regioni d'Europa verso la metà dell'Ottocento.  È nata molto presto, come l'idea che questo film fosse per il grande schermo. Dopo “Heimat Fragmente” il discorso doveva essere chiuso, tanto che nella prima stesura della sceneggiatura non doveva apparire il nome “Schabbach”, ma doveva essere soltanto la storia di due fratelli e una storia di emigrazione. Quando è iniziato il lavoro, ho scoperto che tracce di quel passato e di quel mondo non c'erano più (a differenza di “Heimat 1”), era tutto cancellato, non c'erano documenti, nemmeno sui libri di storia. Quindi, questa ricostruzione è diventata un'invenzione, ho dovuto ricostruire e inventare tutto, malgrado comunque questo film si basi su vicende storiche.>>

Galli: <<È il primo film, tra quelli da lui girati, dove non c'era il cinema, non esistevano documenti cinematografici che costituissero un intertesto di dialogo..>>

Reitz: <<Oltre a ricostruire il set e l'ambiente, abbiamo provato a calarci in quell'epoca, ricostruendo artigianalmente tutto: gli strumenti, i vestiti, tutto ciò che costituiva le abitudini quotidiane delle persone. Niente è stato ricostruito con tecniche digitali. Anche gli artigiani che compaiono nel film hanno studiato per essere allo stesso livello tecnico delle persone che vivano in quell'epoca.  È stato molto difficile trovare il modo di raccontare un'epoca in cui non c'ero, non ho ricordi, non ho immagini, ma il presupposto è che quello che noi siamo è anche il frutto di una tradizione, di un passato, di un vissuto di altre generazioni che inconsapevolmente ci portiamo dentro. Abbiamo cercato di dare forma e immagine a questo vissuto, a questo passato le generazioni hanno trasmesso una dietro l'altra.>>

Galli: <<Il film è storico, ma mi è venuto da pensare al presente, vedendo queste carovane di persone che lasciano la propria terra.. C'è una consapevole allusione alla possibilità di leggere questo in chiave attuale?>>

Reitz: <<È una storia che non vuole solo essere proiettata all'indietro, ma vuole anche aprire gli occhi sull'oggi e far capire come certe situazioni (miseria, fame, malattie, epidemie, mortalità infantile) che vengono raccontate nel film non sono così lontane nel tempo. L'idea è che si esca dalla visione di questo film relativizzando il proprio presente in un contesto storico più ampio.>>

Galli: <<Quali sono i vantaggi e gli svantaggi dell'uso del digitale per questo film?>>

Reitz: <<Riguardo alle immagini in bianco e nero, le uniche presenti in quest'ultimo film, sono immagini “sculturali”, che modellano come una scultura sui corpi delle figure. Il bianco e nero è quanto di più chiaro esiste nella rappresentazione e nella riproduzione della luce, ciò che ha dato luogo nei cent'anni di storia del cinema a risultati e acquisizioni sul piano culturale straordinarie e di cui non volevo far a meno. Per questo, soprattutto nelle immagini diurne, mi sono servito quasi esclusivamente del bianco e nero. All'epoca dei film analogici il risultato che si otteneva facendo interagire materiali in bianco e nero e materiali a colori era insoddisfacente. Si doveva decidere fin dall'inizio se mettere nella macchina da presa pellicola in bianco e nero o a colori, nel lavoro di copia il risultato non era mai soddisfacente. Ora, con l'avvento del digitale sono riuscito a raggiungere il risultato che volevo. È un'utopia che esiste da quando esiste il cinema quella di riuscire ad evidenziare a colori alcuni dettagli, alcuni particolari di una scena.. È il caso di alcuni film di Griffith e di Vidor degli anni '20 che ho rivisto ultimamente, ma i risultati non  sono mai stati soddisfacenti. >>

Galli: <<Qual è la ragione che l'ha spinta ad aver colorato solo alcuni dettagli dell'inquadratura?>>

Reitz: <<L'utilizzo dei dettagli a colori è usato per un “approfondimento poetico”, o per mostrare immagini arcaiche (come il gesto arcaico di ferrare a fuoco i cavalli) o per veicolare informazioni (come nella scena del passaggio sulla Mosella di una barca con a bordo i patrioti, dove è ben visibile la bandiera tedesca, distinguibile rispetto ad altre proprio per la colorazione).>>

Quest'ultimo capolavoro del grande regista tedesco – oltre a riportare la mente ai volti, ai luoghi e alle vicende dell'intera saga di Heimat –  dimostra ancora una volta, l'eterna attualità di alcune tematiche, ricorrenti in modo quasi ciclico nella storia, soprattutto di quella sociale, mostrata dal punto di vista delle persone più umili.
Die andere Heimat - Chronik einer Sehnsucht, immerso in scenografie che ricordano visivamente i dipinti romantici di Friedrich, innovativo nella colorazione di alcuni dettagli e oggetti grazie al digitale, riesce ad evocare sensazioni ed emozioni attraverso i luoghi, comunicando quella dicotomia senza tempo tra desiderio di partire e andare oltre i propri confini (siano essi nello spazio o nella coscienza) ma anche, allo stesso tempo, di mantenere il contatto con le proprie radici. Senza dubbio, quest'ultima opera cinematografica di Reitz dimostra ancora una volta la poetica del regista, che lui stesso ha dichiarato nel corso dell'incontro: <<lasciar correre il sentimento>> poiché <<il cinema deve esprimere i sentimenti.>>

Pubblicato in: 
GN23 Anno VI 24 aprile 2014
Scheda
Titolo completo: 

Proiezione del film Die andere Heimat - Chronik einer Sehnsucht

(L'altra Heimat – Cronaca di un desiderio) in lingua originale con sottotitoli

Incontro pubblico con il regista Edgar Reitz

16 aprile 2014, Cineteca di Bologna