Elia Schilton legge la Recherche di Proust. Memoria involontaria e temps retrouvé

Articolo di: 
Teo Orlando
Marcel Proust

Lunedì 10 gennaio 2011 il Teatro Studio dell’Auditorium Parco della Musica ha visto un pubblico competente e attento ascoltare alcuni brani tratti dal grande romanzo di Marcel Proust À la recherche du temps perdu (1913-1927), recitati magistralmente dall’attore Elia Schilton e accompagnati da un puntuale commento affidato al poeta Valerio Magrelli e al francesista Alberto Beretta Anguissola.

Magrelli, dopo aver premesso che per Claude Lévi-Strauss il più grande piacere di lettura consisteva nell'avventurarsi tra le pagine di Proust e di Céline (nonostante l’antisemitismo di quest’ultimo), comincia con una breve presentazione biografica del grande scrittore francese, nato a Parigi il 10 luglio 1871, ricordando che Francesco Orlando era solito sovrapporre la vita di Proust a quella di Lenin, nonostante le ben diverse vicende e circostanze che hanno vissuto i due uomini, peraltro quasi coetanei.

Beretta Anguissola continua la presentazione della vita di Proust, sottolineando che nasce in una Parigi dove si è appena conclusa la guerra franco-prussiana e che aveva visto la brutale repressione dell’esperienza della Comune (il primo esempio di dittatura del proletariato della storia) da parte delle truppe del primo ministro Adolphe Thiers.

Sua madre, Jeanne Weil, apparteneva ad un’agiata famiglia ebrea, dotata di varie amicizie altolocate. Il padre Adrien era invece di origini piccolo-borghesi, un tipico self-made man che ricoprirà importanti incarichi per il governo, fino a lasciare a Marcel una rendita. A nove anni ebbe un primo attacco di asma, la malattia che lo tormenterà per tutta la vita, forse di origine psicosomatica ed aggravata all’arrivo della primavera per il diffondersi dei pollini.

Frequenta uno dei più prestigiosi licei di Parigi, il Condorcet (dove l’insegnante di letteratura inglese era Stéphane Mallarmé, e che fu frequentato da Henri Bergson, Paul Verlaine e Paul Valéry), dove si lega d’amicizia (in qualche caso quasi ai limiti del rapporto amoroso) con i rampolli di Georges Bizet e Alphonse Daudet. Si iscrive alla Sorbona ma, dopo la laurea in legge, decide di dedicarsi alla letteratura e comincia a frequentare gli ambienti dell'alta borghesia e dell'aristocrazia, esplorando nel contempo i risvolti psicologici della sua identità omosessuale.

Nel 1896 pubblica il suo primo libro, Les plaisirs et les jours, una raccolta di racconti e frammenti vari ispirati a un raffinato estetismo. Intanto, comincia la stesura di un romanzo che uscirà postumo e incompiuto con il titolo Jean Santeuil. Nei dodici anni in cui la Francia fu spaccata in due intorno all’affaire Dreyfus, si distingue fra i sostenitori del capitano ebreo, battendosi per la sua innocenza. Comincia a leggere e a tradurre alcuni libri dello scrittore e critico d’arte inglese John Ruskin, approfondendo alcune tematiche relative alla cultura cristiana, di cui i libri di Ruskin sono imbevuti. Nel 1903 e nel 1905 muoiono il padre e la madre.

Nel 1906 comincia la stesura del suo capolavoro, Alla ricerca del tempo perduto, pubblicata tra il 1913 e il 1927 (i due ultimi libri, parzialmente incompiuti, usciranno postumi). Inizialmente avrà difficoltà editoriali (lo stesso André Gide, come consulente della Gallimard, lo rifiuta, anche se più tardi ne riconoscerà la grandezza). Con il secondo volume vincerà il premio Goncourt nel 1919. L'opera, suddivisa in sette libri, fu elaborata durante lunghi anni in cui Proust si era praticamente autorecluso (lavorava di notte in una stanza foderata di sughero per proteggersi dai rumori). Proust morì a Parigi il 18 novembre del 1922.

Schilton con voce espressiva comincia a leggere il celebre passo della Recherche dove il sapore della petite madeleine, dopo anni, ricorda al protagonista le giornate d'infanzia passate a casa della zia malata a Combray. Le prime righe vengono lette in francese, poi prosegue in traduzione italiana:

"La vue de la petite madeleine ne m’avait rien rappelé avant que je n’y eusse goûté; peut-être parce que, en ayant souvent aperçu depuis, sans en manger, sur les tablettes des pâtissiers, leur image avait quitté ces jours de Combray pour se lier à d’autres plus récents; peut-être parce que, de ces souvenirs abandonnés depuis si longtemps hors de la mémoire, rien ne survivait, tout s’était désagrégé".   

("La vista della piccola madeleine non m'aveva ricordato nulla prima che ne sentissi il sapore; forse perché spesso dopo di allora ne avevo viste altre, senza mai mangiarle, sui ripiani dei pasticceri, e la loro immagine s'era staccata da quei giorni di Combray per legarsi ad altri più recenti; forse perché, di ricordi abbandonati per così lungo tempo al di fuori della memoria, niente sopravviveva, tutto s'era disgregato." Tr. di Giovanni Raboni, Milano, Mondadori, 1987).

In questo brano emerge particolarmente il tema della memoria involontaria, connesso con quello della profondità. Proust contrappone la memoria involontaria alla memoria volontaria. Quest'ultima designa il complesso dei ricordi recuperati grazie all’intelletto, che opera un intervento pienamente cosciente per richiamare alla memoria eventi, luoghi e persone. Tuttavia, questi ricordi sono inevitabilmente parziali e non sono in grado di catturare l’autentica essenza del passato (lo stesso Proust scriverà che la memoria volontaria “ci dona del passato soltanto facce prive di verità”, in questo simile ai cattivi pittori), perché non sono in grado di restituirci quell’insieme di sensazioni e sentimenti che caratterizzano un giorno o un momento come qualcosa di irripetibile. Nel caso della memoria involontaria invece noi subiamo la sollecitazione di una sensazione (dal gusto della madeleine all’odore di un gabinetto pubblico sugli Champs Élysées), che ci fa ripiombare nel passato con un processo alogico tale da permetterci però di rivivere il passato come se fosse contemporaneo, costruendo così l’enorme edificio dei ricordi.

Va però sottolineato, come ha osservato Maurice Blanchot in Le Livre à venir, che mentre la memoria involontaria ci permette di esplorare in verticale le profondità del nostro io, la memoria volontaria è l’unica che ci consente di stabilire un tessuto narrativo unitario nel corso del romanzo.

I relatori hanno definito queste tematiche tipiche del Proust più bergsoniano e anti-intellettualistico. Ora, è vero che si può scorgere in questa dicotomia proustiana un’influenza del filosofo Henri Bergson (che era anche suo cugino acquisito), ma sulla questione occorrerebbe fare un paio di precisazioni. Come ha giustamente osservato Stefano Poggi (Gli istanti del ricordo. Memoria e afasia in Proust e Bergson, Bologna, Il Mulino, 1991), “Bergson e Proust manifestano una forte attenzione – che il secondo solo in parte deriva dal primo – per quanto messo in luce dall’osservazione scientifica intorno ai processi della psiche, intorno ai rapporti tra la mente ed il corpo” (p. 11). E già questi interessi scientifici rendono dubbia l’idea che il rapporto Proust-Bergson sia ispirato a un approccio di tipo anti-intellettualistico. In secondo luogo, spesso si obliterano le divergenze tra Proust e Bergson proprio sul tema della memoria e del tempo: per Bergson la vera percezione della realtà non può essere quella dell’istante, mera finzione astratta. Per Proust, invece, nella memoria involontaria sono presenti, come “lampi”, percezioni istantanee, benché esse abbiano senso solo in una distribuzione nel tempo che ci permette di ricostruire un complesso di eventi.

Molto pertinentemente Beretta Anguissola ha anche sostenuto l’esistenza di un Proust “comico”, a molti ignoto, che traspare dalla descrizione di vicende inverosimili e stravaganti o dall’accentuazione dei tratti grotteschi di personaggi come il barone Charlus, fratello del duca di Guermantes, in Sodoma e Gomorra. Dal canto suo, Magrelli aggiunge che per Proust il piacere risulta più rumoroso della sofferenza, anche nelle descrizioni narrative.

Segue poi la lettura dell’episodio della morte di Bergotte di fronte a La veduta di Delft di Vermeer, contenuto ne La prigioniera. La veduta di Delft (esposta a Parigi nel 1921) per Proust è "il quadro più bello del mondo". Bergotte sceglie di morire di fronte al quadro per meglio osservare un piccolo frammento di muro giallo non notato in precedenza. Questo particolare avallerebbe la tesi esposta da Friedrich Nietzsche ne Il caso Wagner secondo la quale il sintomo del decadentismo è il distacco del frammento dalla totalità.

L’episodio è comunque significativo del rapporto profondo che legava Proust con il mondo delle arti. Nella Recherche si delinea quasi una triade ideale composta da uno scrittore, un pittore e un musicista (Bergotte, Elstir, Vinteuil). Bergotte richiama Anatole France, Paul Bourget e forse Proust stesso. Il pittore è un impressionista a metà strada tra Renoir e il simbolismo à la Gustave Moreau. Di Vinteuil viene invece spesso citata una sonata per violino e pianoforte, i cui modelli vanno da Saint-Saëns a Frank, da Wagner a Schubert, da Fauré a Lekeu.

Risulta significativo per gli interessi artistici di Proust anche il capitolo dedicato a Venezia ne La fuggitiva, come anche l’attenzione per pittori come Tiziano e Tintoretto. Proprio a Venezia il protagonista nel battistero avrà un altro momento “epifanico” (per dirla con Joyce), in cui si attiva la memoria involontaria.

Un altro elemento ben messo in rilievo è stato quello della dialettica del senso di colpa: Marcel si ritiene colpevole di una doppia morte, quella di Albertine e quella della nonna, a un punto tale che il senso di colpa lo frena dalla scrittura. In fondo, la storia del Marcel protagonista è quella di un fallimento che diventa vittoria, come il bruco diventa farfalla. Si passa dallo scacco alla vittoria, il che potrebbe suggerire una curvatura cristianeggiante della Weltanschauung proustiana, orientata a decifrare “l’enigma della felicità”.

Enigma che sarà risolto solo quando riusciremo davvero ad attingere il nostro “vero io” sotto le molteplici maschere degli “io di ricambio”. Come ha osservato molto acutamente Remo Bodei, “l’io, che è rivolto tanto verso l’esteriorità, quanto verso l’interiorità, opera una continua traduzione reciproca tra le due dimensioni: condensa inconsapevolmente su oggetti materiali i suoi turbamenti e le sue più recondite aspirazioni per dar loro un supporto espressivo da cui rimontare alla soluzione dei problemi” (Destini personali. L’età della colonizzazione delle coscienze, Milano, Feltrinelli, 2003, p. 133).

Le ultime osservazioni riguardano lo stile: l'uso del linguaggio da parte di Proust viene avvicinato a quello di Henry James per la capacità aracnidea di tessere percorsi lunghi e ricchi di subordinate. L’ipotassi raggiunge il culmine nel brano sulla cosiddetta razza maledetta (quella di Sodoma, mentre l’altra è quella di Gerusalemme): c’è una stesura in cui va avanti per cento righe senza mettere un punto.

La serata si conclude con una lettura di un brano da Il tempo ritrovato, forse influenzato dal filosofo Malebranche: La nouvelle maison de santé.

Pubblicato in: 
GN35 Anno III 17 gennaio 2011
Scheda
Titolo completo: 

Auditorium Parco della Musica, Teatro Studio - Roma

Lunedì 10 gennaio 2011, ore 21,00

VI RACCONTO UN ROMANZO
a cura di Valerio Magrelli

Elia Schilton
legge
Marcel Proust: Alla ricerca del tempo perduto
Introduce Alberto Beretta Anguissola

Anno: 
2011
Voto: 
8.5