Fervore di Buenos Aires. La città metafora dell'universo

Articolo di: 
Teo Orlando – Emanuele Amoroso
Jorge Luis Borges

La raccolta poetica Fervore di Buenos Aires costituisce la prima opera pubblicata da Jorge Luis Borges nel 1923. In italiano era già apparsa, a cura di Domenico Porzio e Hado Lyria, nel primo volume di Tutte le opere del grande scrittore argentino, pubblicato nei Meridiani Mondadori nel 1984.Ora viene ripubblicata in una nuova edizione, curata con pertinenza e delicatezza da Tomaso Scarano, nella Biblioteca Adelphi, con in appendice diciassette poesie inedite e due scritti in prosa. Il curatore accompagna questa nuova edizione con un saggio critico, chiarificatore e al contempo sprone per nuovi approfondimenti.

Come hanno sottolineato Valerio Magrelli e Antonio Melis in occasione della lettura delle poesie di Borges che Angela Finocchiaro ha tenuto il 24 marzo 2010 all’Auditorium Parco della Musica, nonostante la sua conoscenza profonda delle letterature europee, il grande scrittore si riallacciò sempre alle proprie radici argentine, producendo una singolare mistura di spirito cosmopolita e di ricognizione delle tradizioni locali.

Già emergono alcuni temi che diventeranno autentiche ossessioni per il Borges maturo, come l’enigma del tempo (che per Borges, come già per Zenone d’Elea, è un errore postulare come composto da istanti individuali separabili: mirabile in proposito l'interpretazione di Imre Toth), i labirinti, il sogno, l’identità personale, i giochi (in particolare quello degli scacchi): il tutto declinato secondo la poetica di alcune correnti d’avanguardia, come l’ultraismo, che lui stesso aveva contribuito a creare, con uno spirito sarcastico e demolitorio, prima di tornare a forme più classiche.

E in effetti, alcune caratteristiche dell’ultraismo, da Borges stesso individuate in un articolo pubblicato sulla rivista Nosotros nel 1921, si possono senza dubbio ritrovare in questa prima raccolta di poesie: dalla riduzione di ogni elemento lirico alla metafora, intesa come sua matrice primordiale, all’eliminazione di ogni nesso sintattico, sentito come superfluo, fino all’uso di procedimenti retorici che privilegiano la sinestesia o l’ipallage (sintetizzando due o più immagini in una sola, per potenziarne l’alone evocativo).

È molto evidente anche quello che Melis ha chiamato il polo contraddittorio della poesia borgesiana: da un lato una sorta di iperletteratura che si protende fino a confondersi con la scrittura filosofica (è sua l’affermazione per cui la metafisica è un ramo della letteratura fantastica, ricordata spesso anche da Umberto Eco), dall’altra nostalgia per un certo primitivismo, per cui  molte sue poesie e racconti abbondano di descrizioni delle pampas argentine e della vita dei gauchos o di quella dei sobborghi di Buenos Aires (ed a nostro sommesso parere si tratta forse della parte più pesante della produzione dello scrittore argentino).

Del resto, quando ripresentò il libro nel 1969, Borges affermò: «Non ho riscritto il libro. Ne ho mitigato gli eccessi barocchi, ho limato asperità, ho cancellato sentimentalismi e vaghezze». Il Borges giovane e quello maturo sono accomunati dalla venerazione per «Schopenhauer, Stevenson e Whitman», per cui Fervore di Buenos Aires prefigura tutto quel che avrebbe fatto in seguito. La stessa città diventa una sorta di metafora dell’universo: Buenos Aires rivela i suoi segreti al crepuscolo, allorché il silenzio che abita gli specchi «ha forzato il suo carcere», o di notte, quando gli orologi «spargono un tempo vasto e generoso».

Sono i primi prodromi di quella tremenda congettura (tremenda conjetura), che Borges mutua da George Berkeley, Arthur Schopenhauer e Lewis Carroll, per cui il mondo è solo un’illusione della mente umana, una sorta di sogno che rischia di dissolversi quando i sognatori smettono di dormire (immagine ricordata anche in una lirica rock di Peter Hammill): «solo qualche nottambulo conserva,/cenerina e abbozzata appena,/l'immagine delle strade/che poi definirà con gli altri» (y sólo algunos trasnochadores conservan,/cenicienta y apenas bosquejada,/la imagen de las calles/que definirán después con los otros - Amanecer/Alba). Tematica ripresa ad esempio nel racconto “Le rovine circolari” (compreso in Finzioni), che porta come exergue la frase di Carroll And if he left off dreaming about you… (E se egli smettesse di sognare di te…, Through the Looking-Glass, IV).

Abbondano anche le immagini crepuscolari, nella convinzione che il tramonto sia il momento magico sospeso tra la luce di accattivante rifrazione e l’avanzare dell’ombra sugli oggetti. Per l’appassionato di fotografia la speranza è che duri nel massimo fulgore il più a lungo possibile, proprio per poter sfruttare quello scolpire dei contorni altrimenti non godibili in altre ore del giorno. Per Borges rappresenta il chiarirsi delle cose che ci circondano prima che scenda il buio. Forse l’unico istante durante il quale si esce dal sogno, dal ritenere la propria esistenza sospesa, indecisa tra realtà e ambiguità del reale, per poi tuffarsi ancora nel dubbio che informa tutta la produzione artistica dello scrittore argentino.

«Sarà stata quell’ora della sera d’argento/a dare tenerezza alla strada/rendendola reale come un verso/dimenticato e ritrovato» (Quizá esa hora de la tarde de plata/diera su ternura a la calle,/haciéndola tan real como un verso/olvidado y recuperado - Calle desconocida/Strada sconosciuta): Buenos Aires emerge dai versi come luogo simbolo di tale presenza indecisa tra prepotente realtà e disilluso sogno. Scorre il tempo, lo sguardo si spinge verso i confini tra il suburbio e il deserto: non esalta, Borges, la novità frenetica del centro cittadino, la vitalità dei quartieri cosiddetti moderni, bensì tenta le strade periferiche, i cortili desueti, gli androni, i balconi chiusi: ribellione contro un contemporaneo che tenta di eliminare lo scorrere del tempo ripetendo nel vitalismo stereotipi quotidiani.

Tutto il fervore del titolo è nell’arrossarsi dei tramonti e nel riscoprire la propria città con le prime luci dell’alba. Pertanto, non bisogna attendersi versi quasi folcloristici scritti da un poeta al suo esordio e dedicati al luogo che segnerà per sempre la sua fantasia di artista, bensì un’intelligente ed appassionata riflessione umanistica sull’onda dei movimenti culturali scoperti nei viaggi europei e comunque attivi anche nella natia Argentina.

Rivisitati e riscritti vari decenni dopo, questi versi conservano tuttora il proprio fascino, al punto che, per incuriosire ancor di più il lettore, basterebbero quelli finali della splendida El Sur (Il Sud): «aver sentito il cerchio d’acqua/nel segreto pozzo,/l’odore del gelsomino e della madreselva,/il silenzioso uccello addormentato,/la volta dell’androne, l’umido/-forse son queste cose la poesia.» (haber sentido el círculo del agua/en el secreto aljibe,/el olor del jazmín y la madreselva,/el silencio del pájaro dormido,/el arco del zaguán, la humedad/ - esas cosas, acaso, son el poema).

Pubblicato in: 
GN18 Anno II 18 luglio 2010
Scheda
Titolo completo: 

Jorge Luis Borges

Fervore di Buenos Aires ( tit. orig. Fervor de Buenos Aires)

A cura di Tomaso Scarano, con testo originale a fronte

Milano, Adelphi, 2010, pp. 198, euro 14,00

Anno: 
2010
Voto: 
10