Auditorium. Peter Hammill, il dramma e le sue ballads

Articolo di: 
Teo Orlando
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A distanza di due anni dall'ultimo concerto dei Van Der Graaf Generator (2022) e di sette anni dall'ultima sua esibizione solista a Roma (2017), Peter Hammill è tornato a suonare e cantare all'Auditorium Parco della Musica. La sera del 14 novembre, la Sala Studio dell'Auditorium di Roma ha accolto il leggendario cantautore britannico per una performance che ha saputo esemplificare come meglio non si potrebbe la sua poetica musicale: il trinomio di analisi introspettiva, intensità vocale e sincerità artistica ha reso il concerto un vero momento dilatato (fino a 90 minuti) di tensione rarefatta e profondità interpretativa. In un'atmosfera che ricordava più una sala teatrale per Kammerspiel che uno show rock, Hammill, da solo con pianoforte a coda e chitarra acustica, ha dimostrato come la potenza espressiva non necessiti di vacui orpelli.

Il pubblico di circa 300 persone, composto prevalentemente da spettatori tra i 45 e i 50 anni, ha mantenuto un silenzio quasi religioso, interrompendo i momenti più significativi solo con applausi sinceri e calorosi: sembrava un pubblico di musica classica, ma con rituali e modi più simili a coloro che continuano a rimpiangere la giovinezza perduta. Hammill, vestito in bianco e visibilmente segnato dall’età (76 anni) ma sempre magro e agile, ha mostrato una voce ancora in eccellente forma e collaudate capacità esecutive, confermando di essere ancora un maestro nel trasmettere emozioni. Peraltro, vedendolo approssimarsi al pianoforte con i capelli bianchi e lunghi, ci è venuto in mente che somiglia in modo impressionante a quello che avrebbe potuto essere lo scrittore austriaco Thomas Bernhard se fosse vissuto più a lungo. Il paragone non sembri peregrino: è impossibile non notare una simile Stimmung nella declinazione dei momenti dell'esistenza umana e un analogo mood che si respira nei testi dei due artisti, soprattutto se ci si accosta ad alcuni dei romanzi di Bernhard, come Espiazione, Gelo, o Il soccombente: in entrambi, ci sembra, si avverte la consapevolezza che l'arte ha una funzione salvifica, ma che questa salvezza, in realtà, alla fine si rivela una finzione. Una finzione e un fallimento che però permettono la sopravvivenza dell'umanità e rendono la vita più sopportabile. Entrambi esplorano temi universali di alienazione, solitudine, fragilità umana e resistenza contro un mondo spesso percepito come insensato od ostile. Come scrive Bernhard, «Da una oscurità che non è possibile padroneggiare neanche nell’arco di una vita intera, e che infine è diventata totalmente impossibile da padroneggiare, si dovrebbe entrare nell’altra, nella seconda, nell’oscurità finale» (Tre giorni). Sia Bernhard, sia Hammill sono consapevoli che siamo impotenti contro l’oscurità finale, gradualmente impegnata a divorare le nostre vite. Possiamo solo andarvi incontro, coltivandola attraverso il compito della nostra vita.

E non a caso il brano di esordio del concerto è proprio incentrato su questi temi, alla luce della Solitudine e dello Smarrimento. Si tratta di "My Room (Waiting for Wonderland)”, una ballata riflessiva tratta da uno straordinario disco dei Van Der Graaf Generator, quello Still Life che ha osato parafrasare la novella L'immortale di Jorge Luis Borges. Questa ballata meditativa è stata eseguita in modo tenue e scarnificato, con il pianoforte che ha sottolineato la malinconia e l'isolamento del testo: un'introduzione perfetta alla serata.  Senza tutte gli arrangiamenti progressive che lo avevano reso anche musicalmente sublime, Hammill lascia parlare il testo, che rifulge anche nella sua autonomia poetica. Il sottotitolo ("Waiting for Wonderland") si richiama all'album Over, dove Hammill descrive l'angosciosa separazione dalla sua compagna di allora, Alice: unendo il nome a questo sottotitolo, il riferimento ad Alice nel paese delle meraviglie è quanto mai evidente.

La stanza di cui si parla è nient’altro che una metafora atta ad esprimere una radicale solitudine esistenziale e psichica. Non è una stanza fisica, sia pur abitata da fantasmi e spettri, ma un luogo irreale, freddo e oscuro in modo inquietante, dove si attende invano il ritorno della persona amata (che non a caso si chiama Alice): il paese delle meraviglie, la Wonderland tanto desiderata, si è eclissata per sempre. Rimane solo la stanza in cui l’io del poeta/cantore può corrodersi ed angosciarsi in un’attesa infinita, consacrandosi a un’esistenza simile a quella del passeggiatore solitario di Rousseau o del Marcel della Recherche proustiana: oppure, scindendo sé stesso, può sperare nell’amore di un’altra persona:

“Lost in a labyrinth of future mystery,/tracing my steps, all mistaken,/trusting to everything, praying it can be/that I am not forsaken,/I wait by the door, /wondering when you will come and keep me warm” (Perso in un labirinto di futuro mistero,/ ritrovando i miei passi, ogni cosa è confusa, /fidandomi di tutto, pregando che possa darsi/che io non venga abbandonato, /io attendo alla porta, /domandandomi quando verrai a tenermi caldo).

Alla fine rimangono soltanto “sogni, speranze e promesse, frammenti estratti dal tempo” (Dreams, hopes and promises, fragments out of time).

Il secondo brano è la struggente ed insinuante "The Siren Song", originariamente suonata dai Van Der Graaf Generator, con un’essenziale parte strumentale affidata ai violini, ma qui riverberata solo  dalle note cristalline del pianoforte e dalla voce versatile e lanciata in acrobatici falsetti. È un racconto sulla seduzione e sull’attrazione irresistibile verso ciò che potrebbe portarci alla rovina: la natura delle nostre ossessioni e dei nostri motivi di attrazione verso ciò che è più inquietante e perturbante (lo Uncanny/Unheimliche di freudiana memoria). L'interpretazione è stata  insieme dolce e carica di tensione, evocando un’idea di pericolo sottile ma persistente. La melodia si dipana in modo così ammaliante e seducente che viene quasi spontaneo pensare che lo stesso Odisseo abbia ascoltato qualcosa di simile quando si fece legare all’albero maestro per non cadere vittima delle sirene pur continuando a sentire il loro canto. Episodio cui alludono sicuramente i versi hammilliani: though I’m lashed to the mast/still it hammers round my brain (benché io sia avvinto all’albero maestro/mi martella ancora nel cervello).

Il terzo brano è "Just Good Friends", dal disco Patience, che verrà, per altri brani, riproposto varie volte.
È uno sguardo lucido e disilluso sulle relazioni e sulla loro ambiguità. Il pianoforte solo ha dato al pezzo un’intimità particolare, sottolineando la sincerità del testo: una relazione extraconiugale viene delicatamente accennata con pennellate che riprendono il tema della stanza: qui siamo in una stanza di hotel assurta ad allegoria di una delle tante stazioni del viaggio della vita umana:

“Drawing back the curtains, /sluggish city daylight in the afternoon.../here's that special silence, /just before you walk out of the hotel room” (Tirando indietro le tende, / l’indolente luce diurna della città ristagno nel pomeriggio... / Ecco quel silenzio particolare, / poco prima che tu esca dalla camera d'albergo).

Sorprendentemente, come Hammill stesso ebbe a dichiarare, la canzone non fu scritta per motivi sentimentali, ma come risposta alle difficoltà finanziarie in cui si trovò all'inizio degli anni '80. In una tensione tra il suo futuro nell'industria musicale e l'abbandono della sua amata, Hammill esprime tutte le sue amarezze e i suoi rimpianti.

"The Descent" è il brano successivo, dal recente album From The Trees: si tratta di un pezzo che, nella sua ampia spazialità ricorda i toni epici dei Van Der Graaf e anche del meno malinconico Hammill solista. Ma anch'esso descrive la caduta di un essere umano, usando insieme la metafora della scalata e della discesa. Nella sua oscura drammaticità, il brano esplora temi di perdita e caduta, con il pianoforte che scandisce inesorabile un’esplorazione quasi baudelairiana dell’angoscia: "Only yesterday, you were pegging out your tent/Stood abandoned where you left it in your attempt at the descent" (Soltanto ieri stavi montanto la tua tenda/Che rimase abbandonata dove l’avevi lasciata nel tuo tentativo di affrontare la discesa). Si tratta dei tradizionali temi della perdita, dello smarrimento e della scomparsa. L'eroe della canzone è un esploratore che non riesce più a respirare a mano a mano che l'aria diventa più rarefatta.

Con il più ritmato brano "Comfortable",  Hammill si interroga su quanto l’essere a proprio agio possa diventare una trappola. La performance ha avuto un tono più ironico e distaccato, evidenziando il paradosso del testo: è un attacco alle religioni organizzate, con la loro pretesa di offrire consolazioni. Il punto di vista è quello di una donna che vuole solo sentirsi a proprio agio, ma la canzone si dilata, sottolineando la difficoltà di includere in questa visione coloro che aspettano che guariscano le ferite mortali quando l'abisso si avvicina ("wait for the mortal wound to heal when the abyss is adiacent").

Più tenue è "If I Could": canzone che assume come titolo la protasi di un periodo ipotetico e viene eseguita con una delicatezza struggente che ha lasciato il pubblico rapito. Esprime la lontananza ineluttabile che si apre di fronte a due persone che dichiarano di continuare ad amarsi, ma che in realtà si sentono sempre più distanti, come si evince dai versi: "may my voice fall into silence if my words turn out to be lies" (possa la mia voce cadere nel silenzio se le mie parole dovessero rivelarsi menzogne). Compresa nel disco The Future Now, Hammill voleva esprimere anche l’antitesi tra l’artista che deve necessariamente concedersi al pubblico con una dose di finzione (come aveva capito Denis Diderot nel Paradoxe sur le comédien) e la sincerità assoluta che bisognerebbe esprimere nei rapporti di coppia.

"Shingle Song", con il suo testo che evoca immagini costiere e fragilità, ha offerto un momento contemplativo, reso ancora più potente dalla semplicità della chitarra. Appartiene al periodo proto-punk di Hammill, ma  qui è suonata in maniera molto acustica e unplugged, a declinare la sofferenza per un amore perduto, con il protagonista stretto tra l'impotenza e l'abbandono, e a cui rimangono solo i ciottoli di una shoreline, di una spiaggia deserta. L'uomo che rimane da solo sulla spiaggia ma non vuole allontanarsi (all the elements rage to explain/that I should really be on my way/but there is something/which ensures I must stay) richiama certi personaggi di Ingmar Bergman,

La delicatissima Ophelia, eroina shakespeariana dall’Hamlet, è il tema della successiva ballad, che la trasfigura mentre va alla deriva nel fiume (down the river Ophelia goes). Qui la poetica shakespeariana di Hammill emerge in modo evidente. Il richiamo all’immagine della figura tragica è stato reso con una grazia inquietante, con una dichiarata ispirazione anche ai quadri dei pittori preraffaelliti John Everett Millais e John William Waterhouse.

Un livello poetico (e filosofico) notevolmente più alto viene raggiunto in “Driven” (da Clutch), con una serie di sorprendenti riflessioni sul libero arbitrio. Notevole la considerazione per cui in qualche maniera siamo condizionati deterministicamente dal nostro stesso Io: non ci sono affermazioni che possano farci deviare dalla strada su cui siamo stati fissati. Ma a fissarci è stato il nostro stesso io, che ci ha pilotato: “I'm driven by my younger self into a corner./I remember dreaming the open road./I liked to think I had control but my hands on the wheel  were guided by some outside force as my future revealed”: qui viene espressa l’illusione del libero arbitrio in termini che ricordano Arthur Schopenhauer. Siamo, del resto, come voleva William James, una costellazione di io, presenti e passati: “We're driven by our older selves into what we become/and all our careful planning turns out strictly rule of thumb./We're driven by ourselves but dream we're free, on the open road”.

"Gone Ahead", è il pezzo che davvero avvicina Hammill alla poetica wittgensteiniana di Bernhard. Tratto dall'ambizioso album Incoherence (di recente ristampato con inediti), dedicato al tema del linguaggio, esprime la convinzione per cui l'unica vera risposta al problema del linguaggio sarebbe il silenzio: "when the time comes to be silent.../one by one the jaws all drop".

"Patient" lo vede ancora alla chitarra, ad esprimere un pessimismo cosmico che potremmo definire leopardiano: but Nature's not your mother now,/just your suckling nurse (la Natura non è tua madre ora,/ma soltanto la tua nutrice). Tra i momenti più toccanti della scaletta, questa canzone ha esplorato la vulnerabilità e la resilienza, con una vocalità che ha toccato il cuore del pubblico.

"A Better Time" è una canzone ancipite, tutta oscillante tra speranza ottimistica e timore pessimistico, dove il principio di causalità (all we prize and protect [is] only cause and effect, tutto ciò cui diamo un prezzo e proteggiamo [è] soltanto causa ed effetto) viene collocato in un orizzonte dove sembra esserci posto per una finalità, forse trascendente. Tuttavia, nei versi "I'll never find a better time to be alive than now" si nasconde un pericolo "logico":  mentre le cose certamente non potranno essere migliori, dall'altra parte non potranno neppure essere peggiori, sicché appaiono consegnate a una fredda immutabilità.

Eteree risuonano poi le note del pianoforte a scandire "A Way Out": fuori di sesto (out of joint, come il tempo in Shakespeare e come il libro di Philip Dick Time out of joint, Tempo fuor di sesto, 1959) appare ogni illusione umana; non c’è nulla a cui aggrapparsi, né un paracadute a frenare il nostro precipitare. Perché, come dice la successiva canzone, siamo ancora estranei (Stranger Still), in un mondo dominato dall’entropia. Qui Hammill si è addentrato in territori più cupi, esplorando l'idea di fuga e libertà con una tensione palpabile.

Con "Traintime", l’energia narrativa di questo brano ha dato un colpo di coda emozionante alla serata, prima del bis: considerazioni tratte dalla fisica einsteiniana si intrecciano con i tradizionali problemi dell’incomunicabilità umana. Come il tempo sul treno appare più lento al passeggero che si trova sul marciapiede, così ogni messaggio veicolato con un telefono elettromagnetico dal passeggero sul treno raggiungerà quello sul marciapiede come se fosse un rumore di fondo di tonalità bassa, temporaneamente prolungato e difficilmente distinguibile dai disturbi atmosferici, dai fili ronzanti o dal rumore dello stesso treno; ogni tentativo di confinare nel silenzio il passaggio del tempo (shouting down the passage of time) si rivela inutile. Il pezzo si ispira peraltro alla Toccata Op. 11 di Sergej Prokof'ev (1912), e richiede un grande virtuosismo, almeno all’inizio, quando l’esecutore deve ripetere spesso le stesse note, attraverso un interscambio tra la mano destra (che suona una singola nota) e la mano sinistra (che suona la stessa nota con un’ottava più bassa).

La scelta del bis ("Modern") è stata significativa: è un brano che unisce critica e riflessione sull’alienazione moderna. Hammill, solo con la chitarra, ha regalato una performance che sintetizzava il tema della serata: la condizione umana in tutta la sua complessità.  Il brano, peraltro, proviene dal più “abissale” disco della sua immensa produzione, il cupissimo e tenebrosissimo The Silent Corner and the Empy Stage”: visioni di città che sembrano al contempo uscire da Metropolis di Fritz Lang, Blade Runner di Ridley Scott e The Waste Land di Thomas Stearns Eliot si alternano con il mito di Atlantide e il simbolismo biblico incarnato in Gerico o Babilonia, quasi come nei Current 93 di David Tibet. La città diventa comunque un non luogo da incubo, in cui “all the citizens are contagiously insane”.  Ma ben presto si arriva alla tesi per cui le città antiche alludono alla disperazione della modernità, in cui “the life is false, it's killing me”.

Peter Hammill si è confermato un artista capace di toccare corde profonde, sia emotive che intellettuali. La scelta di una scaletta essenziale, accompagnata solo da piano e chitarra, ha messo in luce la potenza della sua scrittura e della sua interpretazione. Una serata che ha saputo commuovere e far riflettere, lasciando il pubblico con la sensazione di aver assistito a qualcosa di unico. Un artista che, anche a 76 anni, continua a sfidare i confini tra musica e poesia.

Alcune riflessioni finali per corroborare il paragone con Thomas Bernhard: in entrambi la stanza diventa un luogo di rifugio ma anche di reclusione, un microcosmo emotivo in cui il narratore cerca di dare un senso alla propria vita.
Nei romanzi Gelo e Il soccombente, i protagonisti sono intrappolati in uno spazio mentale chiuso, in cui il ritiro dal mondo esterno è sia un atto di protezione sia una condanna. In Gelo, il narratore si isola per osservare l’artista Strauch, che rifiuta qualsiasi contatto con il mondo. Entrambi sembrano sottolineare l’ambivalenza della solitudine: necessaria per la creatività, ma profondamente dolorosa. Hammill con "Comfortable" e "Just Good Friends" delinea una riflessione sull'ipocrisia dei rapporti umani e sul compromesso come prassi sociale, a volte in contrasto con i bisogni autentici. Il narratore esprime un disagio verso ciò che è facile e accomodante.
Bernhard, dal canto suo, in opere come Espiazione o Antichi Maestri, smaschera la superficialità culturale e sociale, denunciando l'autocompiacimento e la vanità del mondo artistico e intellettuale. Entrambi condividono una visione disincantata della società, spesso descrivendo la vita come una farsa che soffoca autenticità e verità.
 

Pubblicato in: 
GN3 Anno XVII 18 novembre 2024
Scheda
Titolo completo: 

Setlist
Peter Hammill, Roma, 14 novembre 2024

Auditorium Parco della Musica
Fondazione Musica per Roma
Barley Arts
Te
atro Studio

1. My Room (Waiting for Wonderland) (Still Life)
2. The Siren Song (The Quiet Zone/The Pleasure Dome)
3. Just Good Friends (Patience)
4. The Descent (From The Trees)
5. Comfortable (Patience)
6. If I Could (The Future Now)
7. Shingle Song (Nadir's Big Chance)
8. Ophelia (Sitting Targets)
9. Driven (Clutch)
10. Gone Ahead (Incoherence)
11. Patient (Patience)
12.  A Better Time (X my Heart)
13. A Way out (Out of Water)
14. Stranger Still (Sitting Targets)
15. Traintime (Patience)

Bis:

16. Modern (The Silent Corner and the Empty Stage)