Infancia Clandestina. L’importanza di chiamarsi Ernesto

Articolo di: 
Stefano Coccia
Infancia clandestina

L’importanza di chiamarsi Ernesto. Non come un Ernesto qualsiasi, ma come il grande Ernesto Che Guevara! Questa è la missione che si vede affidare un ragazzino molto sveglio, Juan, quando i genitori decidono di porre fine al temporaneo esilio cubano, tornando così nel paese d’origine, l’Argentina, da cui si erano dovuti allontanare per sottrarsi alla spietata e violentissima repressione dei militari.

Ovviamente in incognito. Sì, perché i genitori di Juan alias Ernesto sono guerriglieri. Sono  Montoneros. Persino il vero nome dell’indomito dodicenne, costretto dalle intemperie politiche di quegli anni a maturare in fretta, ha un background particolare, la cui provenienza ideologica è chiara: i genitori lo hanno voluto chiamare come il loro idolo di un tempo, Juan Domingo Perón. Ma una simile esperienza di governo, con tutti i suoi chiari e scuri, appare sempre più remota. E’ il 1979, già da tempo la spietata dittatura di Videla ha dato il via a quel “Processo di Riorganizzazione Nazionale”, da intendersi più prosaicamente come sterminio sistematico di tutti gli oppositori o di coloro che venivano considerati tali, attraverso una catena sotterranea di rapimenti, torture, depistaggi e brutali uccisioni. Pur così generosa, la mossa con cui la famiglia di Juan ha scelto di partecipare, in clandestinità, alla controffensiva verso il regime, presenta rischi altissimi. Ma le condizioni di assoluta segretezza che caratterizzano il loro ritorno in Argentina vengono viste, da parte di Juan, attraverso il filtro di una fantasia sovreccitata e delle prime pulsioni adolescenziali: il nome fittizio di Ernesto diviene perciò, ai suoi occhi, il pretesto per rievocare le grandi imprese del Che e la sua abilità nel travestirsi, nell’arrivare di nascosto in paesi lontani e organizzarvi la guerriglia.

Visto questo maggio nel corso di un’edizione di CinemaSpagna particolarmente succosa, in quanto arricchita dalle proiezioni della sezione “Latinoamericana”, Infancia clandestina è un film che ha saputo infiammare il pubblico del cinema Farnese, grazie al mix davvero irresistibile di impegno civile e narrazione libera, coinvolgente, ariosa. Particolarmente lieti, quindi, di sapere che una simile opera cinematografica verrà regolarmente distribuita anche in Italia. Per essere il lungometraggio di esordio, quello del giovane Benjamín Ávila (classe 1972) dimostra infatti una maturità insolita, fatta di sensibilità per le immagini, volontà di osare, piglio narrativo spregiudicato e al contempo accessibile per il grande pubblico. Non siamo forse ai livelli di assoluta eccellenza del film che tre anni fa seppe conquistarsi un Oscar (come miglior film straniero) e tanti meritatissimi elogi, ovvero Il segreto dei suoi occhi (“El secreto de sus ojos”) di Juan José Campanella, eppure con Infancia clandestina restiamo nell’alveo di un cinema votato a mescolare, con indiscutibile brio, tracce di genere e tensioni ideali che si orientano, per il loro stesso posizionamento ideologico, verso la parte più sana della società di appartenenza. Non è infatti da trascurare che tale racconto di formazione, in cui la militanza di due Montoneros viene filtrata dallo sguardo del figlio dodicenne, si ispiri in parte alle sofferte vicende biografiche dell’autore: pare che nella realtà storica sia stata solo la madre di Benjamín Ávila a militare, non entrambi i genitori. E fu lei quindi a pagare con la vita sì nobile scelta: la si può infatti annoverare tra le migliaia di desaparecidos, che caddero vittime della repressione.

Assistito in fase di sceneggiatura da  Marcelo Müller, il buon Ávila ha saputo trovare la giusta temperatura di fusione tra la dimensione del ricordo, opportunamente trasfigurato, e la tempistica di un racconto in cui i fatti più drammatici si alternano alle emozioni tipiche dell’età pre-adolescenziale. Scene di un certo impatto emotivo ci introducono al difficile ambientamento di Ernesto/Juan nella nuova scuola, dove però il ragazzino conosce Maria e insieme a lei la prima cotta amorosa, tale da fargli provare una insofferenza sempre maggiore per quella vita perennemente in fuga. Esemplare è anche il personaggio dello zio, mirabile figura di rivoluzionario in cui il desiderio di creare un mondo più giusto non si dissocia mai dall’amore per la vita, dal saper scherzare anche nei momenti difficili. Oltre a un ritmo assai accattivante, Infancia clandestina possiede uno stile vario, movimentato, che a volte ingloba inserti animati in sostituzione delle scene più violente; ed è questo uno strumento espressivo estremamente efficace che rimanda, volendo, alla grande tradizione del fumetto in America Latina, con autori capaci di condensare nelle loro illustrazioni, narrazioni mature e scorie di vicende indubbiamente tragiche; il che ci riporta un po’ alla scelta, per molti versi analoga, effettuata da un maestro come Fernando E. Solanas in una surreale e visionaria pellicola datata 1992, Il viaggio. Un altro importante contributo alla grande presa emotiva del film di Benjamín Ávila arriva infine dalle musiche, con lo scoppiettante brano rock dei Divididos, Living de Trincheras, posto proprio in chiusura.

Pubblicato in: 
GN29 Anno V 28 maggio 2013
Scheda
Titolo completo: 

Infancia Clandestina  
Un film di Benjamín Ávila
Con Natalia Oreiro, Ernesto Alterio, César Troncoso, Cristina Banegas, Teo Gutiérrez Romero.
Drammatico, - Spagna, Argentina, Brasile 2012