Il lago di Kawabata. L'evocativo flusso della memoria

Articolo di: 
Eleonora Sforzi
Il lago, Kawabata

Il romanzo breve di Yasunari Kawabata (1899-1972), intitolato “Il lago” ed edito da Guanda già nel 1983, è recentemente tornato in libreria in una nuova pubblicazione ancora a cura della stessa casa editrice, nella collana “Le bussole” che, presentandosi in formato ridotto, dedica nuovo spazio a libri – da scoprire o riscoprire – diversi fra loro sul piano cronologico e spaziale.

In questo caso si tratta dell'ottavo romanzo, edito in Giappone nel 1954, del primo scrittore giapponese ad essere premiato con il Nobel per la letteratura nel 1968, che unisce ambientazioni e sentimenti legati alla cultura e alla società giapponese di antiche tradizioni, profondamente scossi dalla crisi del secondo dopoguerra, con una struttura narrativa moderna.
“Il lago” ha inizio in medias res, quando il protagonista Ginpei Momoi giunge nella cittadina di Karuizawa dove, mosso da un sentimento di inquietudine e da un senso di colpa che lo assillano, entra in un bagno turco e, durante il percorso di vapori, massaggi e bagni caldi, ripercorre con la memoria gli eventi dell'immediato passato che lo hanno profondamente turbato: l'uomo, infatti, ripensa alla donna che aveva recentemente seguito per strada, secondo un impulso che sentiva da tempo verso il genere femminile. La ragazza, forse pensando che lo sconosciuto intendesse derubarla, gli aveva gettato con forza la propria borsetta: in essa, Ginpei lo aveva scoperto solo in seguito, era contenuta una somma ingente di denaro appena prelevata in  banca.

Nel breve lasso di tempo occupato dalle cure dedicategli da una giovane inserviente, la mente dell'uomo è attraversata da molte preoccupazioni, tanto che mentre apprezza le qualità esteriori e la dolce voce della ragazza i suoi pensieri tornano agli eventi legati a quella pulsione inconscia e incontrollabile, che lo accompagna a partire dalla prima donna che aveva seguito molto tempo prima. Si trattava di un'alunna del liceo dove Ginpei insegnava giapponese, di nome Hisako Tamaki, con la quale aveva avuto una relazione che, non appena venne scoperta, determinò il suo immediato licenziamento e l'inizio di una vita all'insegna di peregrinazioni inconcludenti e prive di legami affettivi, se non quelli desiderati o richiamati alla memoria.

L'episodio della donna con la borsetta, insieme a quello successivo di una giovane col proprio cagnolino, appaiono come piccoli eventi funzionali ad illuminare, tramite numerosi flashback, singoli momenti della vita di Ginpei relativi al passato recente, soprattutto  a proposito del legame instaurato con la studentessa di liceo, ma soprattutto al passato lontano. Proprio in quest'ultimo, infatti, tra sfocati e baluginanti ricordi dell'infanzia, possono essere rintracciate – come si scoprirà lentamente – le radici di antiche ferite e immagini inquietanti da cui nemmeno il passare del tempo era riuscito a liberare l'uomo.
Nel suo paese natale, infatti, Ginpei aveva vissuto da bambino emozioni forti e contrastanti, che avevano scosso la sua innocenza e, quindi, quella delicatissima fase di transizione verso l'età adulta. A questo periodo intermedio risalgono l'orribile visione di un topo morente, la cui immagine si era conservata nella sua mente con toni molto vividi; l'infantile infatuazione per la cugina Yayoi, mai ricambiata; la morte violenta del padre in circostanze misteriose, forse per omicidio, quando aveva solo dieci anni; in seguito, la perdita della madre durante la prima giovinezza, quando Ginpei si era trasferito altrove.
Eventi e momenti incancellabili che, nella loro diversità, avevano sempre coinvolto i suoi affetti più vicini e, soprattutto, appaiono strettamente legati con quel lago cupo e profondo limitrofo alla propria casa d'infanzia: esso, perciò, diventa un luogo simbolo degli abissi sfaccettati e difficilmente sondabili dell'inconscio del protagonista, dove ancora dopo tanti anni albergano nitide visioni dei propri traumi lontani. Questi ultimi, verosimilmente, avevano reso Ginpei, quando era ancora un ragazzo, incapace di esprimere sensazioni ed emozioni: le numerose mancanze di affetto erano state sostituite da un desiderio di vendetta verso lo sconosciuto assassino del padre e, allo stesso tempo, da un senso di ripulsione da se stesso (in particolare, verso il proprio difetto fisico ai piedi) complementare a quello di continua ricerca, inquieta e angosciata, di un contatto umano con il prossimo che, tuttavia, l'uomo non era capace di instaurare.

Il romanzo di Kawabata si presenta, quindi, come un testo dai toni estremamente evocativi e sfumati nel racconto della vicenda di Ginpei Momoi, dominata da un senso di cupo mistero e di amareggiata malinconia, caratterizzata altresì da una raffinata e moderna descrizione psicologica del protagonista, le cui sensazioni e i cui ricordi sono narrati mediante uno stile che privilegia il flusso temporale dell'interiorità, piuttosto che lo scorrere cronologico del tempo della storia. È, a mio avviso, proprio questo stile narrativo basato sulla continua intersezione di singoli momenti del passato recente e di quello più remoto dell'infanzia e dell'adolescenza, che costituisce il tratto distintivo della narrazione di Kawabata: seppur lontana, per immaginario, ambientazione e sentimenti dominanti, dalle abitudini del lettore occidentale, è in grado di avvolgerlo in una vicenda che lo trasporta nel flusso temporale della memoria conscia e inconscia del protagonista - unica fonte di indizi sulla sua identità - verso un finale inconcludente, aperto alle possibili direzioni accennate dalla trama.

Pubblicato in: 
GN42 Anno VII 1° ottobre 2015
Scheda
Autore: 
Yasunari Kawabata
Titolo completo: 

Il lago

(Traduzione di Lydia Origlia), Guanda (Collana: “Le bussole Guanda”), 2015, pp. 188, € 10,00

Anno: 2015