Rizzoli. La guerra civile raccontata da Aldo Cazzullo

Articolo di: 
Giuseppe Talarico
Aldo Cazzullo

Negli ultimi anni una corrente storiografica ha fornito e dato nuove interpretazioni della guerra civile che tra il 1943 e il 1945 divise in modo lacerante e doloroso gli italiani in nome di un revisionismo approssimativo, le cui conclusioni spesso hanno sconcertato alcuni studiosi. Aldo Cazzullo, scrittore e giornalista autorevole del Corriere della Sera, ha scritto un libro bello, profondo e documentato, nel quale viene descritta questa vicenda storica con equanimità, scrupolo storiografico e rispetto assoluto delle fonti e della verità storica. Il libro di Aldo Cazzullo è intitolato Possa il mio sangue servire ed è edito dalla Rizzoli.

Il titolo di questo libro è tratto da una frase che si trova in una lettera scritta dal capitano Franco Balbis ai suoi familiari, prima di essere fucilato. Nella lettera l’ufficiale spera che la sua vita, che ha sacrificato per restituire all’Italia l’onore perduto, possa favorire la rinascita della nazione, umiliata e mortificata dall'occupazione straniera e dall'alleanza tra il regime fascista e il sistema totalitario nazista.

Nel libro il lettore, tra i diversi capitoli che compongono questo vasto affresco storico, troverà riprodotte le lettere dei giovani e dei cittadini che immolarono la loro vita per liberare l’Italia dal nazifascismo. Ciò che colpisce in queste lettere, dei condannati a morte della Resistenza, è la pacatezza degli accenti e l'assoluta mancanza nell’animo di chi sta per essere ucciso, da innocente e incolpevole, di ogni espressione di odio o di rancore. Il giudizio storico sul ruolo che nella Resistenza ebbero i partigiani è netto e chiaro. Com'è stato giustamente osservato, chi spontaneamente dopo l'8 settembre decise di non  aderire alla Repubblica sociale, mettendo a rischio la propria vita, fu mosso da uno slancio ideale e da una motivazione di ordine morale.

Alcuni storici revisionisti, nel tentativo di demitizzare il ruolo dei partigiani, hanno sostenuto che a liberare l’Italia dal nazifascismo furono gli alleati. Pur essendo vero questo fatto storico, le fonti tedesche, che oggi si possono consultare, dimostrano che i partigiani per le loro azioni eroiche  e temerarie erano temuti dagli occupanti stranieri. Dopo l'8 settembre, con la fuga del re verso Brindisi, si ebbe la morte della patria. Tuttavia un ufficiale, Carlo Croce, che comandava le sue truppe sul Monte San Martino, sopra Luino, decise di chiamare il suo gruppo di uomini "Le cinque giornate", per stabilire un legame ideale tra il Risorgimento e la lotta di liberazione dai nazifascisti.

Cazzullo, da scrittore che conosce molto bene i fatti e le vicende umane di chi partecipò alla lotta di liberazione tra il 1943 e il 1945, riesce a dare una nuova rappresentazione di quanto accadde in quegli anni dolorosi e terribili. Fu una lotta corale nella quale un ruolo di primo piano non venne svolto soltanto, come un indirizzo storiografico prevalente per anni ha fatto credere, dai partigiani, ma da persone  diverse per posizione professionale  e condizione sociale: carabinieri, sacerdoti, professionisti, suore, militanti politici, donne, intellettuali e artisti.

Inoltre nel libro viene smentito un convincimento da molti condiviso, secondo il quale la lotta di liberazione fu concentrata prevalentemente nel centro-nord. A Napoli si verificò la insurrezione popolare contro gli occupanti stranieri, le famose quattro giornate, la cui epica vicenda venne raccontata in modo straordinario da Radio Londra, seguita da chi si opponeva ai nazifascisti. In Abruzzo molte città, in seguito a una dura e aspra lotta, furono liberate dalla Banda Maiella, composta da partigiani liberi e coraggiosi.

Nel libro, nel capitolo dedicato al ruolo che ebbero dopo l'8 settembre le forze armate, in seguito all’armistizio, viene rievocata  la tragica storia di Cefalonia. Il comandante Gandin, prima di assumere una decisione, tenne  un referendum tra i suoi uomini, che formavano  la celebre  divisione Acqui,  i quali a Cefalonia decisero di rimanere fedeli allo Stato monarchico e si opposero ai tedeschi, rifiutando di aderire alla Repubblica sociale di Salò dopo la firma dell’armistizio. Molti di questi uomini furono uccisi e trucidati.

Un ruolo importante nella Resistenza per garantire la protezione agli ebrei perseguitati e agli oppositori venne esercitato dalle suore. Due di esse, madre Virginia Badetti e suor Emilia Benedetti, oggi figurano nell’elenco a Gerusalemme tra i giusti delle nazioni, poiché nel convento di Sion a Roma accolsero e salvarono la vita a cento ebrei e a molti perseguitati dai nazifascisti.

Beniamino Andreatta, dirigente di Banca, padre di Nino Andreatta, l’inventore dell’Ulivo, dopo il 1940 viene richiamato nell’esercito con il grado di maggiore. Proprio Beniamino Andreatta, uomo integerrimo e intelligente, è l’autore di un importante memoriale, nel quale viene descritta e raccontata la sofferenza indicibile dei soldati, che, dopo l'8 settembre, rifiutarono di confluire nell’esercito della Repubblica sociale di Salò e per questo vennero internati nei campi di concentramento.

Il rapporto scritto da  Andreatta per lunghi anni è stato colpevolmente ignorato. Fra gli scrittori che con coraggio sovrumano e a rischio della propria vita si rifiutarono di aderire alla repubblica di Salò e per questo vennero rinchiusi nel lager, c’è Giovanni Guareschi, che nel dopoguerra inventerà nei suoi libri due figure archetipiche della guerra fredda, Don Camillo e Peppone. Il sacerdote che compare nel film Roma città aperta, il film di Roberto Rossellini,  è ispirato alla figura di Don Pietro Pappagallo, che in seguito venne fucilato alle Fosse Ardeatine, la rappresaglia decisa dai nazisti a causa  dell’attentato avvenuto  in via Rasella a Roma. Don Pietro Pappagalo a Roma, durante i nove mesi dell'occupazione, non esitò a mettere rischio la sua vita, per garantire un aiuto agli ebrei, ai partigiani, alle donne e agli uomini, ingiustamente perseguitati dai nazifascisti.

Nel libro vi è una parte in cui compare un confronto tra due sacerdoti, l’uno, Don Berto Ferrari, antifascista, l’altro Don Gino Marchesini, sostenitore della Repubblica sociale. Nel racconto storico di Cazzullo questo confronto tra i due sacerdoti  è molto importante, poiché chiarisce che chi si schierò, a differenza di quanto sostiene qualche storico revisionista, con la Resistenza, scelse di stare dalla parte giusta, per restaurare la libertà e la democrazia, mentre chi aderì alla Repubblica Sociale, come Don Gino Marchesini, fu complice di un regime genocida.

Ovviamente molto spazio nella narrazione  viene dato alla terribili stragi di cui si resero responsabili i nazifascisti, con il coinvolgimento della X Mas e del truce comandante Koch, capo di un reparto speciale di polizia della Repubblica sociale italiana: Boves, Marzabotto, Sant’Anna di Stazzena, Cinisello in  Val di Chiana.

Nel libro il lettore trova due capitoli singolari dedicati a due figure diverse per orientamento culturale e storia personale: Edgardo Sogno e Beppe Fenoglio. Edgardo Sogno fu un partigiano liberale, considerato una figura eroica, poiché negli anni della resistenza riuscì per ben tre volte ad evadere dal carcere. Tuttavia non è un caso che Cazzulo gli dedichi tanto spazio. Infatti il racconto della sua vicenda è utile per capire che il movimento partigiano non fu egemonizzato dai garibaldini comunisti, poiché nelle sue file vi furono esponenti cattolici, azionisti, socialisti, monarchici.

Giorgio Bocca fu un partigiano giellista, ossia aderente agli ideali del movimento Giustizia e libertà.  Beppe Fenoglio, l’autore di libri memorabili sulla lotta di liberazione - ricordiamo I Ventitrè giorni di Alba, Una questione privata, Il partigiano Johnny -, aveva intuito che, dopo la fine della guerra, vi era il rischio dell’oblio, dell’uso ideologico della memoria, del travisamento dei fatti, e quindi il  rovesciamento della verità storica. Ecco perché è giusto considerarlo come lo scrittore che meglio di altri ha saputo rappresentare l’epica lotta partigiana.

Tuttavia nel libro non vengono taciute le pagine brutte e dolorose della Resistenza, come la strage di Porzus, nella quale i partigiani comunisti, influenzati dai loro sodali titini, che si muovevano ai confini con la Jugoslavia, trucidarono i partigiani cattolici, fra i quali vi erano Guido Pasolini, fratello di Pier Paolo Pasolini, il grande scrittore, e Francesco De Gregori, zio del celebre omonimo cantautore.

Così come non viene nascosta la verità sui crimini che alcuni partigiani, dopo la conclusione della guerra nel 1945, nel cosiddetto triangolo rosso, perpetrarono  contro gli italiani che avevano aderito alla Repubblica di Salò. Il libro si chiude con un brano tratto da un libro di Ada Gobetti, la moglie del grande intellettuale Piero Gobetti, la quale si chiede se l’Italia rinata, dopo la dolorosa guerra di liberazione, saprà rispettare gli ideali di quanti si immolarono per la libertà e la giustizia. Un libro importante e notevole.

Pubblicato in: 
GN32 Anno VII 2 luglio 2015
Scheda
Autore: 
Aldo Cazzullo
Titolo completo: 

Possa il mio sangue servire, Milano, Rizzoli, 2015. Euro 19,00. Pp. 403.