Santa Cecilia. Vasily Petrenko celebra la battaglia contro i Teutonici

Articolo di: 
Livia Bidoli
Vasily Petrenko

In diretta su RAI Radio3, lunedì 17 gennaio 2011, Vasily Petrenko (1976) ha diretto l’Orchestra di Santa Cecilia insieme al Coro ed al contralto Ekaterina Semenchuck che si cimentava con un capolavoro tra musica e cinema: la colonna sonora che Sergej Sergeevič Prokof'ev (1891-1953) ha scritto per il coetaneo Sergej Michajlovič Ėjzenštejn (1898-1948), la Cantata per mezzosoprano coro e orchestra op.78, Aleksander Nevskij. A completare  il Capriccio italiano op. 45 di Čajkovskij e le Vetrate di Chiesa di Ottorino Respighi.

Eseguito l’ultima volta a Santa Cecilia nel 1996 con la direzione di Valery Gergiev, il Capriccio italiano op.45 è un poema sinfonico che Pëtr Il'ič Čajkovski (1840-1893) scrisse nel 1880 e che intona – dopo l’introduttivo cappello delle trombe – un intreccio di temi ispirati ai Capricci di Glinka dedicati alla Spagna.

In quei giorni Čajkovskij si trovava a Roma e dal 1876 godeva di una lauta rendita dalla sua mecenate Nadežda von Meck, con cui scambiò un epistolario vastissimo, incontrandola solo una volta al matrimonio tra il figlio della Meck, Nikolaj, con la nipote Anna (figlia di una sorella di Čajkovskij). Ken Russell girò un film sul musicista e le sue relazioni tormentate, The Music Lovers del 1971 (L’altra faccia dell’amore per gli schermi italiani), piuttosto immaginoso rispetto alla biografia vera e propria.

Il Capriccio si presenta come un lavoro lirico e giocondo (di circa quindi minuti), anche se intessuto di una melodia malinconica che lo arricchisce, mutandone il respiro e aprendolo ad un'inserzione drammatica (l’Andante) che conferisce spessore alla cadenzata e vibrante direzione di Petrenko, particolarmente a suo agio. Dalle canzoni popolari, che probabilmente Čajkovskij ha ascoltato in quei giorni dal vivo e da cui ha tratto la levità e la brillantezza del pezzo, ne emerge una in particolare, che noi conosciamo come La treccia bionda (il testo ha il famosissimo refrain per gli ascoltatori italiani di: “mamma non vuole papà nemmeno come faremo a fare l’amor”). Questo motivo si presenta in 6/8 ed è sottolineato dagli oboi su un pizzicato di archi (violini e violoncelli) che ritorna anche nella seconda parte dopo  il mesto Andante. Spazio anche ad una vivace tarantella su cui poi si ravviva il motivo della prima canzone popolare per terminare con un Prestissimo finale con gran afflato da parte di tutta l’orchestra.

Le Vetrate di Chiesa (1927) di Ottorino Respighi (1879-1936) sono un lavoro che attendeva da tempo di risuonare nella sala Santa Cecilia fin dal 1949 con la direzione di Francesco Molinari Pradelli. La composizione, nata per il piano (Tre preludi sopra melodie gregoriane) e poi riorchestrata con l’aggiunta di un quarto movimento, è sottotitolata Quattro impressioni sinfoniche per orchestra ed ha una durata di circa 25 minuti. Parte della trilogia romana insieme ai ben più famosi Pini di Roma, Fontane di Roma e Feste romane, rivela l’appena nata passione di Respighi per il canto gregoriano e l‘amico Claudio Guastalla ha collaborato alla sua stesura, suggerendo tra l’altro i titoli e richiamando le fonti di ispirazione al maestro.

Il primo brano, la Fuga in Egitto (Molto lento), è un languido lamento in cui sembra di sovvenire una passeggiata fra quei pini tanto amati e musicalmente declamati, una melopea raccontata dal clarinetto e dal violoncello tratta dal Vangelo di San Matteo. Scosso nella parte centrale, si apre con i fiati e le percussioni in un “forte” clamoroso. I sermoni di San Gregorio Magno sono lo spunto per inscenare il conflitto del secondo movimento titolato San Michele Arcangelo (Allegro impetuoso): l’impeto di gran respiro è improvviso e roboante con l’apertura dei fiati e degli archi gravi in forte come strenua e focosa deve essere stata – il nome al brano è stato dato sotto consiglio di Claudio Guastalla – la battaglia tra San Michele e il drago raffigurata nelle xilografie di Albrecht Dürer, databili tra 1496 e 1498.

Il passo successivo è dedicato alla santa pura e innocente fondatrice delle Clarisse: Il mattutino di Santa Chiara. Attraverso un uso “monastico” delle campane e della celesta viene ritratto l’albeggiante luce della santa svegliata dagli angeli per officiare ai servizi religiosi del mattino sotto Natale (dal XXXV Fioretto di San Francesco).

San Gregorio Magno, dedicato al papa omonimo inventore del canto gregoriano, presenta un canto gregoriano medievale come tema, inziando cupissimo e grave, fa muovere in modo inquietante la musica non colmandone i vuoti nonostante gli attimi di luce dello xilofono. Un respiro ampio, lirico ma severo sembra aprirsi ed improvviso entra l’organo, emblema tout court religioso, come fossimo in una chiesa a celebrare un ufficio sacro. È proprio allora che la musica si libra più eterea e ritmica incuenandosi sul tema principale. Una celebrazione per l’ascensione del papa Santo Gregorio Magno che viene ribadita con il colpo di grancassa finale.

La incomparabile tessitura della musica sul film e la collaborazione di Ėjzenštejn in modo che s’intrecciasse simbioticamente colle immagini filmiche, rendono l’Aleksander Nevskij (1939) di Sergej Sergeevič Prokof'ev un capolavoro ante litteram insieme alle colonne sonore di Dmitrij Dmitrievič Šostakovič (1906-1975). Sebbene la Cantata per Mezzosoprano, Coro e Orchestra op. 78 sia stata riorchestrata (ed è la versione che ascoltiamo di circa 40 minuti), segue passo passo gli eventi narrati sviluppandosi in sette sezioni.

La storia racconta della grande battaglia svoltasi nel 1242 del Principe Nevskij contro gli aggressori della Russia: i mongoli e i Cavalieri Teutonici (i tedeschi), per questi secondi vi è una rivisitazione dei fatti narrati e la loro riattualizzazione ai tempi moderni della seconda guerra mondiale, che minacciava la Russia prima del Patto Ribbentropp-Molotov (1939) che venne poi rotto nel 1941 e che richiama subito alla mente la Leningrado che Šostakovič compose in quell’anno e diretta a Santa Cecilia nel mese di novembre da un altro Petrenko, Kirill.

Sulla base delle forti immagini di combattimento del cineasta russo di La corazzata Potëmkin (1925), Prokof'ev elabora su testi suoi e di Lugoskij, un vibrante e lirico componimento che si muove a partire da un insinuante tema lirico avvincente (1. La Russia sotto il giogo dei Mongoli) col risveglio dei tromboni, per passare subito al canto popolare russo (2. Canto su Aleksandr Nevskij) rinfocolante della vigorìa con ritmo di marcia ed accenti gravi. Il tema grave ritorna continuamente (3. I Cavalieri Teutonici a Pskov) presentando i Cavalieri Teutonici con un canto cupo. La lenta e implacabile avanzata è ricordata da un cromatismo esaperato. La marcia della riscossa viene subito dopo con il canto (4) Sorgi, popolo russo:

Sorgi, popolo russo, / sorgi in armi, gente russa, / per combattere, per lotta re fino alla morte. / Sorgi, o popolo, libero e coraggioso, / a difendere la tua bella, la tua natia terra. / Ai guerrieri vivi, alta fama, / fama immortale ai guerrieri uccisi. / Per la propria casa, per il suolo di Russia, / subito a combattere, a lottare fino alla morte. / Nella nostra grande Russia, nella nostra Patria / non vivrà nemico. Nostra Madre Russia! / Nessun nemico camminerà sulla terra russa. / Nessun esercito nemico percorrerà la Russia. / Nessuno vedrà la strada per la Russia. / Nessuno sconvolgerà i campi della Russia.

Dapprima esortativa, salendo prende ritmo con un vigoroso e stridente accento percussivo raggiunto da trombe e tromboni finali.

Nel quinto movimento (5. La battaglia sul lago ghiacciato), la misteriosa ripresa del tema principale si schiude dissonante su una marcia in crescendo con gli archi tutti su un registro acuto e sinistro (i Cavalieri Teutonici verranno sconfitti perché Nevskij ordina ai suoi di togliersi le armature combattendo sul ghiaccio e facendo perire tutti i nemici sotto l’acqua gelata). Il Coro incita alla battaglia ed i fiati lo contrappuntano subito dopo in modo roboante per lasciare spazio di nuovo agli archi. Il dialogo si fa più serrato tra fiati, ottoni e archi e l’incedere delle percussioni. L’oboe segna il tema lirico ed il trombone quello sinistro. Le marce a più riprese ma quasi incoerenti, data la veloce alternanza anche tra tempi diversi, si rimpastano sempre sul tema lirico-patriottico.

La laude desolata degli archi (6. Il campo dei caduti) su un registro molto basso per il contralto Ekaterina Semenchuck (media voce) è vibrante e caratterizzata da una tragicità senza consolazione sottolineata da violoncelli e viole. La chiosa è celebrativa con il Coro di (7) L’entrata di Aleksandr a Pskov declamata dai piatti conferendo la giusta gioiosità alla vittoria, è evidenziata dai forti e gloriosi accenti di piatti, campane e tam-tam. Lo xilofono colora alleggerendo le Glockenspiel mentre il Coro, che insieme al direttore Vasily Petrenko hanno dato un’ottima prova e concertazione, apre al finale rimbombante e sonoro a piena orchestra. 

Pubblicato in: 
GN36 Anno III 24 gennaio 2011
Scheda
Titolo completo: 

Orchestra e Coro dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia
Vasily Petrenko  Direttore
Ekaterina Semenchuk  Contralto

Concerto di lunedì 17 gennaio 2011 Sala Santa Cecilia - Auditorium Parco della Musica di Roma

Pëtr Il'ič Čajkovski Capriccio italiano op. 45
Ottorino Respighi Vetrate di chiesa

Sergej Sergeeviã Prokofiev 1891-1953
Aleksandr Nevskij
Cantata per Mezzosoprano, Coro e Orchestra op. 78
(1938-39) dal Film di Sergej Eisenstein
1. La Russia sotto il giogo dei Mongoli
2. Canto su Aleksandr Nevskij
3. I Cavalieri Teutonici a Pskov
4. Sorgi, popolo russo
5. La battaglia sul lago ghiacciato
6. Il campo dei caduti
7. L’entrata di Aleksandr a Pskov

Vedi anche: