Bologna 2014. La lezione di cinema di Tornatore al Festival del Cinema Ritrovato

Articolo di: 
Eleonora Sforzi
Tornatore, Lezione di cinema Festival del Cinema Ritrovato

Questa edizione del Festival del Cinema Ritrovato, oltre ad una ricchissima programmazione di pellicole realizzate in luoghi e tempi diversi, ha previsto anche una serie di approfondimenti specifici su singoli film e registi, di cui sono state presentate e commentate varie opere, proiettate in una inedita veste restaurata.
Tra queste disamine, denominate “lezioni di cinema”, solitamente curate da studiosi e specialisti del mestiere, alcune sono state tenute proprio dagli stessi addetti ai lavori, come attori e cineasti significativi nel panorama cinematografico odierno.

È il caso della interessante lezione di cinema che ha avuto luogo all'interno della Cineteca lunedì 30 giugno: Giuseppe Tornatore, abbandonati momentaneamente i panni del cineasta, si è presentato in veste di storico e critico – visibilmente appassionato della materia – analizzando i tratti più significativi del film Salvatore Giuliano realizzato da Francesco Rosi nel 1962, la cui nuova versione restaurata è stata proiettata la sera stessa in Piazza Maggiore.
Suo interlocutore, sempre attivo in tutti gli eventi e gli incontri del Festival, è stato Gian Luca Farinelli, che gli ha rivolto alcune domande. Dalle risposte del regista appare chiara una profonda conoscenza del film preso in esame – che affronta nella dimensione dell'inchiesta le responsabilità, molteplici e opache, dell'omicidio del bandito Salvatore Giuliano – ma soprattutto della poetica cinematografica di Rosi, a cui Tornatore è legato da un rapporto di stima e amicizia reciproche.

Riporto alcuni momenti significativi di questa conversazione.

Farinelli: «Tornatore non è solo uno straordinario autore, è anche uno dei registi che conoscono meglio il cinema italiano e tutte le cose che ha fatto sulla storia del cinema italiano hanno qualcosa di straordinario. Ricordo il suo documentario dedicato a Lombardo, L'ultimo Gattopardo, che è un documentario molto affascinante, molto lucido, pieno di informazioni ma anche estremamente commovente, su una figura di produttore centrale nella storia del cinema italiano. Ho avuto la fortuna di vederlo tre-quattro volte e inevitabilmente mi conquista il pianto.. […] È un film che mi commuove profondamente. Così come il libro che è uscito l'anno scorso, Io lo chiamo cinematografo, la lunga intervista che Tornatore ha fatto a Francesco Rosi: è sicuramente uno dei libri di cinema più appassionanti usciti in Italia e non solo negli ultimi anni. Quindi sono molto grato che, in occasione del restauro di Salvatore Giuliano – che presenteremo questa sera, un restauro molto voluto da Martin Scorsese – lui abbia accettato di venire a presentarlo.
Io partirei da quando hai visto per la prima volta Salvatore Giuliano, che ricordo hai di quella prima volta e che cosa ha rappresentato per te quel film

Tornatore: «Salvatore Giuliano per la prima volta l'ho visto in televisione, quando ancora esisteva solo il primo canale, non esisteva ancora il secondo.. […] Vidi questo film perché me lo segnalò mio padre […], lui evidentemente lo aveva già visto al cinema. Allora quel lunedì – era un lunedì – ci siamo messi davanti al televisore. C'era in quel periodo – si potrebbe persino risalire alla data, io credo fosse il '62-'63 – un ciclo curato da Domenico Meccoli che si intitolava o “L'avventura del cinema italiano” o “L'avventurosa storia del cinema italiano”, una cosa del genere.. Ed erano moltissimi film: un film di Antonioni, uno di Rosi, di Fellini, di Visconti, di Giannini.. Era un ciclo di quindici-sedici film e ogni lunedì ce n'era uno. […] Io già frequentavo la sala cinematografica da un bel po' […], però in genere i primi anni io andavo a vedere i film che vanno a vedere i ragazzini di sei-sette-otto anni al massimo, quindi i film mitologici, i western, i film d'avventura.. Raramente mi era capitato di vedere uno di quei film che in genere ti lasciavano perplesso perché non capivi bene […]. Ecco, Salvatore Giuliano in televisione fu un'esperienza molto particolare perché mi sembrò subito un film che facesse parte di quell'insieme di film non consueti, non normali, non facili e per un ragazzino una lettura di questo film non era facile. Eppure c'era qualcosa che rendeva quel film familiare, ed era la vita, la ricostruzione della vita: la gente si muoveva, parlava, urlava come accadeva al mio paese. Il film si svolge in Sicilia, ma la rappresentazione della vita era esattamente come io la potevo vedere intorno a me per strada e questo mi colpì moltissimo. Le cose che non mi riuscì facile capire le chiesi a mio padre, alla fine mi spiegò bene. Salvatore Giuliano era una figura, ovviamente, della quale avevo sentito parlare molto. Avevo ereditato a casa mia dei fascicoli mensili, che una rivista aveva pubblicato, sulla storia di Salvatore Giuliano, che mio nonno comprava. Quindi un po' era una figura della quale sapevo qualcosa, ma quello che il film raccontava era talmente ricco di considerazioni, di riflessione, che a un ragazzino di sette-otto anni ovviamente non riusciva semplice. Però ricordo l'impatto con la verosimiglianza della vita, quello mi colpì moltissimo e mi fece capire che poteva esserci un altro cinema rispetto a Ercole, Maciste, Ringo, ...che mi piaceva moltissimo»

Farinelli: «Salvatore Giuliano è un film di svolta, sia nella carriera di Rosi sia nel cinema italiano, sia nel modo di raccontare..»

Tornatore: «È un film di svolta. Non solo per il cinema italiano. Quando, all'epoca, il film uscì ci fu un critico francese – autorevole, di cui non ricordo il nome – che scrisse “Il cinema non sarà più come prima dopo Salvatore Giuliano” e aveva ragione, perché fu un film che rappresentò uno schema narrativo, un approccio narrativo assolutamente nuovo. Fino a quel momento nessuno aveva fatto qualcosa del genere ed è stato un archetipo che ha fatto poi scuola, ha ispirato molti registi delle generazioni successive a quelle di Rosi e credo che continuerà a farlo sempre. Registi come ad esempio Scorsese e Coppola non hanno mai fatto mistero di quanto sia stato importante Salvatore Giuliano per il loro amore nei confronti del cinema e per la loro stessa filmografia. Ma tantissimi altri: mi ricordo quando è uscito Insider, un film di Michael Mann, io ho avuto la netta sensazione che dietro quel film straordinario ci fosse una grande conoscenza de Il caso Mattei, poi quando ho conosciuto Michael Mann gliel'ho chiesto e me l'ha confermato […]. In cosa cosa consiste la novità in Salvatore Giuliano? La novità consiste non soltanto nella straordinaria idea di fare un film su un personaggio realmente esistito senza mai farlo vedere, per esempio, dove il bandito Salvatore Giuliano non lo vedrai mai in faccia. Ma soprattutto è un film che fa a meno degli stilemi tradizionali del cinema: quindi non solo quello di non mostrare mai il protagonista, ma per esempio quello di non seguire l'ordine cronologico dei fatti. Si tratta di un'inchiesta, in qualche maniera, dove l'ordine cronologico non c'è, dove la figura principale non la si vede mai e questo dà allo spettatore sin dalle prime immagini una prospettiva assolutamente originale: la prospettiva di chi non vede il film solo per saperne di più su quel personaggio, ma di chi, vedendo il film, conosce il contesto storico-culturale all'interno del quale si è svolta anche la vicenda del bandito Salvatore Giuliano. Questa è la grande idea. Poi, conoscendo Francesco e frequentandolo, avendomi fatto raccontare più volte, la sua idea fu proprio questa (non fu una di quelle idee che talvolta nel cinema nascono in corso d'opera), è stata proprio una sua intuizione, andando a vedere in Sicilia il contesto. Lui capì che raccontare in modo tradizionale la storia del bandito non era la strada da seguire e questo addirittura gli creò un conflitto, una dinamicità di prospettiva con gli sceneggiatori che aveva chiamato a lavorare con lui […]. Sin dall'inizio sciolse la compagnia e continuò a scrivere da solo. Suso Cecchi D'Amico, però, continuò a rimanergli a fianco aiutandolo nella ricostruzione di tutti gli atti che riguardavano la ricostruzione del  processo di Viterbo (nell'ultima parte del film). Insomma, una soluzione assolutamente nuova, mai vista al cinema. Non vedi il protagonista e non vedi i personaggi che in qualche maniera tirano le fila della vicenda: sembra proprio che lui abbia sovvertito radicalmente la logica del racconto cinematografico, consentendoti di capire il contesto, cos'è la Sicilia di quegli anni, cos'è la mafia, cos'è la grande guerra del latifondo, e soprattutto mettendo in piedi un film che ancora oggi, a distanza di cinquant'anni e passa, sfugge tranquillamente al logorio del tempo. Il film è ancora valido, anzi, ancora di più, non si porta addosso rughe di nessuna natura, pur affrontando una tematica molto spigolosa, molto difficile, molto rischiosa anche. Ciclicamente, le cronache ci riportano notizie nuove che in teoria potrebbero sconvolgere il tipo di analisi che si è fatta finora di quelle vicende. Il film di Rosi rimane sempre in piedi, sempre valido, non c'è niente mai che riesce a fiaccarlo, perché dietro c'era stata un'impostazione nella ricerca e nel film da uomo che faceva sì il cinematografo – come dice lui – ma si occupava anche di una materia da grande giornalista, da grande uomo politico, da grande storico, se vogliamo, quindi è riuscito a bypassare tutto ciò che talvolta può creare, in un film che racconta fatti veri, quelle aritmie, quelle rughe, quei segni di inadeguatezza, che il tempo puntualmente imprime ai film o a un certo tipo di cinema. Ecco, Salvatore Giuliano è stato veramente un'innovazione. Scorsese lo dice sempre, è un film che ha visto moltissime volte; anch'io l'ho visto moltissime volte e non mi stanco mai di vederlo perché non sono mai riuscito a decidermi se è più importante Salvatore Giuliano o Le mani sulla città, non sono mai riuscito a capire quali dei due è migliore, perché sono due film talmente straordinari... […]. Sono proprio due grandissimi film. Certamente, l'innovazione stilistica di Salvatore Giuliano, probabilmente, lo rende, nella storia del cinema, più importante de Le mani sulla città. Un film, Salvatore Giuliano, che segna una svolta nel cinema, non soltanto italiano»

Farinelli: «Nel libro c'è anche una frase che trovo molto forte, dove Rosi dice “Capivo che dovevo diventare un monteleprino”, che dà l'idea del coraggio di Francesco Rosi ma anche della sua capacità di cogliere gli obiettivi e la direzione in cui andare. Ecco, se ci racconti di questa avventura di Rosi a Montelepre..»

Tornatore: «Ecco, lui capisce immediatamente che un film come quello non va scritto in un ufficio, a Roma, essendosi informato più o meno approfonditamente sugli eventi e sulle cose, ma un film che deve nascere lì. Quindi lui dice “ho capito che dovevo diventare uno di loro”:  si trasferisce lì e vive con loro, li frequenta e accetta più di una volta di partecipare ad una seduta del Consiglio Comunale con la gente di Montelepre, per spiegare a tutti cosa vuole fare. Incontra i protagonisti di quell'avventura, che sono ancora lì: i carabinieri, la gente, chi è stato con Giuliano e chi ha tradito Giuliano. Lui li incontra tutti, parla con tutti, da ciascuno si fa raccontare come le cose sono andate in base al loro singolo punto di vista e assorbe tutto questo. Diventa amico loro, vive con loro; si comporta in modo tale da superare quella normale diffidenza che c'è nella gente quando incontra qualcuno che viene da fuori e che viene lì pretendendo di raccontare la tua vita. È inevitabile che ci sia la diffidenza […]. Era così; è così ancora oggi. E' normale che quando un narratore va in un luogo pretendendo di raccontare quel luogo, la gente, i protagonisti, in genere sono diffidenti. […] Lui, nel vivere insieme a loro, nel frequentare i luoghi che frequentavano loro, in qualche modo smussa questa naturale frizione e diventa una persona di cui la gente si fida. […] Per lui, diventare un monteleprino voleva dire acquisire il punto di vista di chi era vissuto lì mentre si erano svolti i fatti, ma nel fare questo era riuscito a diventare uno di loro nel senso di essere riuscito a guadagnarsi la loro fiducia. C'è una lettera, che lui riceve a film finito, da uno di Montelepre, una lettera bellissima, […] di grandissimo affetto. È quindi un'esperienza davvero importante, da studiare perché un uomo che in quell'epoca lì va in Sicilia e decide di raccontare quel mondo in questo modo è un fatto unico, non avvenuto altre volte»

Pubblicato in: 
GN36 Anno VI Numero doppio 31 luglio - 7 agosto 2014
Scheda
Titolo completo: 

Lezione di cinema

sul film Salvatore Giuliano, di Francesco Rosi, 1962
Incontro con Giuseppe Tornatore, che ha dialogato con Gian Luca Farinelli

Lunedì 30 giugno 2014, Cineteca di Bologna
In occasione della XXVIII edizione del Festival del Cinema Ritrovato (28 giugno – 5 luglio 2014)