Canale Mussolini di Pennacchi. Stranieri fra italiani

Articolo di: 
Lorena Carpentieri
Canale Mussolini di A. Pennacchi

"Per la fame" (è l'incipit), è solo per la fame che la famiglia Peruzzi (come centinaia di altre dal Veneto e dall'Emilia) ha lasciato il proprio paese in provincia di Ferrara, per scendere nell'Agro Pontino, nella zona detta "Piscinara" delle Paludi Pontine ed occupare il podere 517 del Canale Mussolini.

Il canale che dà il titolo al romanzo è l' asse portante su cui si regge l'opera pubblica di bonifica condotta negli anni Venti e Trenta del Novecento in Italia, di ruralizzazione del territorio infestato sia da animali (prima fra tutti la zanzara anofele, responsabile delle epidemie di malaria) sia da briganti (protetti da una sorta di terra di nessuno) e di costruzione di nuove città (Littoria, oggi Latina; Pomezia, Aprilia, Sabaudia).

Dalla bassa padana e dal Friuli, giù al basso Lazio, in primo piano vicende personali, sullo sfondo di quegli avvenimenti nazionali: mogli, mariti, figli, tanti figli, nonni, nipoti, per un clan generoso d'animo, patriarcale nella forma, matriarcale nella sostanza, come spesso accadeva nelle grandi famiglie contadine di allora.

Tutti hanno seguito il coraggio di Pericle, protagonista carismatico, con i loro caratteri diversi, che non pone in discussione il bene di chi si vuol bene, nonostante le divergenze di opinione. Nella necessità di un pasto e di un tetto per tutti, erano benedette  la fatica e la solidarietà. Amore, passione; fortuna e sfortuna. Onore, quello sempre.

Sullo sfondo, l'Italia dai primi del secolo scorso, "la settimana rossa" e il "biennio rosso", l'avvento al potere del partito fascista, con accenni alle origini compaesane dei suoi leader, da Mussolini (sensibile alle grazie della matriarca), a Balbo e al Rossoni, amico di famiglia dei Peruzzi, fino alle guerre coloniali (illusioni e delusioni), al secondo conflitto mondiale e agli anni Cinquanta.

La ricerca storica, un comprensibile linguaggio misto di italiano e di veneto-ferrarese ("Ognun ga le so rason"), per una storia epica, di largo respiro; che Pennacchi (autore anche de "Il fasciocomunista", - e da cui è stato tratto il film "Mio fratello è figlio unico"- ) ha dichiarato più volte nelle interviste, susseguite dopo la vittoria del Premio Strega 2010, di aver sentito come un imperativo interiore da quando aveva 7 anni di età.

Così come ha sentito lo sradicamento familiare dal paese di origine ("mi sento veneto, anche se parlo romanesco", ha confessato in TV) e la colpevolizzazione d'esser stati considerati, loro, i cd "cispadani" dei ladri di terre dai "marocchini", gli autoctoni  laziali. Stante l'esser stati assegnatari di terre tolte ai ricchi dal regime fascista (quasi come Robin Hood) e averle rese fertili come mai prima, nemmeno ai tempi dell'imperatore Nerone, che per primo pensò di bonificare la zona, senza però fare in tempo.

L'estraniamento si sente ancora nei discendenti dei padri fondatori del popolo veneto-pontino, i quali non furono  propriamente dei "Benvenuti al Sud" (parafrasando il titolo d'un film recente di successo). Eppure "essere stranieri fra stranieri è forse l’unico modo di essere veramente fratelli" (Claudio Magris, "L'infinito viaggiare").

Pubblicato in: 
GN41 Anno III 28 febbraio 2011
Scheda
Autore: 
Antonio Pennacchi
Titolo completo: 

Canale Mussolini

Mondadori 2010, € 20, pp. 460

Collana Scrittori italiani e stranieri