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Lemon Tree. Un muro per i limoni
Un israeliano che gira un film sul muro costruito dagli israeliani. Il giardino di limoni di Eran Riklis è una pellicola che finalmente racconta cosa significhi vivere in un villaggio della Cisgiordania mentre i vicini erigono un muro per difendersi da te e attorno a te.
La bravissima prova di Hiam Abbass, qui nel suo primo ruolo principale con il regista Riklis, ci dà una lezione su quanto possano venir rispettati i diritti dei civili in un territorio occupato come quello palestinese. Nella parte di Salma Zidane, vedova non giovanissima, a cui è rimasto soltanto un frutteto di limoni come sostentamento, Salma è l’incarnazione stessa della volontà e della possibilità di sopravvivere in un sistema completamente sordo alle necessità individuali. Il ministro della difesa israeliano che trasloca accanto a lei, Israel Navon (Doron Tavory), nemmeno dopo le suppliche della moglie e articoli in prima pagina della sua amica giornalista Tamara Gera, si rende conto di quanto sia illogico far abbattere un intero frutteto come misura di difesa dai terroristi.
Non è finita qui, però. Il conflitto si estende al rapporto tra Navon e sua moglie Mira (Rona Lipaz-Michael), a cui pare senza senso questo comportamento intollerante del marito, e che per di più viene lasciata da sola ad affrontare una solitudine senza distensione.
Dall’altra parte abbiamo invece il rapporto che s’instaura tra Salma ed il suo giovane avvocato, Ziad Daud (Ali Suliman), e quanto possa essere repressivo il codice morale arabo applicato alle donne. Non può frequentare tantomeno sposare Ziad perché vedova e lui è più giovane, e a malapena le è consentito di interloquire con lui perché si tratta del suo avvocato. Non la mettono sulla pira come fanno gli indiani alla morte del marito ma il trattamento in compenso le vieta qualsiasi relazione amorosa imponendogli invece il sostentamento solitario dei figli e nessuna ricompensa tanto morale quanto logistica se ci riesce.
Un film per palestinesi, per israeliani “illuminati”, per donne e soprattutto per tutti quegli uomini, la stragrande maggioranza nel mondo soprattutto orientale, che non fanno che asserire quello che la Chiesa di Roma affermava con i suoi stessi Padri, che la donna, per il suo stesso tramite procreativo, era implicitamente diabolica come mezzo di propagazione satanica (soprattutto per le sue arti seduttive: come dire, se rubano i gioielli in un negozio la colpa è della gioielleria che li espone, sic!).
Vincitore del Premio del Pubblico all’ultima Berlinale, lo merita chiaramente per motivazioni politiche e sociali, come spesso hanno dimostrato di scegliere i tedeschi, che hanno saputo abbattere un muro nel 1989 che invece altri, in Medio Oriente, stanno ricostruendo.