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Qualcuno con cui correre. Un'adolescenza trafelata
Oded Davidoff ha girato un film dove la musica si intreccia così soavemente agli avvenimenti, da sembrare che passeggi su di essi quasi per dissimularne l’altrimenti talvolta insopportabile crudezza.
Le musiche originali di Ran Shem-Tov incorniciano questa storia di iniziazione alla maturità di Tamar, la ragazza di 16 anni interpretata dall’espressiva Bar Belfer. Cercando suo fratello Shay (Yuval Mendelson), chitarrista di talento, Tamar si inoltra nei pericolosi bassifondi di Gerusalemme, per salvarlo dalla triste sorte di ogni drogato. La Casa degli Artisti di Pesach accoglie i musicisti di strada ma per sfruttarli e rivendergli la droga, rinforzando così la loro dipendenza da lui, Pesach (Tzahi Grad).
Pesach è un personaggio al di fuori di ogni schema, è quantomeno incredibile pensare che tutti quei ragazzi siano talmente schiavi della droga da assoggettarsi completamente ad un uomo di mezza età vestito come uno scaricatore di porto. Diventa verosimile soltanto nel momento in cui si comprende che un ragazzo dipendente dalla droga non è libero di pensare a soluzioni ragionevoli, bensì soltanto di annichilire ogni giorno dietro un consumo del suo residuo di essere umano.
Tamar però è ben intenzionata a recuperare il fratello ed il suo cane Dinka, perduto proprio nel tragitto verso la Casa di Pesach, lo aiuterà attraverso un altro ragazzo, Asaf (Yonatan Bar Or), che la cerca proprio perché in Israele è vietato abbandonare i cani e quindi per farle una multa (qui è quasi impensabile una ricerca del genere, sic!).
La venatura del film è lirica, sebbene ci si aggiri tra punk e quartieri malfamati, e sono gli stessi ragazzi che, attraverso il libro di David Grossman tradotto in film, hanno ottenuto statuto e parola, che sono intrinsecamente poetici. I loro canti, le loro musiche suonate all’unisono, la stessa mancanza di aggressività è fondamentale a ricostruire una parvenza di umanità, nonostante il pozzo delle lacrime di Pesach, dove si taglia la droga per rivenderla ai ragazzi, come rivela la sconsolata Shely (Rinat Matatov).
Il sospirato e melanconico tema del film di Daniel Salomon ci rende evidente, di tanto in tanto, lievemente alle nostre orecchie, di quanto la quest (ricerca) nell’adolescenza sia impervia e trafelata, come quando si corre, fortunatamente, con qualcuno empaticamente accanto.