Macbeth al Quirino. La fiamma coraggiosa di Lavia

Articolo di: 
Livia Bidoli
Macbeth

Dal primo al 13 dicembre 2009 Gabriele Lavia, con la sua compagnia Lavia Anagni, ha presentato la più maledetta tra le tragedie di Shakespeare, Macbeth (terminata di scrivere nel 1606), al Teatro Quirino di Roma. La storia è ambientata nella seconda guerra mondiale ed i personaggi sono attori che recitano ognuno la propria parte di fronte ad un onnipresente camerino al lato del palcoscenico.

Terra sotto i piedi affannati dei militari che combattono, le tre streghe si avvicinano e chiedono, in tourbillon di fumo acre e tenebroso, di parlare con Macbeth (Gabriele Lavia): inizia la sequela di inganni che condurranno Macbeth ad uccidere il proprio re, Duncan, nella sua stessa dimora. Organizzato strategicamente dalla moglie, l’omicidio avviene di notte, dopo la scena di seduzione sul letto di Macbeth: la moglie lo possiede, anche e soprattutto nella debole ambizione che lo contraddistingue, nell’incertezza che di fronte allo specchio dell’attore diventa ambiguità, retrocessione, disagio. Me lei è forte e dura e chiede di venir mascolinizzata ad Ecate, la dea delle streghe: “Unsex me here” (I, V, 41), toglimi il sesso, permettimi di fare ciò che una donna non potrebbe per sua natura. È questo che richiede Lady Macbeth per ottenere ciò che chiede la sua ambizione, la corona di regina di Scozia.

Guardiamo ancora però sul palco, prima dell’assassinio del re. Lo specchio da camerino tempestato di luci a sinistra del palco indicato prima, due sgabelli per gli attori, per lui, Macbeth, e per lei, Lady Macbeth Giovanna Di Rauso; al lato opposto un baule da dove traggono i travestimenti, come i lunghi trench di taglia oversize, le finte corone di plastica dorata. Uno show che dura due ore e lascia esterrefatti.

Torniamo ancora indietro, alla danza infernale delle streghe, nude ed oblunghe come la morte, profetiche e ingannevoli, come il futuro re, lascive, come la futura regina. Fanno il paio con le tre cameriere, lunghe e affusolate sotto i loro grembiuli bon ton, automatizzate nei gesti come robot assenti nello spirito, che svolgono soltanto funzioni. I tre ciechi come i tre sicari sono di nuovo le streghe ("tre per tre fa nove" dicevano all'inizio) sotto mentite spoglie, loro uccideranno l’amico fedele di Macbeth, Banquo, che non ha altre colpe tranne quella di far parte della profezia delle streghe (“non diventerà re lui stesso ma sarà il capostipite di una dinastia di re”). Ecco, l’ambiguo parlare delle streghe, che si addice ad una profezia quanto ad una mezza verità: ecco il nucleo del dramma dell’uomo Macbeth e del drammaturgo Shakespeare -, che hanno afferrato quell’empietà che riduce l’uomo ad esser schiavo delle “proprie” profezie, delle proprie debolezze, dei propri inganni.

Che cosa direbbe William Shakespeare di questo adattamento di Gabriele Lavia? Direbbe che ha colto non solo l’ultima – tremenda – battuta che l’ha resa famosa, citiamola per intero:

Out, out brief candle!
Life’s but a walking shadow; a poor player,
That struts and frets his hour upon the stage,
And then is heard no more: it is a tale
Told by an idiot, full of sound and fury,
Signifying nothing
.” (V, V, 23-28)

Breve candela, spegniti!
La vita è solo un'ombra che cammina,
un povero attorello sussiegoso
che si dimena sopra un palcoscenico
per il tempo assegnato alla sua parte,
e poi di lui nessuno udrà più nulla:
è un racconto narrato da un idiota,
pieno di grida, strepiti, furori,
del tutto privi di significato!

La brama di Macbeth per il potere è quindi senza requie e senza senso e, mentre la moglie cade in delirio e si impicca dopo giorni di sonnambulismo, il re-attore, poco convinto della sua parte, fa strage della famiglia di MacDuff. Il verso conclusivo della prima scena “Fair is foul and foul is fair”("bello è brutto e brutto è bello"), è il compendio di quest'ambiguità che agisce come leitmotiv dell’intera opera. Ed è allora che finalmente le profezie si realizzano, le profezie dell’uomo, non delle streghe, come la stessa che ricade sul dramma Macbeth, prodigo di sventure ai malcapitati che vi si accingono, generoso verso i coraggiosi che lo colgono, come Lavia, nella sua profondissima quiete di tenebra, dopo che la candela è stata consumata.

Pubblicato in: 
GN4 Anno II 18 dicembre 2009
Scheda
Titolo completo: 

Teatro Quirino di Roma
1-13 dicembre 2009
Compagnia Lavia Anagni
Gabriele Lavia
Macbeth
di William Shakespeare
con Giovanna Di Rauso
scene Alessandro Camera
costumi Andrea Viotti
musiche Giordano Còrapi
luci Pietro Sperduti
regia Gabriele Lavia

Spettacolo dell'11 dicembre 2009

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