The Post. I quaderni del Pentagono

Articolo di: 
Teo Orlando
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Siamo nel 1971: per la prima volta una donna, Katharine Graham (Meryl Streep), diventa l'editrice di un prestigioso periodico, The Washington Post, specializzato in giornalismo d'inchiesta, in una società dove il potere è di norma maschile, mentre il direttore, Ben Bradlee (Tom Hanks), di carattere duro e di indole testarda, agisce con determinazione e sagacia, non fermandosi di fronte a nulla pur di conseguire i suoi obiettivi. Muovendo dalla storia reale della collaborazione di questa singolare coppia, per la prima volta nella sua lunga carriera Steven Spielberg dirige i due attori pluripremiati nella cerimonia degli Oscar, realizzando The Post, una sorta di docufilm storico e d'inchiesta, con tratti da thriller mozzafiato.

La sceneggiatura scritta da Liz Hannah e Josh Singer si rivela fedele agli eventi storici, senza eccedere con iperinterpretazioni che proiettino le vicende in una dimensione troppo "contemporanea". Eccellenti la Streep e Hanks nel riflettere i diversi caratteri di Kay e Ben: apparentemente agli antipodi, sono però molto affiatati quando decidono di intraprendere l’indagine che segnerà una pietra miliare nella storia dell’informazione. Sfruttando una fuga di notizie proveniente da varie fonti, sveleranno al mondo intero come le varie "amministrazioni" della Casa Bianca e della CIA abbiano per decenni coperto informazioni riguardanti la Guerra in Vietnam (i cosiddetti Pentagon Papers), sottraendoli al controllo dell'opinione pubblica e rubricandoli come "segreti governativi".

La lotta contro le istituzioni corrotte e, diremmo oggi in Italia, "deviate" è il cuore del film, che costruisce quasi una storytelling di sapore mitologico sulla libertà di informazione e di stampa. Del resto, già Alexis de Tocqueville, ne La democrazia in America (1835), così si era espresso sul valore della libertà di stampa per la società statunitense, con parole pressoché profetiche: "La stampa esercita [...] un immenso potere in America. Essa fa circolare la vita politica in tutte le zone di questo vasto territorio. Con il suo occhio sempre aperto mette incessantemente a nudo i segreti moventi della politica e costringe gli uomini politici a comparire, di volta in volta, davanti al tribunale dell’opinione. Essa riunisce gli interessi attorno a certe dottrine e formula il simbolo dei partiti; attraverso di essa i partiti si parlano senza vedersi, si intendono senza venire a contatto. Quando un grande numero di organi della stampa giunge a procedere nella medesima direzione, la loro influenza diviene alla lunga quasi irresistibile e l’opinione pubblica, colpita sempre dallo stesso lato, finisce per cedere sotto i loro colpi" (A. de Tocqueville, La democrazia in America, Torino, Utet, 2007, Libro I, p. 223). Peraltro, come ha rilevato il giudice Hugo Black in una sentenza che scagionava il Washington Post e il New York Times dalle accuse di violazione dei segreti militari, "nel rivelare le manovre del Governo che hanno portato alla guerra in Vietnam, i giornali nobilmente hanno fatto esattamente quello che i Fondatori speravano e confidavano facessero", allorché nel Primo emendamento della Costituzione del 1787 proclamorono solennemente l'impossibilità di limitare la libertà di stampa e di parola.

E proprio questo accade nel film: dove le scelte morali e l’etica professionale si concentrano, con il rischio di mettere a repentaglio la carriera dei due protagonisti e perfino la loro stessa libertà personale, nell’intento di svelare all'opinione pubblica ciò che ben cinque Presidenti (Harry Truman, Dwight Eisenhower, John F. Kennedy, Lyndon Johnson e Richard Nixon) hanno nascosto e insabbiato per anni. E intorno al Washington Post (che di recente, nell'era di Donald Trump, ha assunto come motto "Democracy dies in Darkness" a cui il New York Times ha risposto con "The Truth is more important now than ever") viene costruita quasi un'epopea, con giornalisti tutti di un pezzo (Ben è un vero hombre vertical, come si dice in spagnolo) e che non hanno timore di nulla. Ma non è da meno la Graham, che non esita a minacciare il "maschio wasp e sciovinista" fino a profilare la sua cacciata dal "consiglio d’amministrazione". Pur facendo parte dell'élite del paese, non esita infatti a rompere con il suo ambiente e con le collusioni con i vari potentati, al fine di autorizzare la pubblicazione dei Pentagon Papers.

Così non si tirò indietro neppure quando il Washington Post dovette cercare di stipulare un'alleanza pragmatica con uno dei suoi principali concorrenti,  il New York Times: del resto, il primo scoop è da attribuirsi a un redattore del giornale newyorkese, anche se fu il Washington Post a interessarsi in modo assolutamente decisivo alla storia che aveva provocato minacce legali e stava rischiando di far sommergere il New York Times dalla macchina del potere messa in campo dalla Casa Bianca contro la prestigiosa testata.

Forse il ruolo del New York Times nel film è un po' oscurato rispetto a quello del Washington Post, ma è merito di Spielberg (che pure, a differenza di Coppola, Stone o Kubrick, non ha mai girato direttamente un film sulla guerra in Vietnam) quello di aver sottolineato come l'intero affaire in fondo coinvolgeva anche il destino di milioni di persone, tra cui migliaia di soldati americani che combattevano una guerra insensata e che il loro stesso governo non credeva di poter vincere. Così, in pochi giorni, drammatici e concitati, Katharine, l'editrice del Post, determinata ma inesperta, metterà in gioco la sua eredità e darà retta alla propria coscienza, mentre il giornalista Ben dovrà mettere sotto pressione la sua redazione perché vada fino in fondo, con l'unico obiettivo di raggiungere la verità, pur consapevole che tutti i redattori potrebbero essere incriminati per alto tradimento.

La Streep interpreta con grande lucidità il ruolo di una leader che impara a imporsi come donna in un mondo complesso, mentre Hanks è il grande giornalista freddo e determinato che da cacciatore di notizie diventa un uomo che lotta per far emergere la verità. Cosa che nell'attuale polemica sulle fake news assume una dimensione particolarmente inquietante.

La riuscita finale del film è dovuta anche ad alcuni collaboratori storici di Spielberg, come il direttore della fotografia Janusz Kaminsk e lo scenografo Rick Carter. Discrete ma mai fuori luogo le musiche dovute al compositore John Williams, che scandiscono gli avvenimenti che vengono raccontati in un crescendo di tensione fino all'epilogo finale, dove nello studio di Richard Nixon si intravedono i primi bagliori dello scandalo Watergate.

Pubblicato in: 
GN11 Anno X 23 gennaio 2018
Scheda
Titolo completo: 

The Post
Lingua originale:    inglese
Paese di produzione:    Stati Uniti d'America
Anno:    2017
Durata:    115 minuti
Genere:    biografico, storico, drammatico
Regia:    Steven Spielberg
Sceneggiatura:    Liz Hannah, Josh Singer
Produttori:    Amy Pascal, Steven Spielberg, Kristie Macosko Krieger
Produttori esecutivi:    Tim White, Trevor White, Adam Somner, Tom Karnowski, Josh Singer
Casa di produzione:    Amblin Entertainment, Pascal Pictures, DreamWorks, Star Thrower Entertainment, Participant Media, 20th Century Fox
Distribuzione (Italia):    01 Distribution
Fotografia:    Janusz Kamiński
Montaggio:    Michael Kahn, Sarah Broshar
Effetti speciali:    Evan Pileri
Musiche:    John Williams

Interpreti e personaggi
Meryl Streep: Kay Graham
Tom Hanks: Ben Bradlee
Sarah Paulson: Tony Bradlee
Bob Odenkirk: Ben Bagdikian
Tracy Letts: Paul Ignatius
Bradley Whitford: Fritz Beebe
Bruce Greenwood: Robert McNamara
Matthew Rhys: Howard Simons
Alison Brie: Lally Weymouth
Carrie Coon: Meg Greenfield
David Cross: Phil Geyelin
Jesse Plemons: Roger Clark
Michael Stuhlbarg: Eugene Patterson
Zach Woods: Daniel Ellsberg
Pat Healy: Phil Geyelin
Jessie Mueller: Judith Martin

Uscita al cinema 1° febbraio 2018