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Solar Orchestra al Parco della Musica. Il ritorno adamantino di Syd Barrett
La band dei Solar Orchestra, fondata dal chitarrista e vocalist romano Enrico Angarano, è tornata il 16 marzo 2010 sulle scene dell’Auditorium Parco della Musica, dove si era esibita già nel 2008, ma questa volta all’insegna di una rivisitazione di alcuni brani di Syd Barrett, il leggendario cofondatore dei Pink Floyd, scomparso nel 2006 dopo più di un trentennio in cui la sua mente di “crazy diamond” era rimasta avviluppata nelle tenebre della follia.
Come anteriormente a lui era accaduto a Hölderlin e a Nietzsche, prima di ritirarsi dall’attività artistica il musicista di Cambridge, esattamente 40 anni fa, nel 1970, era riuscito a pubblicare due gemme, ossia i suoi due unici album da solista, The Madcap Laughs e Barrett.
Va detto che negli ultimi anni si sta assistendo a una vera rinascita del progressive italiano, che, oltre a rifarsi alle grandi radici della musica britannica degli anni ’70 e ai suoi emuli nazionali, è in grado di mutuare anche gli stilemi della fusion e del cosiddetto post rock, forse i generi più affini al progressive. In questo contesto si inseriscono band come i Nosound, i Mokadelic e i Solar Orchestra, di cui Gothic Network si è già occupato.
In particolare, la band ha eseguito con lo stesso vigore di due anni fa i brani tratti dall’ultimo disco Hearts at Dusk. Si avvertiva però una maggiore compattezza sonora, grazie al sapiente lavoro delle chitarre di Enrico Angarano e Alessandro Bruno e alle tastiere condite da effetti elettronici di Fulvio Biondo. Diversa la vocalist, perché in questa performance Katya Sanna è stata sostituita da Elisa P, che ha coniugato un'intensa performance vocale con un delicato trattamento di uno strumento insolito in siffatti contesti come l’arpa classica.
Il fronte sonoro è stato arricchito dal violoncello elettrico di Gianni Pieri: le sue sonorità oscillavano dal progressive puro (ricordando Graham Smith dei Van Der Graaf Generator, di cui la Solar Orchestra ha introdotto il concerto romano nel 2005, o il violinista dei primi King Crimson, David Cross, con cui pure ha collaborato in un altro concerto romano del 2007) al jazz e alla fusion, con ammiccamenti a Joe Zawinul e a Frank Zappa. Si sono così susseguiti i brani dell’ultimo lavoro e dei precedenti, intervallati da tre pezzi di Syd Barrett.
Sonorità psichedeliche commiste di neoprogressive e di elettronica con vari loop hanno scandito pezzi come The Remote Viewer, Cassandra Crossing, Nowhere Land e Chemical Chain. Di notevole rilievo è stata l’esecuzione di Chapter 24, una delle canzoni più emblematiche di Barrett, inclusa nel primo disco dei Pink Floyd, The Piper at the Gates of Dawn, che ha assunto una tonalità più dark e allucinata, rispetto all’originale.
Il brano si ispira al capitolo 24 dell’antico libro cinese I Ching (Il libro dei mutamenti), dove si spiega il significato dell’esagramma Fû (il Ritorno o la Svolta). Il verso iniziale ("A movement is accomplished in six stages”, Un movimento si compie in sei stadi) è tratto dalle istruzioni che I Ching fornisce per eseguire una divinazione, scandita appunto in sei stadi, ognuno dei quali corrisponde a una fila dell’esagramma. Un’altra evidente allusione alle tematiche sapienziali cinesi traspare nel verso “The time is with the month of winter solstice, when the change is due to come” (Il tempo matura con il mese di solstizio d'inverno, quando il cambiamento diventa necessario). Fû simboleggia anche l'undicesimo mese, che contiene il solstizio d'inverno, ossia il giorno più corto dell’anno, quando la durata della luce del giorno incontra il punto del mutamento a partire dal quale ogni giorno non diventa più breve, bensì più lungo.
Mescolando le sonorità odierne con le origini della psichedelia il concerto ha mostrato come si possa innovare rendendo omaggio nel contempo a colui che ha mostrato al rock nuovi sentieri, con una "groundbreaking experience", contaminando le radici blues della musica popolare del XX secolo con raffinate esperienze d’avanguardia (che poi culmineranno in Ummagumma del 1969) e con testi ispirati a un colto simbolismo di eterogenea provenienza. I Solar Orchestra hanno quasi ricompendiato quarant’anni di sperimentazioni in un contesto che chiameremmo rock solo per comodità: oltre agli influssi che abbiamo richiamato, si scorgono altresì moduli espressivi ricavati probabilmente dal jazz-rock à la Gong fino a citazioni dalla musica classica contemporanea, in un crescendo di virtuosismo tecnico e di sapiente rivisitazione di materiali sonori ormai consegnati alla storia della musica del XX secolo.