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Un Trovatore gotico e onirico al Teatro Pergolesi di Jesi
A Jesi, al Teatro Pergolesi, per la 43° Stagione Lirica di Tradizione, il 27 novembre 2010 (replica il 28) è andato in scena Il Trovatore di Giuseppe Verdi. Il Trovatore, su libretto di Salvatore Cammarano è tratto dal dramma El Trovador di Antonio Garcìa-Gutiérrez e andò in scena per la prima volta a Roma al Teatro Apollo il 19 Gennaio 1853. Si tratta di un'opera profondamente romantica e gotica in cui si scontrano le passioni dei protagonisti.
Verdi rimase affascinato dal violento contrasto in Azucena tra amore filiale per la madre -uccisa sul rogo come strega – e amore materno per Manrico; dopo Rigoletto, quindi un altro personaggio in cui albergano sentimenti opposti e conflittuali.
La regia e ideazione scenica sono stati di Cristina Mazzavillani Muti e furono proposte per la prima volta nel 2003 al Ravenna Festival. La regista ha affermato:”Spazio sonoro, luce, visionarietà: sono queste le dimensioni entro cui la scena e la narrazione trovano corpo. Tutto comincia da lì: da quelle tre consolle, tecnologici intrecci di leve e pulsanti disseminati in platea. La modernità della tecnica multimediale è qui messa al servizio di cantanti giovani, in un grande laboratorio, capace di scongiurare ogni rischio di routine. “
Riguardo allo Spazio sonoro riportiamo quello che afferma Alvise Vidolin, che lo ha progettato, nel programma di sala del Teatro Alighieri di Ravenna, dove per primo è stato ripreso l'allestimento: “L’elettroacustica, in questo caso, non si utilizza per amplificare i suoni, come avviene nella maggior parte della musica “leggera”, bensì per la loro spazializzazione, ovvero per dare loro una precisa posizione nello spazio sonoro. È possibile variare nel tempo tale posizione simulando, in questo caso, un vero e proprio percorso spaziale con velocità e accelerazioni diverse. Oltre a ciò va evidenziato il fatto che si possono simulare veri e propri spazi virtuali grazie ai quali si trasforma l’acustica del teatro in cui avviene l’esecuzione ottenendo così ambienti sonori di dimensioni e caratteristiche acustiche particolari. Diventa quindi del tutto naturale pensare di rendere le note di regia date da Giuseppe Verdi nel suo Trovatore anche sul piano spaziale, come ad esempio alla fine della prima scena del secondo atto quando indica al coro degli zingari: allontanandosi e, nelle ultime battute, molto lontano.”
Sottolineiamo, dopo ripetute esperienze al Teatro Pergolesi, che l'acustica è ottima, per cui il suono ha la sua naturale profondità mentre il suono della voce cambia muovendosi, basta allontanarsi dal palcoscenico per notare l'effetto sopra descritto. Quello aggiunto artificialmente da noi rilevato, è l'effetto d'eco, fortunatamente posto alla fine dei pezzi in modo da non sovrapporsi ai suoni successivi. Vidolin ha collaborato con importanti compositori contemporanei come Berio, Clementi, Donatoni, Nono, Sciarrino, Guarnieri; pensiamo che il fatto che artisti richiedano per le loro composizioni interventi elettroacustici faccia parte di un legittimo processo creativo.
Non abbiamo compreso la necessità di applicarlo ad un'opera che non solo appartiene ad un preciso contesto storico ma che è anche composta da un musicista estremamente attento alla drammaturgia – innumerevoli sono le note di regia scritte nella partitura e quelle espressamente indicate nel carteggio con i librettisti – da uomo di teatro che calcola attentamente gli effetti di ogni dettaglio nella rappresentazione per coinvolgere il pubblico.
La messa in scena è visivamente basata sulle proiezioni di immagini di luoghi di Ravenna calati in una visione onirica. La scena di apertura in cui Ferrando narra l'antefatto della vicenda ha come sfondo capannoni industriali dismessi e diroccati che si intravedono in un ambiente nebbioso in cui spiccano bagliori di fuochi. I colori cupi e lividi ricordano quelli de Il mistero di Sleepy Hollow di Tim Burton (1999) e aggiungono all'ambientazione notturna de Il Trovatore un carattere gotico e onirico. Il racconto di Ferrando è rappresentato come un incubo proveniente da un lontano passato e il coro, invisibile, diviene una presenza inquietante; sensazione accentuata dall'eco finale, effetto che viene replicato nel racconto, vissuto come un incubo allucinato, di Azucena che narra la sua versione dei passati accadimenti.
La seconda e la terza scena della parte prima mantengono questa atmosfera di visione notturna e tetra, contrastando con il fuoco delle passioni che agitano i personaggi, illuminati da una luce laterale rossa che esalta le espressioni del viso e i movimenti scenici. La recitazione dei cantanti, molto vicina alle indicazioni sceniche verdiane, è stata molto curata dalla regista; i giovani interpreti hanno assecondato l'impostazione romantica e gotica rendendo i loro ruoli credibili anche negli aspetti più truci, eccessivi e irrealistici di questa cupa vicenda.
La parte seconda si apre con il racconto di Azucena: il supplizio della madre sul rogo che alimenta il suo odio feroce e allucinato che causa lo scambio tra suo figlio e quello del conte - responsabile dell'uccisione materna - nel momento della vendetta, che le si ritorce contro in quanto brucia il bambino sbagliato. La prima parte del racconto della zingara è indebolito dall'eccesso di proiezioni di serbatoi di petrolio e dalla luce troppo realistica, mentre la seconda, avvolta in una atmosfera fumosa e cupa è molto coinvolgente.
La scena del convento circondato dai boschi in cui si muovono, sempre invisibili, i seguaci del Conte di Luna è molto suggestiva, l'effetto di avvicinamento è ben riuscito e il finale in cui solo i protagonisti sono visibili, mantiene l'affascinante effetto dell'evocazione onirica.
La regia cambia completamente impostazione nella scena dell'accampamento della parte terza passando, da una impostazione gotica e tetra, ad una espressionista, con una luce molto nitida quasi accecante, con il coro visibile e che partecipa all'azione drammatica. I mostruosi ingranaggi che si ingigantiscono per sottolineare il senso della trappola che si chiude su Azucena ricordano le immagini didascaliche di Ejzenštejn per film come Ottobre (1928).
La scena successiva, celebre per la cabaletta del tenore “Di quella pira”, è stata ambientata nella cripta di San Francesco con lo stesso tipo di illuminazione della scena precedente e il coro ben visibile. Non abbiamo capito, al momento della cabaletta, la proiezione di teste di cavalli al galoppo, cche ci è parsa un'immagine ridondante che distrae e nulla aggiunge alla dinamica e alla drammaticità presenti già con forza nella musica.
La stessa impressione l'abbiamo avuta nella grande scena di Leonora che apre la parte quarta, mentre il ritorno all'ambiente cupo e onirico del drammatico duetto con il Conte ci è parso appropriato e così pure tutta la conclusione con il tragico epilogo: “Sei vendicata o Madre e Vivo ancor”. Una regia dunque che in alcune scene ci ha affascinato e coinvolto mentre in altre ci ha lasciato perplessi in quanto ci è parsa discontinua negli intenti.
L'Orchestra Giovanile “Luigi Cherubini” è un buon complesso e ha suonato bene; anche il Coro del Teatro Municipale di Piacenza, seppur spesso invisibile, è stato presente con il canto ricoprendo efficacemente il suo ruolo. La direzione di Nicola Paszkowski ha avuto come pregio l'attenzione ai tempi molto serrati e teatrali, meno le sfumature e le relazioni tra piano e forte.
La preparazione dei cantanti è stata accurata e si è sentito; Antonio Coriano nel ruolo di Manrico, ha interpretato bene un ruolo molto difficile, ed è sicuramente encomiabile per l'esecuzione delle quartine che in genere sono sempre omesse nella famigerata cabaletta - “Di quella pira” - e di aver cantato insieme al coro prima del maledetto do non scritto dall'autore. La Leonora di Anna Kasyan è stata drammatica e appassionata, ha eseguito appropriatamente anche gli abbellimenti, ma ci è parsa più un soprano lirico non a suo agio nelle note più gravi.
Anna Malavasi è stata una convincente Azucena nell'interpretazione teatrale e vocale mostrandosi convincente nel registro acuto come in quello grave, in parte anche Dario Solari nel ruolo del Conte di Luna lo ha reso con efficacia senza ricorrere a effetti truculenti ed eccessivi ma con la necessaria passione.
L'allestimento è stato ripreso in coproduzione tra: Teatro Alighieri di Ravenna, Fondazione Pergolesi Spontini, Teatro dell’Aquila di Fermo, Teatro A. Rendano di Cosenza, Teatro Comunale di Ferrara, Teatro Verdi di Pisa; una iniziativa di cui sottolineiamo la positività per fronteggiare i tagli alla cultura.