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Ute Lemper a Santa Cecilia. Velluto nero per Marlene
Sembra di inoltrarsi nei meandri di un piccolo locale fumoso dalle luci sfavillanti del cabaret con la sinuosa ed algida silhouette di una Ute Lemper in elegantissimo abito nero con spacco vertiginosamente lungo sulle sue gambe esili e nodose, a calcare il palcoscenico dell'Accademia di Santa Cecilia all'Auditorium Parco della Musica, dopo sette anni che mancava: lunedì scorso, il 4 febbraio 2019, con Rendez-vous with Marlene, e ha fatto riempire di nuovo la sala, evocando la diva Marlene Dietrich, la regina del cabaret, prima in Germania e poi al di là dell'Atlantico.
Ute si siede e ci racconta – per lo più in inglese, intervallando talvolta con la sua lingua madre teutonica e con il francese – la prima conversazione al telefono con Marlene: era il 1988 e Ute aveva già pubblicato due cd importanti, ovvero Life is a Cabaret (1987) e la seconda edizione di Ute Lemper Sings Kurt Weill (1988), aveva 24 anni e quattro anni dopo avrebbe debuittato a Berlino nel personaggio che fece di Marlene una diva, Lola, da L'Angelo Azzurro del film di Josef von Sternberg uscito nel 1930.
Marlene voleva confessarsi a Ute, come a un'amica, sorseggiando vodka nella sua casa di Parigi, dove viveva dal 1979, autoesiliatasi dalla sua patria, Heimat ripete Ute, la Germania, dopo la tragedia nazista. Marlene durante la seconda guerra mondiale era emigrata negli Stati Uniti per dare forza agli Alleati e alzare il morale delle truppe, per rinvigorire quei giovani che avevano ipotecato la loro vita per salvare il mondo dalla barbarie. E andava in prima linea, a cantare la sua Marlene, quella diva che parlava con una sconosciuta al telefono dopo che lei, Ute, le aveva scritto una lettera alla quale nemmeno sperava lei rispondesse. E invece, eccola, alla cornetta a conversare col "suo" mito intonando Just a gigolo di Leonello Casucci.
Sul tappeto di note jazzate dal piccolo ensemble con Vana Gierig al pianoforte, Cyril Garac al violino, Romain Lecuyer al contrabbasso e Matthias Daneck alla batteria, si muove la voce calda di Ute Lemper, sensuale e melanconica, che attacca proprio con Where have all the flowers gone di Pete Seeger e continua con One for my Baby di Harold Arlen/Johnny Mercer e ci rivela che la vita è proprio una truffa, ovvero Life's a swindle di Mischa Spoliansky/Marcellus Schiffer. Profondissima, tutta sui toni bassi, come se un velluto nero ci carezzasse le orecchie, si muove questa tigre dal passo felpato, che attende l'arrivo della preda, come Lola di Friedrich Hollaender col povero professore ne L'Angelo azzurro dal romanzo di Heinrich Mann (1905), che ha ispirato il film di von Sternberg; mentre i ragazzi, Boys in the backroom, di Frank Loesser/Friedrich Hollaender, la attendono vogliosi di ascoltare Lili Marleen di Norbert Schulze/Hans Leip.
Chiamano le Ruins of Berlin di Friedrich Hollaender insieme al suo Black Market, probabilmente When the world was young di Johnny Mercer/M. Philippe-Gérard, oppure probabilmente quando ancora se lo poteva permetetre, di essere giovane, nonostante la prima e la seconda Grande Guerra.
Amidst the ruins of Berlin
Trees are in bloom as they have never been
Sometimes at night you feel in all your sorrow
A perfume as of a sweet tomorrow.
Tra una parte e l'altra del concerto c'è uno stacco ed Ute torna in lungo abito bianco da sirena, con quelli che sembrano chicchi di neve carezzanti le sue sinuosità, ed è Cole Porter con Laziest gal in town che la fa inoltrare in una Marlene irresistibile, ancora più bionda, catalizzante come una nuova storia d'amore appena sbocciata tra le parole ancora di Hollaender di Falling in love again da quell'Angelo Azzurro che si snoda tra le pieghe eburnee dei generosi fianchi di Ute.
Ci si risveglia con comodo, svogliatamente con il Dejeuner du matin a firma Jacques Prévert/Joseph Kosma e ci si lascia con Jacques Brel, Ne me quitte pas. Altri tempi, quando Marlene cantava I've grown accustomed to her face di Frederick Lowe/Alan Jay Lerner, e tutto sembrava perdersi fra le ondate di vento di Bob Dylan con Blowin' in the wind, augurandosi sempre di terminare la serata oppure la vita sulle note di Charles Trenet, rimanendo col dubbio: Que reste-t-il de nos amour? Augurandosi sempre però insieme oppure no: I wish you love, come Marlene col suo poeta Rilke o col suo Burt Bacharach.
Un'epoca ha cantato Ute con Marlene, scivolosamente pericolosa e sinuosa, un secolo definitivamente concluso con Marlene sepolta a Berlino nel 1992 che per soli sei giorni ha perduto l'esordio di Ute nel suo film, L'Angelo Azzurro, e per fortuna quei fiori – come nel celebre canto di pace (Friedenslied) Sag mir, wo die Blumen sind (Ditemi, dove sono i fiori, che riprende quello famoso di Marlene nel 1962) che ha intonato all'inizio del concerto in inglese (Pete Seeger, Where have all the flowers gone) – sono ancora fra di noi.