Vittoriano. L'Arca antica degli Armeni

Articolo di: 
Nica Fiori
Vangelo di Mlke (862 d.C.), Venezia Biblioteca di San Lazzaro

Il 24 aprile 1915 segna la data del genocidio degli Armeni da parte dei Turchi: un momento tristissimo per la storia di un popolo che, nonostante tutto, è riuscito a risollevarsi, forse in virtù di una profonda fede religiosa. In occasione del centenario di questa commemorazione il Vittoriano ospita dal 6 marzo al 3 maggio 2015 una mostra con reperti di altissima qualità intitolata “Armenia. Il popolo dell’Arca”, che ci fa conoscere la cultura e la storia di un paese caucasico che per la maggioranza degli italiani è poco conosciuto.

Qualcuno fresco di studi di storia romana forse ricorda il nome del re Tigrane il Grande che si scontrò con le truppe di Pompeo nel 70 a.C., o quello di Tiridate I, che nel 66 d.C. intraprese un lungo viaggio fino a Roma, con un seguito di un migliaio di persone, per farsi incoronare dall’imperatore Nerone, nel quale riconosceva l’incarnazione del dio solare Mitra. C’è poi l’idea, ma anch’essa vaga, che questo paese abbia a che fare con la leggendaria Arca di Noè, fermatasi dopo il diluvio universale sul monte Ararat.

Da questa conoscenza superficiale dobbiamo senz’altro escludere i veneti, per via dei particolari legami attraverso i secoli della Serenissima Repubblica con mercanti, nobili e monaci armeni, e soprattutto per la presenza a Venezia dell’isola di San Lazzaro (o degli Armeni), donata nel 1717 a Mechitar di Sebaste e ai suoi monaci, che costituisce uno dei più importanti centri della cultura armena nel mondo e custodisce alcuni fra i più preziosi codici miniati esistenti.

Il titolo della mostra richiama simbolicamente il monte Ararat, proprio perché l’Armenia affonda le sue radici nella tradizione biblica del Diluvio, per proseguire poi con la religione di Cristo, anzi possiamo affermare che l’Armenia fu il primo paese al mondo ad adottare ufficialmente il Cristianesimo come religione di stato. Il merito di aver portato il cristianesimo in Armenia va a San Gregorio l’Illuminatore che, in pieno clima di persecuzioni contro i cristiani, fu fatto calare dentro un pozzo da Tiridate III.

Un aneddoto vuole che sia rimasto lì a marcire per quindici anni finché il re, dopo aver martirizzato la vergine romana Hripsimé, si ritrovò con la testa trasformata in quella di un cinghiale. Soltanto allora il sovrano decise di liberare Gregorio e miracolosamente la sua testa ritornò alla normalità. Era l’anno 301 e da allora l’Armenia ha dato alla cristianità molti uomini di cultura e di autentica e profonda fede.

Tra questi uno dei più importanti è stato il monaco predicatore Mesrop Mashtots. A lui va il merito di aver dotato la lingua armena, all’inizio del V secolo, di un alfabeto di 36 lettere, uno strumento rivelatosi essenziale per diffondere il cristianesimo nelle diverse regioni del regno e negli stati vicini. Fino ad allora la lingua era esclusivamente orale e per scrivere si utilizzava il siriaco e il greco. Fu proprio l’invenzione dell’alfabeto a far sì che il V secolo venisse poi considerato il secolo d’oro dell’Armenia per l’imponenza della produzione letteraria e artistica e per la nascita di alcune caratteristiche culturali che l’hanno contrassegnata fino ad oggi.

Non deve essere stato facile per questo paese mantenere la sua religione, soprattutto quando si è trovato a dover fronteggiare le impetuose orde islamiche, ma anche in tempi più recenti l’appartenenza all’Unione Sovietica (solo nel 1991 è diventato una repubblica indipendente) lo ha di fatto isolato dal mondo occidentale; ma evidentemente il popolo armeno sente profondamente le proprie radici bibliche e soprattutto l’attaccamento ai suoi santi.

La mostra offre un percorso espositivo decisamente ricco articolato in sette sezioni. I reperti, provenienti da istituzioni e musei, sia armeni sia italiani, raccontano anche le relazioni e le influenze reciproche tra i nostri paesi. Si possono ammirare reperti archeologici, dipinti, vangeli miniati, codici e documenti diplomatici.

Notevoli sono i manufatti in pietra provenienti dal Museo Statale di Storia dell’Armenia di Yerevan. Bellissimi in particolare i capitelli raffiguranti Cristo e la Vergine, come pure una magnifica porta di legno scolpito, e i modelli in pietra di chiese dalla caratteristica cupola. Una tenda liturgica a parete del XVII secolo illustra il rito armeno, caratterizzato da influssi siriaci e bizantini. Numerosi gli oggetti di oreficeria, tra i quali spicca per la sua raffinatezza un reliquiario di San Giorgio con smeraldi, coralli e corniole.

Un intero settore è dedicato alla croce, presente in numerose stele e nei tessuti: croce che si caratterizza come simbolo di rinascita, più che di morte, perché “fiorita”. Accomunata in questa rinascita è l’Arca (sia pure come idea), che salva dalla distruzione ciò che è salvabile, trasmettendo un grande messaggio di speranza.

Una sezione, la sesta, è dedicata al genocidio e a come questo sia stato visto, all’epoca, dai politici italiani. Un esempio è quello di Antonio Gramsci che, in un articolo del 1915, si dichiarava sconvolto dal fatto che si parlasse di più della caduta di uno Zeppelin in Francia che non del genocidio degli Armeni. A dar voce a questi scritti dell’epoca è Paolo Kessisoglu (genovese ma di origini armene), che, ben lontano dalla comicità che lo ha reso famoso insieme all’amico Luca Bizzarri, si dimostra partecipe e commosso nel rievocare con la sua lettura questo crimine contro un popolo, che lo statista Luigi Luzzatti, presidente del Consiglio nel 1918, ha definito “protomartire della violenza umana”.

Pubblicato in: 
GN17 Anno IV 12 marzo 2015
Scheda
Titolo completo: 

“Armenia. Il popolo dell’Arca”
Complesso del Vittoriano, Roma
Dal 6 marzo al 3 maggio 2015
Orari: dalle 9,30 alle 18,30
Ingresso libero

Catalogo della mostra Skira
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