XVII Festival di Musica e Arte Sacra. La Vita celestiale secondo i Wiener

Articolo di: 
Teo Orlando
Wiener Philarmoniker

Nell'ambito della XVII edizione del Festival di Musica e Arte Sacra, martedì 13 novembre 2018 la Basilica di San Paolo fuori le mura ha visto un singolare concerto, con protagonisti i leggendari Wiener Philharmoniker, sia pure in formazione ridotta. Congenialissima però era la musica, per ogni orchestra austriaca un must imprescindibile: si trattava della Quarta Sinfonia in sol maggiore di Gustav Mahler, “La vita celestiale” (Das himmlische Leben).

Dato l'organico ridotto, la partitura era quella che Arnold Schönberg aveva commissionato  al suo discepolo Erwin Stein: correva l'anno 1921, e la rarità delle incisioni fonografiche costringeva il pubblico colto alla fruizione di certe composizioni in ambienti ristretti, come il Verein für musikalische Privataufführungen (Società per esecuzioni musicali private), che in qualche modo sostituiva l'ascolto con riproduzione elettronica. Altra peculiarità è data dal fatto che i tredici membri dei Wiener Philharmoniker si sono esibiti senza direttore.

Il concerto comincia quasi sommessamente, anche perché l’acustica dell'immensa basilica di San Paolo fuori le Mura è più adatta a un’orchestra sinfonica che a un piccolo ensemble: ma i tredici "superstiti" viennesi compiono quasi un miracolo (straordinario in particolare il primo violino) e, pur senza servirsi di un'amplificazione, riescono a rendere la complessità della partitura di Mahler anche da un punto di vista meramente acustico. In realtà, paradossalmente, alcune linee melodiche che nei pieni orchestrali rischiano un po' di essere sommerse, vengono qui particolarmente evidenziate, insieme ad alcuni ritmi particolarmente complessi e desultori.

La sinfonia è stata spesso considerata una sorta di riflessione sui temi della morte e dell’infanzia, dove viene, per così dire, descritto un luttuoso paradiso sognato da anime infantili, non senza la connotazione di una lieve ironia.

Il primo tempo (Bedächtig. Nicht eilen – Riflessivo. Non troppo mosso) ha una linea melodica di ascendenza mozartiana, con i flauti che imitano i campanelli aprendo un tempo insolitamente sobrio, contraddistinto da una sorta di equilibrio classico. Segue una melodia mutuata dal secondo tema dell’Allegro moderato della Sonata per pianoforte op. 122 di Franz Schubert, ma piegata a una sembianza classica, fino a ricordare temi del cosiddetto classicismo viennese, da Mozart a Haydn. Ma si tratta appunto di mera apparenza, come ci ricordano i campanelli iniziali, di cui si potrebbe dire, con il filosofo tedesco Theodor Wiesengrund Adorno, che alludono al fatto che non c’è niente di "vero" in quello che si sta ascoltando. Ossia, il materiale classico viene filtrato attraverso un tema che si snoda in modo quasi scomposto e arruffato, con le parti affidate ai fiati che insidiano la priorità degli archi. E non mancano motivi che sembrano farci piombare in un'atmosfera da caffè viennese di fin de siècle, anche per la scelta di Stein di non evidenziare le voci intermedie, come era tipico delle orchestrine dell'epoca. In ultima analisi, questa parte appare caratterizzata da una sorta di studiata frammentarietà, con le varie membra che ritornano unitarie nello sviluppo salvo poi disgregarsi di nuovo verso la coda
 
Lo Scherzo del secondo tempo (In gemächlicher Bewegung, ohne Hast – Moderato senza affrettare) si connota per la presenza sconcertante di un violino solista apparentemente “scordato” (ma in realtà accordato un tono sopra rispetto all’accordatura canonica), in modo da somigliare il più possibile allo strumento usato nelle danze popolari, il cosiddetto Fidel, poi ripreso dal fiddle del folk americano) simboleggia il “Freund Hein”, una figura tipica dell’arte e della mitologia medievale tedesca, di solito rappresentata nelle vesti di uno scheletro che suona il violino conducendo un Totentanz (danza della morte): con questo trattamento il violino conferisce alla musica un carattere quasi spettrale, fino a raggiungere la tensione di quella danza macabra resa famosa dal poema sinfonico di Camille Saint-Saëns. A questa tensione si alternano tipici ritmi di marcia. Ma si tratta di marce depurate dal loro carattere costrittivo di origine militaresca, così da diventare sogni di una libertà possibile, quasi alludendo a una regressione infantile con il desiderio di parlare una lingua ormai perduta, anche a costo di perdere la propria identità. E in effetti, come ha avvertito Adorno, dietro l’apparente serenità la musica di Mahler appartiene al regno delle ombre, nel quale viene trascinata come la mitologica Euridice nella leggenda di Orfeo. 
 
Il terzo movimento si addice maggiormente all'ensemble, perché già nell'originale si presentava come una raccolta pagina cameristica, dal sapore quasi "notturno" (Ruhevoll. Poco adagio - Tranquillo. Poco adagio). Mahler stesso lo prediligeva, definendolo “la più grande mescolanza di colori mai apparsa”. Si articola su due temi cantabili, di carattere lirico ed estatico, veicolati attraverso una serie di variazioni che ricordano alcuni passaggi della Nona di Beethoven, arrivando però ad incorporare anche varie dissonanze, come è tipico della musica post-romantica: la novità di Mahler qui consiste nel fatto che queste tensioni apparentemente disarmoniche non vengono mai ricomposte in modo definitivo: potremmo dire che qui abbiamo un’anticipazione della visione celeste che verrà poi descritta nell’ultimo movimento. Dopo un’improvvisa esplosione timbrica, infatti, la musica si interrompe bruscamente e affonda di nuovo in una dimensione crepuscolare che evoca paesaggi di silenzio (e pochi come Mahler sanno evocare il rapporto tra musica e silenzio, di cui hanno variamente parlato personaggi diversi come Vladimir Jankélévitch e Robert Fripp). 
 
Il quarto movimento rappresenta per il grande musicista boemo quasi un percorso compositivo “a ritroso”: lo compose infatti nel 1892, in forma di Lied, mentre solo nel 1900 concluse gli altri tre tempi. Esso mette in musica il testo della poesia “Il cielo è pieno di violini” („Der Himmel hängt voll Geigen“) dal ciclo Des Knaben Wunderhorn, dallo stesso Mahler leggermente modificato e intitolato “La vita celestiale” („Das himmlische Leben“). Questo Lied popolare, affidato alla voce del soprano Mojca Erdmann (di cui abbiamo apprezzato soprattutto i toni acuti da soprano leggero, mentre sui bassi la sua voce non appare troppo marcata rispetto ad alcuni passaggi orchestrali), descrive le gioie di un paradiso irreale, apparentemente distante dall’uomo. L’apertura in sol maggiore ci introduce a una rilassante scena bucolica, in cui la voce del soprano presenta una visione ingenua del Paradiso, descrivendo la festa in preparazione per tutti i santi. Ma la scena ha i suoi elementi molto oscuri: un bambino, tramite la voce della cantante, ci spiega che la festa si svolge a spese degli animali, tra cui un agnello sacrificale ("Johannes das Lämmlein auslasset,/Der Metzger Herodes drauf passet,/Wir führen ein geduldigs,/Unschuldigs, geduldigs,/ Ein liebliches Lämmlein zum Tod". - Giovanni lascia l'agnello in libertà/Erode il beccaio all'erta sta:/noi portiamo un paziente,/un innocente, un paziente,/ un caro agnellino alla morte. Trad. di Quirino Principe) che ci ricorda l’analogo agnello di William Blake (The Lamb). Benché qui la simbologia rimandi piuttosto all’universo ebraico che a quello cristiano. Non a caso poeti di forti ascendenze ebraiche, come Paul Celan e Leonard Cohen (The Butcher: "I came upon a butcher,/he was slaughtering a lamb", - mi imbattei in un macellaio,/stava facendo a pezzi un agnello), hanno molto insistito sul tema della vittima sacrificale, di cui l’agnello rappresenta la metafora forse più sfruttata. La vita del paradiso appare come quindi una parodia della vita terrena, al punto che questo movimento viene interpretato come “il commento più radicale sul corso del mondo, che Mahler abbia mai composto” (Iván Fischer). Con ciò si intende che qui nella musica si vuole mettere in risalto che né la fede né l'umorismo e l'ironia saranno in grado di sconfiggere l’inadeguatezza del mondo; la conclusione quasi soffocante è sintomatica: la visione apparentemente ingenua del paradiso svanisce prima della conclusione. "Nessuna musica giù in terra suona" („Keine Musik ist ja nicht auf Erden“), si legge nell’ultima strofa.
 
Si può a lungo discutere se Mahler credesse o no in questo paradiso. Stando a Ken Russell e al suo film Mahler. La perdizione, la conversione dell’ebreo Mahler al cattolicesimo appare come un mero gesto opportunistico, finalizzato ad assumere la direzione della Staatsoper di Vienna. Del resto, lo stesso Adorno, parlando dell’immagine di beatitudine che conclude la sinfonia, sottolinea che si tratta di una descrizione contadina ed antropomorfa per avvertire che il paradiso non esiste, come spesso si riscontra nella miscredenza dei luoghi dove alla conversione forzata è seguita la critica scettica dell’illuminismo. In fondo, quella di Mahler è una sorta di cristologia paradossale di stampo gnostico, che serve il salvatore a tavola all’anima indigente, la quale non avrà mai la sicurezza di ridestarsi. La fantasmagoria del paesaggio trascendente rimane una nostalgia (Sehnsucht) inattingibile.
Il pubblico alla fine ha applaudito con convinzione, ma senza prodursi in una standing ovation: segno probabile del fatto che questa esecuzione in formato "ridotto" ha convinto, ma non entusiasmato.
Pubblicato in: 
GN3 Anno XI 17 novembre 2018
Scheda
Titolo completo: 

XVII Festival Internazionale di Musica e Arte Sacra
Roma e Vaticano
con i Wiener Philharmoniker come orchestra “in residence”


Martedì 13 novembre 2018 ore 21.00
Basilica Papale di San Paolo fuori le Mura
Concerto di Musica da Camera di membri dei Wiener Philharmoniker (Austria)

Gustav Mahler: Sinfonia n. 4 in sol maggiore per soprano e orchestra

1. Bedächtig, Eilen nicht (Riflessivo. Non troppo mosso)
2. In gemächlicher Bewegung, ohne Hast (Moderato, senza affrettare)
3. Ruhevoll, Poco adagio (Tranquillo, poco adagio)
4. Sehr behaglich (Molto comodo): Das Himmlische Leben (La vita celestiale)

Wiener Philharmoniker – Mojca Erdmann, soprano

Arrangiamento di Erwin Stein