Editoriale. L'Opera alla deriva

Articolo di: 
Livia Bidoli
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Purtroppo, tranne qualche sparuto caso, è ormai da un anno che l'Opera è chiusa. Così come i musei, gli altri teatri, gli auditorium, dopo le 18 anche qualsiasi locale ove incontrarsi e fare quella strana cosa che gli esseri umani chiamano "parlare". Al posto di tutto questo abbiamo le restrizioni, una mascherina-bavaglio sulla faccia, bavaglio perchè funziona benissimo in quel senso, quasi nessuno ha voglia di parlare. Le restrizioni, naturalmente, sono giustificate dalla pandemia del virus noto ormai globalmente, il famigerato covid-19 che Sara Cunial ha ribattezzato Covid-1984, prendendo spunto dall'inconsueto totalitarismo delle nazioni occidentali nel gestire l'emergenza.

Chiaro che, se uno andasse in Cina se lo aspetterebbe: lì la censura è quotidiana, hanno un sistema a punti per garantire al Partito Comunista Cinese che i cittadini si comportino bene e seguano le normative, strettissime e antidemocratiche del partito. E numerosi negozi cinesi continuano ad aprire al posto di quelli italiani che, anche senza autarchia nello spirito, è più che evidente stiano tutti tristemente chiudendo.

Oggi ho fatto una passeggiata, di quelle permesse, con me la solitudo, al centro: d'altronde non mi è difficile visto che ci abito e sono arrivata fino a Piazza Beniamino Gigli, ovvero il Teatro dell'Opera di Roma, che, fino a marzo 2020, frequentavo nell'ordine di almeno una volta a settimana. Ho fatto tutto il giro e, purtroppo, ho trovato un unico avventore, lo vedete nella foto, dormiente davanti alla porta del bar dell'Opera, con un piumone per scaldarsi. Accanto, sopra, un manifesto di Zaide, l'unica opera vista ad ottobre, prima che richiudesse (ed ha aperto solo a luglio ed agosto; questa è stata l'unica opera della stagione invernale, per ora).

Sconfortante. Annichilente. Ignominioso.

L'occidente battuto da un virus? Gente rinchiusa nelle proprie case per un virus uscito fuori, non si sa come, da un laboratorio P4 (ne esistono 3 al mondo) di massima pericolosità batteriologica a Wuhan (Cina), dove sperimentano la cosiddetta "gain of function" (virus superman, o meglio, potenziati nelle loro funzioni di contagio e pericolosità per la salute), inaugurato nel 2017 dal primo ministro francese Bernard Cazeneuve, dove ha lavorato il noto Dr. Fauci, dove insomma sono atterrati, fino a marzo 2020, anche fondi della Comunità Europea. In breve, un laboratorio a cui tutti i paesi coinvolti o quasi, hanno "collaborato" in prima persona. Il covid però erà già presente da mesi, probabilmente in una delle sue mutanti varianti, visto che a ottobre 2019 era stato "isolato" (si fa per dire, il covid-19 non è mai stato isolato in tutta la sua carta d'identità) o meglio "trovato" nelle acque reflue di Milano. Chissà come ci è andato a finire! Forse da Barcellona, dove era stato individuato, sempre nelle acque reflue, a marzo 2019. Un virus viaggiatore, al contrario, per fortuna, del dengue, della malaria, del tifo e di tutte quelle malattie tipiche dei paesi in via di sviluppo ("sviluppo" che non procede da decenni: prima si chiamavano "paesi sottosviluppati", ora, nonostante non sia di molto migliorata la situazione, col fallimento inoltre dichiarato della FAO, sono ingentiliti dalla speranzosa parola "in via").

Un virus per cui si è sviluppato, udite udite, un vaccino con i tempi per cui si sviluppano quelli antiinfluenzali; infatti l'influenza stagionale è detta così perchè il virus cambia da anno ad anno. Il punto è che, al contrario dei vaccini notoriamente sviluppati per l'influenza invernale, questo è molto "sperimentale" a detta della stessa Pfizer, una delle case farmaceutiche che lo ha sviluppato. Ma poi, per un virus mutante, a che serve un vaccino? Mica ne avrà una sola di mutazione, ne avrà varie, come dimostra la "temibile" (come dicono) variante londinese.

In tutto ciò, gli unici che non rispettano le zone rosse, gialle, arancioni, tra un po' bianche, dell'Italia che sembra aver cambiato bandiera e preso i toni della bandiera cinese (rossa e gialla), sono i poveri barboni, che possono tranquillamente parcheggiarsi tutt il giorno all'aperto senza tema di diffondere alcunché, in pieno centro di Roma.

Pubblicato in: 
GN10 Anno XIII 11 gennaio 2020