Festival delle scienze. Ferraris e Dennett tra ignoto e metapaura

Articolo di: 
Teo Orlando
Festival delle Scienze

Nell’ambito del Festival delle scienze di Roma il 23 gennaio 2015, dedicato al tema dell'ignoto, si è svolta una singolare performance: un ensemble formato da musicisti del PMCE ha eseguito alcuni brani dall’album Death Speaks del musicista postminimalista David Lang, intervallati sapientemente da una serie di interventi del filosofo Maurizio Ferraris.

Ferraris introduce raccontando un aneddoto riferito alla II guerra mondiale, quando, il 16 aprile 1945, nell’imminenza della battaglia di Berlino il tenente Wust sulle alture di Seelow, che sovrastano l’Oder, aspetta l’attacco finale dell’Armata Rossa. Trema. L’ufficiale chiede a un sergente che lo coadiuva se anche lui sentisse freddo. La risposta, lapidaria, è: “Non è freddo, signor tenente, questa è paura”. 

Del resto, due secoli prima, il 18 giugno 1757, Federico II il Grande, il celebre re di Prussia, apostrofò i suoi granatieri in fuga quasi minacciandoli con le seguenti parole: «Cani, vorreste vivere in eterno?» (Hunde, wollt ihr ewig leben?). Esclamazione che solo a stento dissimulava un’analoga paura dello stesso sovrano.

E perfino il giovane Napoleone, quando da sottotenente di artiglieria all’assedio di Tolone, per incarico della Convenzione contro le forze legittimiste, rispose a un soldato che gli faceva notare che stava tremando: “Se aveste paura quanto ne ho io, sareste fuggito da ore”. In questa risposta paradossale, si coniugava lo sprezzo del pericolo (quindi, in ultima analisi, la paura di aver paura) e l’umano sentimento del terrore di fronte alla morte.

Del resto la paura di aver paura è una sorta di meta-sentimento che alimenta tutte le trame di romanzi e film horror, dove spesso aleggia la paura che fra poco avremo una paura da morire.

Anche le strategie elaborate dai vari filosofi per liberarci dalla paura non sempre hanno funzionato: da quella di Epicuro (per cui la cosa migliore è non pensare alla paura della morte, perché quando quest’ultima c’è noi non ci siamo e quando noi ci siamo la morte non c’è), che in concreto funziona poco, al filosofo cirenaico Egesia, il quale fu un campione ineguagliato di pensiero negativo, al punto da essere soprannominato Πεισιθάνατος (Peisithanatos), “persuasore di morte”. Più di recente, Martin Heidegger in Essere e tempo ha individuato la cifra delll’esistenza autentica nel cosiddetto “essere per la morte”. Per non parlare dei Saggi di Montaigne, per il quale “filosofare è imparare a morire”: la morte è infatti il termine necessario della nostra carriera: sarebbe follia non pensarci, il che spiega il suo quasi morboso interesse per come erano morti gli antichi, i contemporanei, e perfino i vicini di casa. 

Alla paura della morte fanno da controcanto i numerosi miti di resurrezione, relativi a personaggi che dopo la morte rinascono e parlano: Osiride, Mitra, il soldato Er nella Repubblica di Platone, Gesù Cristo. Per non parlare della letteratura fantastica, a cominciare dal Mr. Valdemar di Edgar Allan Poe, citato dal filosofo Jacques Derrida in esergo alla Voce e il fenomeno, la sua interpretazione del problema del segno nella fenomenologia di Husserl: “Sì; no; Ho dormito, e adesso, adesso... sono morto” (e aggiungiamo noi, in racconti come “L’immortale” e “Il morto” di Jorge Luis Borges).

E la paura per l’attesa della vita ultraterrena si traduce in una poesia di Giovanni Raboni scritta pochi anni prima di morire: “Dopo la vita, cosa? ma altra vita,/si capisce, insperata, fioca, uguale,/tremito che non si arresta”. E già Feuerbach aveva capito che la speranza di vita ultraterrena suppone che si possa usufruire del Paradiso in carne e ossa, non come un emaciato ed etereo rappresentante (Stellvertreter) della nostra persona sulla terra.

Questa morte “rassicurante” ci riconduce al coro dei morti di Leopardi, nel Dialogo di Federico Ruysch e delle sue mummie: la mummia si differenzia dallo spettro, perché mentre quest’ultimo fa paura, la mummia tranquillizza i vivi, sostenendo di stare meglio rispetto a quel remoto ricordo che è per loro la vita. 

Subito dopo, l’ensemble attacca il primo pezzo di Lang, “You Will Return”, che grazie alla voce eterea della soprano Patrizia Polia assume un particolare effetto di suggestione, ricordando per certi versi l’“Hymn to The Sun” dall’opera Akhnaten di Philip Glass. Il testo non lascia spazio a molto ottimismo: “You will return/Return to dust/You will turn/Return to dust” (e parimenti David Tibet dei Current 93 così conclude “Niemandswasser”: The songs we'll never know: It shines:/We're all dust/We're all dust). E altri versi (I am your pale companion,/I mirror your pain,/I was your shadow,/ all those long nights, /all those long nights long past) sembrano riprendere la poesia di Heinrich Heine "Der Doppelgänger", inclusa da Franz Schubert nella raccolta postuma di Lieder Schwanengesang.

Anche gli altri brani di Lang (con uno stile che a tratti ricorda i Lieder classici di Schubert o quelli di Strauss e Mahler, e che trae sicuramente fonte di ispirazione dal citato Glass e dal Michael Nyman di Songbook, ripreso in Italia da Stefano Puri con gli Spiritual Front) declinano tematiche analoghe, come “I Hear You” e “Mist is Rising”. 

In ideale correlazione con questa doppia performance filosofico-musicale, dove il tema dell'ignoto è stato declinato in rapporto alla paura, si è svolta anche la serata conclusiva del festival, dove invece l'ignoto e il misterioso erano costituiti dai temi del libero arbitrio e della responsabilità delle azioni umane.

Quand’è che siamo responsabili, moralmente o penalmente, per le azioni che compiamo? Questo è l'interrogativo a cui hanno cercato di rispondere tre filosofi, Mario De Caro, Erin Kelly e Daniel Dennett (collegato in videoconferenza, in quanto impossibilitato a venire a Roma per ragioni di salute).

La risposta dei filosofi consiste nel far dipendere la responsabilità dal libero arbitrio, mentre i giuristi si limitano a sottolineare che essa richiede la capacità di intendere e di volere. Oggi, però, i risultati delle neuroscienze, delle scienze cognitive e della genetica impediscono di accettare pacificamente queste idee. Molti scienziati e filosofi ritengono che noi non siamo mai responsabiliimputabili per le nostre azioni: nessuno, insomma, merita mai il biasimo o la pena. Ecco perché nei paesi anglosassoni c'è chi sostiene che i fomdamenti dell'etica e del diritto andrebbero ripensati in chiave radicalmente utilitaristica. Conclusione a cui pure sembra siano approdati i relatori.

Pubblicato in: 
GN12 Anno VII 5 febbraio 2015
Scheda
Titolo completo: 

Auditorium Parco della Musica - Fondazione Musica per Roma
Festival delle scienze 2015. Decima edizione: L'ignoto e l'importanza del non sapere.
venerdì 23 gennaio 2015
Ore 21
Teatro Studio Borgna
Concerto/Spettacolo

Mare Ignotum. La paura della paura
Con la partecipazione di Maurizio Ferraris, filosofo

Programma
David Lang Death Speaks
Esecuzione in prima europea

Interpreti

Patrizia Polia voce
PMCE Parco della Musica Contemporanea Ensemble
Filippo Fattorini violino
Luca Nostro chitarra elettrica
Lucio Perotti pianoforte

Tommaso Cancellieri regia del suono
A cura di Oscar Pizzo

Domenica 25 gennaio
Ore 19
Sala Petrassi
Dialogo: (In)certezze su libertà e responsabilità

Intervengono:
Erin Kelly, direttore del Dipartimento di Filosofia della Tufts University
(Medford/Somerville, USA)

In collegamento Skype Daniel Dennett, Austin B. Fletcher Professor di
Filosofia e co-direttore del Centro di Studi Cognitivi della Tufts University
(Medford/Somerville, USA)

Introduce Mario De Caro, professore di Filosofia all’Università Roma Tre e alla
Tufts University (Medford/Somerville, USA)