Festival di Salisburgo 2017. Tra l'eburneo ed il cobalto di Lady Macbeth

Articolo di: 
Livia Bidoli
Lady Macbeth

Al Salzburger Festspiele del 2017 nella Großes Festspielhaus voluta da Karajan, l'opera più controversa di Dimitrij Shostakovich (San Pietroburgo, 25 settembre 1906 – Mosca, 9 agosto 1975): Una Lady Macbeth del distretto di Mzensk (in originale russo: Леди Макбет Мценского уезда, Ledi Makbet Mtsenskogo Uyezda) con il libretto di Alexander Preis, che ha avuto la sua premiere a San Pietroburgo (allora Leningrado) il 22 gennaio del 1934 al Maly Operny. Con la premiere il 2 agosto con Nina Stemme già malata, ha avuto una speciale sostituzione con la soprano russa Evgenia Muraveva che ha debuttato a Salisburgo nel ruolo di Katerina Izmajlova. Sul podio il celebrato direttore specializzato sul nostro russo a dirigere i Wiener Philarmoniker, il lettone Mariss Jansons; alla regia Andreas Kriegenburg, famoso per il suo Ring alla Staatsoper di Monaco di Baviera.

La Lady Macbeth di Shostakovich è un vero anticipato momento di appoggio e supporto alla voce di chi considerava oppresso, la donna, esattamente come si considerava ed era lui sotto il regime di Stalin. Non a caso la denuncia di “caos anziché musica” dopo la prima del 1934 apparve immediatamente sulla Pravda il giorno dopo, con la firma celata del dittatore che lo accusò ripetute volte di “formalismo”, ovvero di non comporre musica soltanto nazionalista adoperando i criteri classici. Siamo di fronte ad un'opera colossale, che insedia tra le sue marcette - celebri nella produzione del nostro russo – una evidente parodia del male: dall'ideale passione di Katerina per Sergej quindi, al malefico trottare (il galop) di Boris, il suocero, fino al soffocamento dell'impotente Zinovij, marito di Katerina, i passi di danza, come lo stesso can can di fronte allo stupro della cuoca Aksinja, vengono esaltati per sottolineare la bieca retorica del potere.

Fra i cumuli di macerie di una guerra da poco terminata, tra i grigi ruderi di palazzoni anonimi, si apre prima il palco destinato alla camera di Katerina: sembra quasi un interno di una camera d'albergo di secondo livello, tutta giallina e con un bagno sullo sfondo; in una teca un'icona della Madonna. Katerina piange la sua noia e l'assenza di emozioni, lamentando di essersi sposata e di aver abbandonato l'amata libertà. Evgenia Muraveva si presenta con una voce ben calibrata, emozionante fin dal principio, ben delineando la figura – anche attorialmente – della donna delusa da un matrimonio senza senso e amore, con un uomo succube di suo padre ed impiegato solo a “far di conto”. Poco dopo osserviamo la parte destra della scena dove si apre un'altra camera-ufficio con il marito Zinovij, interpretato dal tenore ucraino Maxim Paster, limpidamente fragile come vuole la figura. E' Boris, il padre, invece, a rappresentare quel potere odiato da Katerina – come in Katia Kabanova era impersonato dalla madre del marito, opere sorelle questa di Shostakovic e quella di Janáček, entrambe sull'oppressione della donna da parte della società russa -, il corposo basso russo, per voce e fisico, Dmitry Ulyanov, che fustiga lei ed il suo amante, Sergej. Katerina, dopo le molestie alla cuoca Aksinja - il bravo soprano russo Tatiana Kravstova, che interpreta anche una forzata - da parte di tutti gli “animali-uomini” del villaggio dove vive, si lascia sedurre dall'avido lavorante, l'ottimo tenore americano Brandon Jovanovich, particolarmente virile, che guida il branco all'assalto. Il discorso di Katerina agli uomini si profila come una vera rivincita – almeno a parole – della dignità femminile, che però viene subito fagocitata dalla sua intrinseca vulnerabilità, che la conduce al delitto, prima del suocero – che aveva anche tentato di violarla – e poi del marito che scopre la tresca fra lei e Sergej.

La tragedia annunciata dalle prime note lamentose del primo atto non ha che un crescendo: i rapporti tra le persone sono solo sulla base degli istinti “voraci”, come nota Katerina di notte quando osserva gli amplessi tra gli operai, “intercourse” di breve durata che lasciano il tempo che trovano, alieni entrambi gli uni agli altri. Lo stesso prete – il bravo basso russo Stanislav Trofimov - è laido quanto loro, proponendosi a Katerina financo durante il matrimonio che segue ai due omicidi e che condurrà la polizia ad incarcerare lei ed il suo amante per il duplice assassinio. Una nota a parte merita la rappresentazione dei poliziotti a far di cucito nella caserma, annoiati anche loro dall'insensato vuoto che li circonda.

Due sono le luci cangianti, a cura di Stefan Bolliger, che rivestono il palco come Katerina: il bianco ed il blu: tremolanti come in un terremoto nei momenti di asprezza musicali e drammatici, permeano il palco e le emozioni che suscitano, a delineare un assioma cromatico a doppia mandata. Da una parte il bianco del vuoto, e dell'infausta mancata purezza di Katerina che lo indossa incautamente al matrimonio con Sergej; dall'altra, il blu cobalto della tristezza scalpitante di desiderio di lei, che la aggancia all'agonia finale.

Ed è così che la camera di Katerina diverrà la sua cella, mentre l'ufficio del marito quello delle guardie, in tumuli di grigio che formano un unicum tra le scene di Harald B. Thor ed i costumi a cura di Tanja Hofmann, perfettamente calibrati con il movimento scenico dei cantanti, dell'incredibile attorialità del Wiener Staastsopernchor diretto da Ernst Raffelsberger a livello musicale e dall'attentissimo regista Andreas Kriegenburg, che ha modellato due palchi ulteriori con il moto dei macchinari, a formare prima il villaggio e poi la prigione dei condannati alla Siberia.

La doppia impiccagione, di Katerina che trascina Sonetka nel fiume gelato con lei – il soprano russo  Ksenia Dudnikova – che aveva sedotto Segej ormai stufo di lei, è un'ovvio finale che lascia ancora di più agghiacciare al grido del sergente che vieta di aiutarle col monito di uccidere anche loro. Una messinscena grandiosamente calibrata in tutti i suoi apici perfettamente sincronica con la resa musicale che ha scelto un direttore come Mariss Jansons a dirigere i Wiener Philarmoniker – una garanzia di eccellenza di per sé a prescindere - che rappresenta il non plus ultra per Shostakovich e di cui consiglio l'incisione per Warner di tutte le sue sinfonie con le più rinomate orchestre di tutto il mondo.

Successo eccezionale di pubblico che ha acclamato direttore, regista ed intero cast – tutti eccezionalmente preparati ed affiatati tra di loro e con tutte le parti – più volte sul palco di uno dei palcoscenici che garantisce uno spettacolo ad un levatissimo livello di eccellenza impareggiabile.

Pubblicato in: 
GN42 Anno IX 28 agosto 2017
Scheda
Titolo completo: 

Festival di Salisburgo – Austria 
21 luglio – 30 agosto 2017

Großes Festspielhaus

Una Lady Macbeth del distretto di Mzensk
Dmitrij Shostakovich (1906 – 1975)
Opera in 4 atti
Libretto di Alexander Preis, basato sul racconto di Nikolai Leskow
Prima rappresentazione il 22 gennaio 1934 al Maly Operny San Pietroburgo (allora Leningrado)
Rappresentazione del 21 agosto 2017

Wiener Philarmoniker
Direttore  Mariss Jansons

Regia     Andreas Kriegenburg
Scene     Harald B. Thor
Costumi     Tanja Hofmann
Luci     Stefan Bolliger
 
Konzertvereinigung Wiener Staatsopernchor
Maestro del coro Ernst Raffelsberger

Cast
Katerina Evgenia Muraveva
Sergej     Brandon Jovanovich
Boris     Dmitry Ulyanov
Zinovij  Maxim Paster
L'ubriacone  Andrei Popov
Il pope   Stanislav Trofimov
Il capo dei poliziotti     Alexey Shishlyaev
Sonetka  Ksenia Dudnikova
Aksinja / Una forzata     Tatiana Kravstova
Un vecchio forzato     Andrii Goniukov
Un garzone / Una sentinella     Oleg Budaratskiy
Un cocchiere / Un maestro     Vasily Efimov
Un poliziotto / Un sergente     Valentin Anikin
Il portiere     Igor Onishchenko
L'amministratore     Gleb Peryazev
Primo caposquadra     Martin Müller
Secondo caposquadra / Un ospite ubriaco Oleg Zalytskiy
Terzo caposquadra     Ilya Kutyukin