Inferno di Emiliano Pellisari. Il fascino fatale della falena

Articolo di: 
Livia Bidoli
Inferno Trinacria

Un palco con tendaggi rossi sullo sfondo, un velluto setoso e muto ad ascoltare i battiti dei danzatori che si insinuano tra le pieghe delle tende dove scompaiono e fulgidamente ricompaiono. Dal 7 al 18 aprile 2010 Emiliano Pellisari con i suoi dardi acrobatici – danzatori felpati come animali e sinuosi come emblemi di un corpo glorioso nella sua plastica fedeltà – ci introduce in un Inferno di stupore al Teatro Olimpico di Roma in collaborazione con l’Accademia Filarmonica Romana.

Non si può non essere celebrativi in questo caso: bisogna autenticare un talento italiano per l’invenzione meccanica, per la riscoperta di macchinari antichi rielaborati attraverso una versione moderna ed ipertecnologica, un gusto ineguagliabile per le luci che la compagnia Emiliano Pellisari Studio non ha minimamente da invidiare ai grandi spettacoli musicali stranieri. La creazione di Pellisari è formulata secondo standard altissimi, gli stessi che invidiamo ad inglesi ed americani, che lavorano soltanto con professionisti e scalette imperturbabili, e dove il merito ed il lavoro la fanno da padrone e dettano legge. Un plauso subito ai danzatori/acrobati tutti: Annalisa Ammendola, Mariana Porceddu, Giulia Consoli, Adriana Amato, Sebastiano Lo Casto, Gabriele Bruschi, Davide Marrone.

Entriamo per la porta infernale: è tutto incipientemente rutilante con una sagoma semidorata intorno che disegna la cornice ed introduce in quello che presenta una parabola sui quattro elementi più uno, l’immaginazione, di vedersi trasportati (sebbene indoviniamo a volte il meccanismo) in un universo con una quarta dimensione, uno spazio infinito che lascia i danzatori liberi di svettare nelle luci cangianti dei colori rosso-verde-blu, uno per ogni sfondo, uno per ogni parabola sull’umanità che si è recata ad un confronto inane con sé stessa.

Il nuoto nel blu, fluttuante come sirene oppure saltellante come rane, mai rigido, sempre morbido anche il movimento più tonico di tutti come il salto, ci conduce al fondo di quello che sembra un Lucifero capovolto – come da prassi – con la testa all’ingiù, scoprendo che invece le fiamme blu nascondono una gonna immensa dove il torso curvo di una donna agita un ventaglio miracoloso. Teste e braccia sezionate e divincolanti come dannati infrangono di luce scarlatta il tessuto dei tendaggi, gambe si tendono e conducono fino alla mostruosa fame di Ugolino, ora accanita sulla testa dell’Arcivescovo Ruggeri che l’ha condannato. Uno dei momenti più intensi dello spettacolo è la contesa tra lui ed uno dei figli impersonato da una donna, che a piccoli balzi lottano in un perimetro incorniciato a quadrato, sul quale si muovono solo involandosi l’un con l’altro.

Ulisse nella sua fluttuante trama di seta che bianca lo avviluppa in verticale inseguito dalle sue voci di sirena, dalle pinne guizzanti sulla luce, in un lungo perimetro di tulle che ci conduce alla parabola amorosa e passionale del terzo canto dell’Inferno: “amor ch’ha nullo amato amar perdona. Galeotto fu il libro e chi lo scrisse”. Paolo e Francesca su un fondo ceruleo si dibattono in preda alle contraddizioni cui li obbliga il desiderio. Ed ora risaliamo per la Torre di Babele su corpi nudi che ci fanno da scale per rivedere le stelle, formulate secondo fiori e petali di arti curvi in azione: rose, tulipani, croci radiali e a otto punte, ruote della fortuna, immani svettano per infondere di luce un cielo su cui ci siamo librati con sfondi musicali da Glass ai Dead Can Dance, con cui possiamo concludere in versi:

Ci stendiamo
su acque fresche, tranquille
fissando il sole.
E come la grande imperfezione della falena
abbiamo ceduto al suo fascino fatale.

(“We lay by cool, still waters and gazed into the sun. And like the moth's great imperfection, succumbed to her fatal charm.” Dead Can Dance, Anywhere out of the World, Ovunque aldilà del mondo, dall'album del 1987 Within the Realm of a Dying Sun, trad. mia.)

Attendiamo ora la Cantica II, di nuovo in collaborazione con la Filarmonica Romana, con un tessuto sonoro da Strawinskij indietro fino a Bach, con oggetti nuovi e antichi che si materializzeranno il 10 ottobre 2010 ad Orvieto.

Pubblicato in: 
GN12 Anno II 18 aprile 2010
Scheda
Titolo completo: 

INFERNO
Divina Commedia
Una creazione di Emiliano Pellisari

Inferno è presentato da Emiliano Pellisari Studio in collaborazione con Accademia Filarmonica Romana e Teatro Olimpico.

Danzatori/acrobati : Annalisa Ammendola, Mariana Porceddu, Giulia Consoli, Adriana Amato, Sebastiano Lo Casto, Gabriele Bruschi, Davide Marrone

Musiche registrate e prodotte in Emiliano Pellisari Studio
Oscar Bonelli polistrumentista, Giuliano Lombardo sound designer, Mario Crocetta sound mixer, Andrea Barbera consulente musicale

Voci recitanti (Registrate): Gianni Bonagura e Laura Amadei con Marco Bassetti

Costumi: Noemi Wolfsdorf

Dal 7 aprile al 18 aprile 2010 Teatro Olimpico di Roma - Spettacolo dell'8 aprile