L'occhio del vento. Le prose memoriali di Bigongiari su Pistoia

Articolo di: 
Eleonora Sforzi
L'occhio del vento, Piero Bigongiari

Riscoprire e apprezzare uno dei più importanti autori del Novecento italiano è possibile anche grazie all'ultimo volumetto, intitolato "L'occhio del vento", pubblicato da Via del Vento Edizioni e dedicato, come già altri precedenti della casa editrice pistoiese, a Piero Bigongiari, poeta e scrittore di matrice ermetica, di cui si è ricordato il centenario della nascita lo scorso ottobre: celebrato con numerose iniziative intersecate tra Firenze e Pistoia, due città in cui ha vissuto, ma soprattutto grandi depositi di immagini, suggestioni poetiche e simboliche.

Oltre alle prose, numerose sono le raccolte di poesie di Bigongiari pubblicate in vita, a cui si aggiungono anche quelle postume, tra cui l'ultima, edita da Gli Ori, Agosto al forte. Poesie inedite e disperse 1978-1991, a cura di Paolo Fabrizio Iacuzzi, poeta e critico che si è occupato della sua opera e anche di questa pubblicazione di Via del Vento.
Nel volumetto sono raccolte due prose scritte nei primissimi anni del secondo dopoguerra, influenzate anche dall'orrore e dallo spaesamento che ne consegue, in cui Bigongiari ricorda gli spazi di Pistoia che hanno segnato la propria giovinezza, con quella terminologia evocativa e sensoriale che contraddistingue i versi contenuti nella nota raccolta di poesie del decennio successivo, Le mura di Pistoia (1955 – 1958) e tutta la sua produzione poetica.

La prima prosa, intitolata proprio L'occhio del vento, è datata 1949 ed è ambientata nello stretto spazio di Via del Vento a Pistoia, al quale il poeta ritorna con la mente ripensando al se stesso bambino. Proprio quest'ultimo è reso protagonista in terza persona, quasi per non celare la distanza anagrafica che lo separa dall'uomo adulto e guardare nel fiume delle memorie con gli occhi del ragazzo alla ricerca della meraviglia contenuta nelle piccole cose quotidiane.
Ecco che tra i ricordi affiorano momenti, immagini, frammenti di eventi e soprattutto sensazioni visive, olfattive e tattili, che riescono a dare sostanza a stralci di ombre evanescenti e parziali, per poi arrivare al terribile momento di passaggio dall'ingenua inconsapevolezza del bambino alla rinnovata coscienza della giovinezza: la grandezza del mondo, l'inesplicabilità e il mistero che circonda il reale, fino al pensiero dell'infinito che provoca una vertigine interiore.
Mischiati a tracce di volti e passanti più o meno occasionali, si susseguono flashback di alcuni momenti scolpiti nello scrigno memoriale del poeta, tra cui il banchetto dei dolci nei pressi di San Giovanni Fuorcivitas, l'improvvisa rivelazione del corpo nudo dell'adolescente Berta mentre tentava una capriola, il fortunato avvistamento di una moneta d'argento, che una mattina «gli ammiccò per terra sull'angolo» con cui comprò «tanti 'panini di ramerino'». Sempre, comunque, un ragazzino accompagnato dalla necessità di toccare le cose che lo circondavano per capirle, «non perché non vi credeva, ma per farle entrare in sé» e poter riconoscere l'idea dall'oggetto: si tratta di un passaggio importante che gli fece comprendere, a posteriori, che «il bambino che era stato aiutava l'uomo che non riusciva ad essere».

Nella seconda prosa, intitolata Una città scintillante, Bigongiari riflette su cosa significhi ritornare con la mente alla Pistoia della sua giovinezza, a cui – dice il poeta – deve molto:
«Lo so che devo molto a questa città, e che non posso cavarmela con racconti e parabole... […] Pistoia è per me questa fitta, ch'io non so, non oso, nemmeno ripercorrere a ritroso, sul filo delle occasioni. Perchè, per me, ogni volta, ritrovarmi a Pistoia è essere altro, un irriconoscibile altro che ritrova gli infiniti Pieri che hanno creduto che la vita fosse qualcosa che non si allontana mai da se stessa […]».
Dunque tornare a Pistoia con la mente e con il cuore, con la riconoscenza di chi nella sua città ha visto costruirsi quel bagaglio immaginativo che porterà con sé nei mille viaggi: è per questo che Bigongiari decide, per farle omaggio e ricordarla, di parlare di quel proprio «teatro interiore in cui memoria e fantasia si confondono».
Pistoia, infatti, per il poeta è piena di forme e sensazioni, ma anche di immagini ancora nitide, tra cui quella di Livia, la ragazza di cui si era innamorato da giovane, degli amici che abitavano in vie caratteristiche del reticolo pistoiese e che morirono in guerra, di alcune zone e angoli del centro cittadino a cui lo riportano lontane risonanze.

Una pubblicazione significativa, dunque, quella delle due prose contenute nel volumetto "L'occhio del vento”, perché omaggia il poeta che proprio a Pistoia, e in particolare in via del Vento, ha trascorso l'età giovanile, mostrando quel suo intimo rapporto controverso ma inscindibile con la città, in modo circolare rispetto al primo testo pubblicato nella stessa collana, intitolato “Una città rocciosa”, poiché così Bigongiari amava indicare Pistoia.
Tra folate di vento e barlumi di luce, quelli di Piero Bigongiari sono intimi ricordi, fatti di simboli e suggestioni, della crescita interiore e morale del bambino pieno di meraviglia, grazie alla matura consapevolezza della propria esistenza, che appare quasi impercettibile rispetto all'infinita grandezza dell'universo, avvolto da quell'alone di mistero che permea anche i suoi versi.

«Il vento di Pistoia non è solo quello che ho assaporato in via del Vento […], quello che scende umido e vocale dall'Appennino e che fa della città di Pistoia un tumulto e una voce di richiamo a cui non posso, ogni volta, non rispondere con tutte le mie fibre».

Pubblicato in: 
GN15 Anno VII 2015
Scheda
Autore: 
Piero Bigongiari
Titolo completo: 

L'occhio del vento

A cura di Paolo Fabrizio Iacuzzi, Pistoia, Via del Vento Edizioni, [Collana: “Ocra Gialla”], 2014, p. 44, € 4,00

Anno: 2014