Manifestolibri. Solitudine/moltitudine: binomio politico contemporaneo

Articolo di: 
Teo Orlando
D'Acunto

Solitudine e moltitudine, apparentemente termini opposti e antitetici, sono diventati oggi quasi intercambiabili e fungibili, ma non per quel fenomeno linguistico che si chiama enantiosemia (per cui il vocabolo fortuna in latino designava tanto la buona quanto la cattiva sorte), bensì per il fatto che la persona nella società contemporanea si trova da un lato immersa in una moltitudine anonima che la rende un ente solitario, e dall'altro avverte sempre di più l'esigenza di coltivare la solitudine come una sorta di "dieta dell'anima". Sono i temi che emergono da una ricca e multiforme raccolta di saggi, Solitudine e moltitudine. Saggi sulla condizione contemporanea, curata per manifestolibri da Giuseppe D'Acunto.

È nel continuo sfaldamento delle trame intersoggettive che una volta strutturavano le relazioni sociali che il curatore individua la causa principale della crescente trasformazione della società contemporanea, dove si manifesta sempre di più quella "folla solitaria" di cui parlava il sociologo David Riesman.

Un dato apparentemente banale qual è quello costituito dall’uso ossessivo dei cellulari e degli smartphone diventa il segno del disfacimento dell’autonomia della persona, immersa in un mondo atomizzato e massificato come il nostro, ben distante anche dalla “società civile” di cui parlavano Ferguson e Hegel, che era sì un "sistema di bisogni" in grado di connettere individui separati, ma anche di integrarli preludendo al più compiuto organismo della statualità.

Come recuperare un’esperienza il più possibile autentica della pluralità? I saggi che compongono il volume cercano di elaborare una strategia, partendo da varie riflessioni su questi fenomeni e indicando le potenzialità che esso dischiude per l’elaborazione di una "ontologia del presente". Del resto, in un fortunato libro intitolato La solitudine del cittadino globale, Zygmunt Bauman ha sostenuto che l'aumento della libertà individuale è stata accompagnato da un progressivo incremento dell'impotenza collettiva: la sfera della socialità ha ceduto il passo a un rifugio consolatorio nella dimensione privata, e la stessa osmosi tra vita pubblica e vita privata si è fatta precaria, incerta e "liquida". Poche sono rimaste le occasioni per attivare le nostre pulsioni sociali: tra queste le esplosioni di aggressività scatenate dai demagoghi contro un nemico fittizio (proprio come nei due minuti d'odio ("Two Minutes Hate") ipotizzati da George Orwell in 1984).

Tra le ricette proposte per superare la paura e l'insicurezza che dominano il nostro tempo, vale la pena di citare il progetto della moltitudine elaborato nel libro omonimo (Moltitudine. Guerra e democrazia nel nuovo ordine imperiale, Rizzoli, Milano, 2004) da Michael Hardt e Antonio Negri: si tratta della metafora di un nuovo ordine globale che sta emergendo e che si dovrebbe contrapporre al cosiddetto "impero", ossia al pervasivo controllo degli esseri umani attuato mediante un conflitto permanente. Nella moltitudine assistiamo all'instaurarsi di nuovi circuiti di cooperazione e collaborazione che attraversano le singole nazioni e perfino i continenti: qui moltitudine coincide con il superamento di ogni forma di isolamento e di solitudine, ossia con "una rete aperta e in espansione in cui tutte le differenze possono egualmente e liberamente esprimersi". La moltitudine come asse portante delle libertà civili non ha la fissità del popolo né l'uniformità anonima della massa, ma si caratterizza per le differenze interne che mirano alla costituzione del cosiddetto "comune", ossia il principio che dovrebbe assicurare collaborazione, cooperazione e comunicazione tra i soggetti sociali autenticamente democratici (benché a noi sembri solo un modo semanticamente ristrutturato per parlare della vecchia vulgata marxista).

Tra i saggi che costituiscono il volume, il primo, di Dario Zucchello, si interroga sull'antitesi tra solitude e loneliness in Hannah Arendt. La grande filosofa tedesca di origine ebraica, com'è noto, cominciò a scrivere in inglese una volta emigrata negli Stati Uniti: la coppia solitude/loneliness riproduce quella tedesca Einsamkeit/Verlassenheit. Con una puntuale ricognizione testuale, Zucchello ricostruisce l'evoluzione di questi termini e delle relative nozioni negli scritti della Arendt: la solitude, in quanto essere in compagnia di sé stessi, o meglio in quanto essere "due in uno", corrisponde all'esperienza autentica della condizione umana, laddove la loneliness coincide con l'esperienza inautentica della desolazione, dello straniamento e dell'abbandono. È notevole che queste due nozioni vengano introdotte dalla Arendt nell'esame decostruttivo condotto sui regimi totalitari, mettendone in evidenza il ruolo che giocano in un contesto caratterizzato da altre nozioni metapolitiche, come quelle di ideologia e di terrore.

Nel suo saggio "Il transindividuale", Antonio Caridi analizza l'ontogenesi del soggetto e la costituzione del collettivo nel filosofo francese Gilbert Simondon, allievo di Maurice Merleau-Ponty e Georges Canguilhem, e influenzato sia dalla cibernetica di Norbert Wiener, sia da suggestioni bergsoniane e bachelardiane. Nozioni come quella di individuazione e di transindividuale, grazie anche alla rilettura operatane da Gilles Deleuze, sono declinate nel quadro di una filosofia materialista della tecnica e dell'esistenza umana, che permette di superare il pregiudizio dell'animal rationale, ossia di un corpo abitato miracolosamente da uno spirito che non risulterebbe essere il prodotto della natura. È nel transindividuale, inteso come un soggetto insieme individuale e collettivo, "costruito" anche grazie alle innovazioni tecnologiche introdotte dalla cibernetica, che vengono superate le tradizionali dicotomie tra soggetto e oggetto, interno ed esterno, individuo e sociale.

Da par suo, Aldo Meccariello, nel saggio "La solitudine e il suo doppio", mette in evidenza la tematizzazione della solitudine nelle opere di Elias Canetti. Per Canetti, il punto di partenza di ogni prova narrativa o saggistica è costituito dal corpo umano e dalle sue posture: dietro questa ossessione si nasconde la paura della morte, che provoca il processo di invecchiamento e putrefazione del corpo. L'individuo, terrorizzato dai suoi simili come potenziali portatori di contagio, tende a frapporre tra sé e gli altri una barriera di sicurezza che spesso lo porta verso la solitudine. Ma dallo sforzo dei singoli per allontanare da sé la morte sorge la "mostruosa struttura del potere": ossia, il singolo per poter continuare a vivere è costretto a trovare rifugio solo nella massa, e a consegnarsi poi al potere che lo annulla pur garantendogli la sopravvivenza, come avevano capito già Hobbes e De Maistre.

Non ci soffermeremo qui sugli altri saggi, pur notevoli e densi nella loro tessitura teorica: quello di Paolo Vernaglione Berardi ("La solitudine della moltitudine"), incentrato sul concetto di moltitudine nella tradizione marxista e rivoluzionaria, da Marx fino a Deleuze, Negri e Agamben. Quello di Massimo Piermarini su "Dono e intersoggettività"; quello di Angiola Iapoce su "Jung e la complessità della psiche"; quello sulla persona "tra l'individuo e la massa" di Damiano Bondi; e quello sul gene altruista nella prospettiva evoluzionistica di Michael Tomasello, dello stesso curatore, Giuseppe D'Acunto, che chiude il volume preceduto dalle "divagazioni semantiche sul lessico della solitudine" di Enrico Meroni.

Pubblicato in: 
GN40 Anno XI 9 ottobre 2019
Scheda
Autore: 
Giuseppe D'Acunto (a cura di)
Titolo completo: 

Solitudine e moltitudine. Saggi sulla condizione contemporanea, Castel San Pietro Romano (Roma), manifesto libri, 2017. Euro 22,00.