Napoli Palazzo Reale. Metafore della giustizia nella pittura del Seicento

Articolo di: 
Giulio de Martino
Cristo davanti a Caifa

La mostraL’arte della giustizia, la giustizia nell’arte” - che si vede nella Sala d’Ercole, del Palazzo Reale di Napoli fino al 28/01/2020 - ci offre un esame del rapporto fra le raffigurazioni pittoriche e il valore cardinale della Giustizia inteso e illustrato nel corso del secolo XVII. La mostra è basata soprattutto su opere provenienti da raccolte e collezioni napoletane.

Inclusa dalla Teologia morale cattolica fra le virtù cardinali - insieme alla Prudenza, alla Fortezza e alla Temperanza – la Giustizia rappresenta la tensione umana a rispettare tanto la superiorità di Dio quanto la sacralità del «prossimo», determinato da Dio stesso nella sua essenza. Per mezzo della Giustizia l’uomo può operare rettamente nei riguardi di Dio, di se stesso e degli altri uomini al modo che prescrive il diritto naturale cristiano: «chi pratica la giustizia sarà giusto come Cristo è giusto» (Giovanni 3,7).

In diversi contesti, dopo il Concilio di Trento, fu richiesto ai pittori e agli scultori di raffigurare il tema della giustizia tra religione e diritto: sia rifacendosi a specifici luoghi delle Scritture, sia tentandone la rappresentazione allegorica. La mostra napoletana raccoglie le opere di Andrea Vaccaro (1604-1670), Cesare Ripa (1555-1622), Cesare Gennari (1637-1688), Guercino (Giovanni Francesco Barbieri, 1591–1666), Francesco Allegrini (1587-1663), Bartolomeo Schedoni (1578–1615), Filippo Angeli o di Liagno detto “Filippo napoletano” (1587-1662 ca.). Si vedono anche la matrice di un’incisione a bulino su rame raffigurante l‘“Allegoria della Pace e della Giustizia” di Jacques Blondeau (tratta da un dipinto di Pietro da Cortona e databile nel 1686-89) e un dipinto su rame di Anton Maria Viani (1550-1635) raffigurante “La Trinità e i Sette angeli” a proclamare la saldatura, nel Giudizio Universale, dei due piani della giustizia terrena e della giustizia divina.

Alternati ai dipinti sono esposti quattro tomi aperti, provenienti dall’Archivio Storico del Santo Uffizio, relativi ai processi a Giordano Bruno, a Beatrice Cenci e a Michelangelo Merisi da Caravaggio e un testo dell’Arciconfraternita di san Giovanni decollato – proveniente dall’Archivio di Stato di Roma – sulla consolazione dei condannati a morte.
Nel “Sacrificio di Isacco” di Vaccaro la crudezza del riferimento biblico (Genesi, 22, 1-18) è edulcorata dalla sostituzione, operata dall’angelo, del fanciullo con un agnello. Resta intatta la subordinazione, di cui è testimone Abramo, della giustizia profana ai comandamenti divini. Dipinto da Schedoni è “La moneta del Fariseo” che si riferisce alla celebre sentenza di Gesù: «Date a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quel che è di Dio» (Réddite quae sunt Caésaris Caésari et quae sunt Dei Deo) riportata nel Vangelo di Matteo (22,21), Marco (12,17) e Luca (20,25). Tale sentenza, a differenza dell’asprezza fideistica veterotestamentaria, impone la netta distinzione fra la legge di Dio e la legge degli uomini.

La concezione greca della Giustizia come equità è rappresentata nella figurazione allegorica di Cesare Gennari e nell’Iconologia (1603) di Cesare Ripa, in cui l’immagine che illustra il lemma della Giustizia è di Vincenzo Cartari. Vi appare l’immagine classica della Dea con la bilancia e la spada, a indicare l’equilibramento giurisprudenziale fra il delitto e la pena, nonché la facoltà dello stato di punire il reo in nome di una superiore razionalità sociale.
Al centro della mostra vi è “Il ritorno del figliol prodigo” del Guercino, tratto dal vangelo di Luca. Il noto episodio è utilizzato per illustrare la virtù del perdono che eccede ogni misura di giustizia umana e propone una visione della giurisdizione divina affatto opposta a quella giustizialista. Il perdono divino si oppone anche alla visione controriformista ortodossa proposta da Filippo Angeli ne “La Madonna con il bambino e le anime purganti”: dipinto di masse penitenti e di marcati sentimenti apocalittici.

Di Ignoto – esposto per la prima volta – è “Giuditta e Oloferne”, celebrato episodio biblico che può rappresentare sia la vittoria del debole sul forte, sia il ristabilimento della giustizia violata, attraverso un ardito stratagemma. Un noto riferimento biblico vi è anche nel “Giudizio di Salomone” di Allegrini, (dalla Quadreria dei Girolamini) in cui è esaltata, sopra di tutto, la saggezza del giudice che sa indurre i litiganti a più miti consigli e che fa emergere la verità dalla contesa processuale.
Suggestiva è, infine, la copia di “Cristo davanti a Caifa” conservata a Sant’Andrea della Valle a Roma (l’originale è di Gerrit Van Honthorst, detto anche “Gherardo delle notti”). Il dipinto potrebbe illustrare la coraggiosa resistenza dell’innocente messo di fronte a leggi ingiuste.

Pubblicato in: 
GN10 Anno XII 9 gennaio 2020
Scheda
Titolo completo: 

“L’arte della giustizia, la giustizia nell’arte”
Sala d’Ercole, Palazzo Reale di Napoli
Dal 13/12/2019 al 28/01/2020
Realizzazione: Scabec Regione Campania, CETC di Roma, Polo Museale della Campania
Curatela: Giulia Silvia Ghia