Oliviero Toscani. Il fotografo infallibile

Articolo di: 
Giulio de Martino
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Bella e importante la mostra che si vede a Ravenna al MAR dal titolo: Più di 50 anni di magnifici fallimenti. Sono 150 fotografie curate da Nicolas Ballario che ci ricordano la vivacità creativa e la potente carriera di uno dei maggiori fotografi italiani del ‘900: Oliviero Toscani.

Sono esposti i lavori realizzati per il mondo della moda: le fotografie di Donna Jordan e di Monica Bellucci, i ritratti delle star del rock e del cinema: Mick Jagger, Lou Reed, Carmelo Bene, Federico Fellini. Filo conduttore è la carriera di Toscani, linee di approfondimento sono il “Progetto Razza Umana” e il “Focus newyorchese”. Dal 1991 al 2007 gli United Colors dei Benetton gli fanno da supporto nelle campagne: “Angelo e Diavolo”, “Tre Cuori White/Black/Yellow”, “No-Anorexia”. Si vedono anche immagini del reportage in Israele e Palestina del 1997.

La mostra ha uno scopo celebrativo: delineare la bio-iconografia di Toscani: fotografo, uomo «di sinistra» e riformista intelligente. Nato a Milano nel 1942, il padre, Fedele Toscani, è stato fotoreporter del Corriere della sera e il cognato, Aldo Ballo, è stato fotografo del design milanese. Segue la scuola di fotografia di Zurigo, la Kunstgewerbeschule. Toscani scende in campo prima. Appena ventunenne, nel 1963, fotografa Don Lorenzo Milani nella scuola di Barbiana. Si coinvolge poi nel flusso dei Beatles e dei Rolling Stones in Italia, con la contestazione e la reflex da battaglia, finché, agli inizi degli anni ’70, intuisce che il futuro è nell’immagine critica e non nel mito della rivoluzione.

Si trasferisce a New York e, nel 1973, fotografa il fondoschiena di Donna Jordan con i jeans della marca Jesus e lo slogan “Chi mi ama, mi segua”, così per chiarire dove va il mondo. Stanziatosi al Chelsea Hotel, ritrae l’underground della Big Apple: Bob Dylan e Leonard Cohen, Iggy Pop e Sam Shepard, Mick Jagger e Joe Cocker, Alice Cooper e Lou Reed, Tom Waits, Patty Smith e Robert Mapplethorpe. Frequenta la Factory di Andy Warhol. Da qui in poi, è un susseguirsi di griffe, loghi e giornali patinati: Vogue, Harpo’s Bazaar, GQ, Elle, Missoni, Valentino, Armani, Esprit, Prenatal, Chanel ed Elio Fiorucci.

Improvvisamente, nel 1982, Toscani ha una nuova intuizione, una sorta di conversione: inizia a realizzare particolarissime campagne di foto 3x6 con il marchio “United Colors Of Benetton”. Nelle nuove immagini tratta di razzismo, di fame nel mondo e di AIDS, di guerre di religione e di violenza, di omosessualità e pena di morte. Il diaframma tra pubblicità e informazione è sottilissimo. Nel 2007 investe il fashion system – di cui è stato un pilastro – con le fotografie di una modella anoressica completamente nuda: Isabelle Caro (1982-2010), per mostrare i segni della malattia che le case di abbigliamento sfruttano e blandiscono.

Sempre nel 2007 Toscani avvia il progetto “Razza Umana”, ritraendo persone nelle piazze e nelle strade di tutto il mondo: rappresentano il soggetto collettivo della globalizzazione: coesistenza, ma anche omologazione, delle differenze. Toscani si è forse illuso di stare innescando una «rivoluzione culturale» nel mondo occidentale: l’ironica disillusione degli anni più recenti lo avrà fatto ricredere. Dal 2018 si dedica soprattutto a FABRICA, il centro di ricerca sulla comunicazione fondato con Luciano Benetton nel 1994.

Il sigillo creativo di Oliviero Toscani nel campo della fotografia è la fusione (fredda?) della foto di fashion e di still life pubblicitario con la foto di reportage giornalistico e di denuncia. Bypassando gli sterili labirinti della fotografia come «decima arte», I due generi si contaminano in profondità: lo stile di still life assolutizza i soggetti prelevati dalla cronaca giornalistica, d’altra parte la precarietà dei soggetti della cronaca toglie astrattezza ai modelli in studio ripassati in postproduzione. Ne scaturiscono immagini che hanno maggiore vitalità e aggressività nei confronti del consumatore-utente. Potremmo dire che il Toscani tra i due secoli ha cercato di dare paradossale concretezza a quelle che erano state le utopie della controcultura degli anni ’60: il consumatore critico e il fruitore di notizie ribelle.

Ecco cosa vuol dire il titolo della mostra, profondamente autoironico: 50 anni di magnifici fallimenti. Da un lato Oliviero Toscani – al di là della musealizzazione iconografica e biografica – non crede al profilo da artista rinascimentale, con tanto di maestri e discepoli, che gli viene cucito addosso. Sa che nel mondo della comunicazione visiva non esistono né genealogie né gerarchie, ma solo il portafoglio-clienti, il marketing e il successo commerciale. Sa anche che il progetto culturale e finanche ideologico da lui avviato e portato avanti, con Luciano Benetton, per oltre vent’anni, ha inciso poco sulla cultura di massa e sui valori sociali dominanti.

L’immaginario pubblicitario è sempre fuori tempo, in ritardo o in anticipo, rispetto al divenire della società e del suo gusto. La funzione delle immagini non è di «cambiare la storia», ma di accompagnarla nella direzione verso la quale si è già indirizzata. Di qui i «fallimenti», con i quali è intelligentemente impaginata la mostra.

Oliviero Toscani come fotografo ha avuto un colossale successo, diventando un brand inossidabile come Mogol e Battisti e Gianfranco Vissani. Lo è diventato quasi a sua insaputa, replicato e trasportato dal flusso della comunicazione: come lo sciatore che lungo il pendio scivola via e supera a gran velocità tutte le porte del tracciato. Suo malgrado – sotto lo sguardo della tv – diventa il formidabile supporto di qualche marchio pubblicitario o turistico: il moltiplicatore di un processo che non può controllare se non in piccola parte.

Pubblicato in: 
GN23 Anno XI 6 maggio 2019
Scheda
Titolo completo: 

Mostra: OLIVIERO TOSCANI. Più di 50 anni di magnifici fallimenti
Cura di: Nicolas Ballario
Organizzazione: Arthemisia
Dove: Museo d’Arte della città di Ravenna MAR
Quando: dal 14 aprile al 30 giugno 2019
Promozione: Comune di Ravenna Assessorato alla Cultura