Sala Uno Teatro con Kafka. La metamorfosi della scimmia in uomo

Articolo di: 
Teo Orlando
Relazione per un'accademia - Giuliano Brunazzi

Il 12 dicembre 2015 al Teatro Sala Uno di Roma è andato in scena Una relazione per un’accademia, monologo teatrale liberamente ispirato all’omonimo racconto di Franz Kafka (Ein Bericht für eine Akademie, apparso nel 1917 sulla rivista di Martin Buber “Der Jude”) e interpretato da Giuliano Brunazzi, il quale ha anche diretto la pièce con encomiabile senso della scena e perfetta comprensione del testo del grande scrittore praghese.

L’attore si è immedesimato, valendosi di un leggero trucco e di abiti vintage, nel protagonista del monologo, una scimmia che ha progressivamente assunto connotati umani, in primis il linguaggio; a una prima lettura, la pièce sembra raccontare l’evoluzione dallo stato animale a quello umano, con il protagonista che va alla ricerca della propria coscienza ma è perennemente afflitto dalla nostalgia della sua condizione primitiva. È una scimmia antroporfizzata, ma non meno credibile come scimmia di quanto lo sia come uomo. Peraltro, come ha notato un’acuta interprete del racconto di Kafka, Micaela Latini, se le pagine kafkiane descrivono così credibilmente il continente degli animali non è tanto per la sua conoscenza degli animali non umani, ma piuttosto perché Kafka conosce nel profondo gli “animali umani”, da lui indagati anche in quella dimensione di "bestialità" che rende la natura umana particolarmente enigmatica e circonfusa da mistero e inaccessibilità

Per certi versi, il racconto di Kafka è una sorta di pendant inverso rispetto alla ben più nota Metamorfosi. Come in quest’ultimo testo assistiamo a una sorta di de-evoluzione, ossia di regressione del protagonista, Gregor Samsa, a una condizione “bestiale”, addirittura di scarafaggio, così in Una relazione per un’accademia ci troviamo invece confrontati con il motivo dell’antropogenesi, ossia del passaggio dalla dimensione animale alla sfera umana, dalla condizione di scimmia a quella di uomo; ma quest’apparente evoluzione significa non solo il passaggio dalla natura alla cultura, ma anche quello dalla libertà alla segregazione. Peraltro, la tragicità di questa metamorfosidarwiniana” sta nel fatto che, come sempre in Kafka, si tratta di una transizione lungo un sentiero malagevole e contraddistinto da baratri e vicoli ciechi: il passaggio dall’animalità all’umanità non è definito una volta per tutte: è una sorta di spazio intermedio (Zwischenraum) o, per usare dei termini anglofoni, sia una no man’s land, sia una no animal’s land.

La quasi ex-scimmia che sta definitivamente trasformandosi in uomo, Pietro il Rosso (Rotpeter), riferisce in prima persona le sue vicende, al cospetto di un’Accademia i cui connotati sono incerti. L’identità umana viene precisandosi nella misura in cui Pietro capisce di essere non solo un individuo, ma anche, come ci ha insegnato Nietzsche, un dividuum: la morale, e quindi l’umanità, si forma quando la vita, nel suo sforzo di autoconservazione e ricerca del piacere, produce valori e ideali contrari alla libera espansione, pretendendo il suo sacrificio e annullamento: la morale deriva da una sorta di autoscissione dell’uomo: questa condizione è data dal suo potersi riconoscere e dal poter riferire la propria vita (Friedrich Nietzsche, Umano, troppo umano I, Aforisma 57, Milano, Adelphi, 1979, pp. 60-61).

Ed infatti la scimmia fa il suo ingresso ufficiale nella dimensione umana,  attraverso il rituale della relazione, proclamandosi uomo in quanto pronuncia il pronome “io”. Ma nella presentazione, lo scimpanzé rivela involontariamente come il suo nome sia ancora il portavoce di un’alterità rispetto alla condizione umana: Pietro il Rosso è il nome che la scimmia ricevette a causa della macchia rossa presente sul suo corpo di animale e derivante da una violenza subita “per mano dell’uomo”. Ma attenzione: sul palco ad essere raccontata è la stessa vita degli ascoltatori, i quali è come se ascoltassero la loro “autobiografia”: quella ferita è in fondo anche la loro ferita. Al tema della ferita nel corpo fanno riscontro peraltro altri motivi kafkiani, come quello della soglia (esemplificata da porta, cancello, grata, steccato), o quello dello sguardo

Pietro il Rosso rievoca il suo passato conscio che la rievocazione non può condurlo più di tanto a riannodare i fili che gli hanno consentito il passaggio alla condizione umana. Il potere della memoria ha dei limiti, e ormai ha capito che il suo paese d’origine, la Costa d’Oro, è un paradiso perduto: il ricordo dell’origine e il legame con l’antica patria vanno rescissi, benché testimoniati dalla traccia-cicatrice dell’antica ferita (che segna la cacciata dall’Eden della Costa d’Oro, l’uscita dallo stato di innocenza), quando gli agenti della ditta Hagenbeck l’hanno catturato in una battuta di caccia, colpendola con un “vile sparo”, simbolo del sovrano potere umano sull’animale, ma anche segno di una sorta di “seconda nascita”: 

«Sono nato sulla Costa d’Oro. A sera scesi ad abbeverarmi insieme al mio branco. Fecero fuoco e fui l’unico ad esser colpito: ebbi due colpi».

La “via di uscita” coinciderà con la decisione di farsi uomo, grazie al faticoso apprendimento del linguaggio, quasi entrando in una seconda vita rispetto alla “pre-vita” anteriore. Sarà un apprendimento innaturale, che in realtà coincide anche con una sorta di autosoppressione dei liberi istinti: «Oh, s’impara quando si deve imparare, s’impara quando si deve trovare una via d’uscita, s’impara disperatamente. Si sorveglia noi stessi con la frusta; ci si lacera le carni alla minima resistenza». In fondo si sorveglia sé stessi, diventando solo apparentemente padroni: come in una parodia della dialettica hegeliana servo-padrone, Kafka parla in un altro testo assimilabile a questo di un animale «che strappa di mano la frusta al padrone e si frusta da sé per diventare padrone e non sa che questa è soltanto una fantasia prodotta da un nuovo nodo nella correggia della frusta del padrone».

Alla fine, nella versione di Giuliano Brunazzi una via d’uscita (quasi adombrata dal poster del film Il pianeta delle scimmie visibile sulla scena) sembra trovata: è forse l’arte, che, nel suo contrapporsi alla morte, diventa strumento di redenzione sia individuale, sia sociale.

Pubblicato in: 
GN7 Anno VIII 17 dicembre 2015
Scheda
Titolo completo: 

Sala Uno Teatro – Roma

Una relazione per un’accademia
Liberamente ispirato all’omonimo racconto di Franz Kafka
di e con Giuliano Brunazzi
dal’11 al 13 dicembre 2015
venerdì e sabato ore 21.00 | domenica ore 18.00