San Carlo Napoli. I cristalli di Zemlinsky ed il Tabarro pucciniano

Articolo di: 
Pietro Puca
Teatro di San Carlo

La chiusura della stagione lirica 2015-2016 del Teatro di San Carlo di Napoli ha proposto due rarità messe a confronto il 17 e 18 novembre scorsi:: “Der Zwerg” di Alexander von Zemlinsky e “Il Tabarro” di Giacomo Puccini.

La stagione lirica del Massimo napoletano introduce il pubblico ad un’opera di un autore di per sé sconosciuto, Alexander von Zemlinsky, autore de “Il Nano” (Der Zwerg) insieme al grande Lucchese, con una delle sue opere meno rappresentate, Il Tabarro che dagli annali del teatro risulta assente dalle scene addirittura dal 1960. Desta dispiacere, dunque, la scelta (già in anticipo programmata, ma che si sarebbe imposta comunque in ragione dei problemi occorsi al palcoscenico del teatro in questi giorni) di una messa in scena in forma di concerto.
Ad ogni buon conto l’ascoltatore privato della parte visiva ha modo di andare direttamente al cuore del dramma mediante il solo apporto evocativo della musica, il che può essere operazione culturalmente molto valida.

Der Zwerg è un dramma cupo di fortissimo impatto psicologico, non a caso tratto da Oscar Wilde, narrante della progressiva consapevolezza di sé di un povero essere deforme, un Nano, appunto, dono ad una Infanta di Spagna per il suo compleanno, ignaro della sua bruttezza, deformità, sgradevolezza agli occhi della gioventù della corte che lo blandisce falsamente facendogli credere di essere giovane e bello, lui che mai si era guardato allo specchio ed aveva avuto mai la reale percezione di sé.

Il Nano si innamora dell’Infanta la quale, tuttavia, in un primo momento scherza su tale sentimento con un gioco crudele dal quale il povero Deforme crede essere sinceramente ricambiato, fino al punto della catastrofica autocoscienza nel momento in cui questi chiede con decisione di essere baciato: l’Infanta lo disprezza con tutta la sua crudeltà: “posso amare solo un essere umano/non posso amare te che sei come un animale” saranno le sue ultime parole che fulmineranno il triste dono di compleanno, futile giocattolo “donato per il diciottesimo compleanno e già rotto”.

Questa semplicissima trama sottende un giuoco psicologico che l’ascoltatore ben può intuire e che è immediatamente evocativa nella stessa musica, raffinatissima e con fortissimi accenti straussiani dai quali a tratti si avverte il ritmo tagliente e secco di Salome: i duetti tra Zwerg e l’Infanta ricordano i temi che il compositore bavarese ha scritto nel duetto tra la Principessa ed Erode.
Se ci fosse consentito un accostamento tra due opere a fortissima connotazione psicologica potremmo dire che la migliore destinata a completare il duo della serata avrebbe potuto essere la “Yolanta” di Čajkovskij: anche quella connotata dalla triade: inconsapevolezza-desiderio-coscienza che caratterizzavano gli studii della psicanalisi ai tempi in cui questi lavori venivano concepiti e per cui i compositori avvertivano un sempre crescente interesse all’analisi di una interiorità nascosta dei personaggi.
Come il Nano, Yolanta è una ragazza cieca, figlia di un potente Re che ha speso tutta la sua vita e le sue energie a conservare l’inconsapevolezza della figlia di tale disabilità (fortemente vietati erano a corte tutte le parole o riferimenti che in senso lato possano evocare il senso della vista); fino a quando un famoso medico, chiamato a curare tale cecità, affermi che per poter ottenere la vista la ragazza dovrà fortemente desiderare la guarigione e quindi diventar consapevole di essa, con il rischio di immani sofferenze nel caso di non riuscita dell’operazione.
Sarà l’amore provato dalla ragazza per un giovane al seguito del medico ad indurla ad accettare di essere operata e, naturalmente, a recuperare il senso mancante.

Operazione esattamente inversa a quella del Nano di Zemlinsky ove il protagonista non vuole prendere coscienza di sé restando volontariamente nell’illusione di un mondo di “normalità” che non gli appartiene, lui vecchio e deforme, che osa aspirare ad un sentimento creato per i “normali” e che viene messo di fronte alla sua reale condizione dalla crudele principessa all’atto dello sdegnoso rifiuto del suo amore.
Ma se i personaggi vivono in un mondo di realtà e crudeltà, la musica evoca la verità, ed in effetti l’orchestrazione di Zemlinsky si compone di un compatto sinfonismo ove le voci sono trasportate, sorrette, accarezzate da un’orchestra raffinatissima e densa, la cui musica descrive il reale stato d’animo dei protagonisti.
Il canto del Nano è accompagnato da blocchi sonori di cristallina linearità, archi e fiati sono limpidi e la melodia traspare in tutta la sua purezza; l’Infanta invece viene presentata con una armonia obliqua, imperscrutabile, cromaticamente molto ardita a tratti quasi atonale: il messaggio del Compositore è chiaro, è la donna ad essere realmente deforme, nell’animo, nella sua oscura ed inquinata interiorità che considera l’altro, il diverso, mostruoso che nella sua non consapevolezza di sé esprime il più sincero e fanciullesco dei sentimenti: un amore puro per una donna le cui carezze gli erano sembrate la fenomenologia di quell’amor cortese che avevano fatto germogliare nel suo cor gentil un senso di ricambio che mai avrebbe potuto essere corrisposto a fronte di un comportamento fraudolento.
Il cast scelto per “Il Nano” indubbiamente è di prim’ordine. Un plauso speciale a Scott McAllister che ha sostenuto la parte difficilissima senza alcun cedimento lasciando trasparire nella voce e nella gestualità (appena abbozzata) quel pathos che cattura lo spettatore.
Non meno brava l’infanta di Spagna, il soprano Nicola Beller Carbone, che effettivamente sarebbe interessante ascoltare in Salome di Strauss ed il mezzosoprano Majella Cullaghi, nella parte di Ghita.
Splendida l’orchestra ben diretta da Marco Faelli e degni di nota i due (brevi) interludi sinfonici caratterizzati da ritmi di danze sinfoniche ma contenenti i principali temi dell’opera armonicamente adoperati dal compositore per indicare il mutamento psicologico dei protagonisti in ragione degli eventi.

La seconda parte della serata era dedicata alla prima opera del “Trittico” pucciniano, Il Tabarro, connotata dal tema della “morte” intesa come delitto e che, come si era anticipato, mancava dal Massimo napoletano dal 1960, ed è realmente un peccato perché si tratta di un'opera a tinte fosche di sicura efficacia sulla scena. Anche qui è noto che Puccini attinse alla realtà dei fatti, volle visitare i luoghi del dramma ed a quei luoghi la musica fa riferimento con una bellissima apertura sinfonica ove tutti gli archi disegnano il lento ed inesorabile procedere del fiume con una melodia ripetitiva, circolare, di stanca quietudine ove all’apparente serenità si cela la monotonia e la ripetitività di estenuanti giornate di lavoro. Per certi versi par di sentire il lento salmodiare della ruota che affila i coltelli nella Turandot nel suo incessante monotono implacabile lavoro di arrotare le lame che decapiteranno i malcapitati principi che affrontano gli enigmi.

La prima parte del dramma pucciniano presenta allo spettatore la varietà dei personaggi che costellano il mondo, il Talpa, il Tinca, la Frugola, emblema di quelle anonime categorie di lavoratori oggetto di studi sociali da parte di Zola; la musica è frammentaria, quasi un mosaico infranto. Ma alle parole di Giorgetta “E’ ben altro il mio sogno…” il dramma spicca il volo e la vena lirica del lucchese prende corpo in tutto il suo vigore, il dramma lirico si palesa e con esso l’amore tra Giorgetta (Amarilli Nizza) e Luigi (Antonello Palombi), in quelle poche battute sembra quasi di rivivere le pagine del capolavoro di Flaubert quando narra l’amore proibito tra Emma e Léon. La musica di Puccini non tralascia la reale motivazione dell’allontanamento tra Giorgetta e Michele: sonorità cupe anticipano il tema del cantabile di Michele nel duetto con la moglie, la morte prematura del figlioletto e la volontà della donna di distaccarsi da una vita raminga e solitaria su un anonimo barcone sulla Senna a trasportare ferro.
Puccini è straordinario con la sua lente di ingrandimento e la sua osservazione capace di rendere universale una tragedia familiare di un’anonima famiglia tra le tante che si affannano nella affaticata operosità di fine ottocento.

Tra le voci la protagonista, Amarilli Nizza nel ruolo di Giorgetta è stata indubbiamente impeccabile; meno indicata la voce di Antonello Palombi, che si è avuto modo di sentire nelle recite di Aida nel luglio 2016, cantante con un fraseggio poco centrato sul personaggio e intento vieppiù a sfoderare una (inutile) forza muscolare della voce che appariva inutilmente stentorea e robotica. Artista che, a nostro avviso, tende ad omologare ogni personaggio ad una drammaturgia vocale portata ad estreme conseguenze, talvolta urlata ed alla fine non credibile e non condivisibile nel risultato musicale. Ancora lodi all'interpretazione ed al pathos espresso dal baritono Rodolfo Giugliano dotato di un timbro morbido e suadente, incredibilmente espressivo di un personaggio enigmatico come Michele.

Pubblicato in: 
GN4 Anno IX 25 novembre 2016
Scheda
Titolo completo: 

Teatro di San Carlo - Napoli
THE GOLDEN STAGE 2015-2016
DER ZWERG (IL NANO) / IL TABARRO
in forma di concerto
Direttore | Maurizio Agostini

Giovedì 17 Novembre  2016 ore 20.00
Venerdì 18 Novembre  2016 ore 20.00

DER ZWERG (IL NANO)
Favola tragica per musica in un atto di Alexander von Zemlinsky
Libretto di Georg C. Klaren liberamente tratto da
"Il compleanno dell’Infanta" di Oscar Wilde
 
Interpreti
Donna Clara, Nicola Beller Carbone
Ghita, Majella Cullagh
Don Estoban, Thomas Gazheli
Il nano, Scott Mac Allister
Prima fanciulla, Elisabeth Breuer
Seconda fanciulla, Magdalena Renwart
Terza Fanciulla, Anna Lucia Nardi

IL TABARRO
Musica di Giacomo Puccini
Libretto di Giuseppe Adami

Interpreti

Michele, Rodolfo Giugliani
Luigi, Antonello Palombi  
Il «Tinca», Antonello Ceron
Il «Talpa», Carlo Andrea Masciadri
Giorgetta, Amarilli Nizza
La Frugola, Clarissa Leonardi
Un venditore di canzonette, Mauro Secci
 
Orchestra e Coro del Teatro di San Carlo