Theater Bonn. Dittico tra Lord Chandos e gli ulivi di Beethoven

Articolo di: 
Giuseppina Rossi
Ein Brief

Tra gli eventi musicali organizzati a Bonn per i 250 dalla nascita di Ludwig van Beethoven, desta interesse la composizione “Ein Brief” di Manfred Trojahn, tra i più apprezzati compositori tedeschi contemporanei, commissionata dal Teatro della città renana e presentata in prima esecuzione assoluta l’8 febbraio, in un programma che comprendeva l’esecuzione, già di per sé rara, dell’unico Oratorio composto da Beethoven, il Cristo sul Monte degli Ulivi (Christus am Ӧlberge), qui eseguito in una inedita versione scenica.

L’idea che sostiene l’impaginazione del programma voluto da Trojahn è infatti quella di costruire un dittico, dove la prima parte, “Ein Brief”, è una sorta di prologo – per la precisione una “scena riflessiva” (reflexive Szene) per baritono, quartetto d’archi e orchestra - composto sul testo riadattato di un celebre scritto di Hugo von Hofmannsthal, tradotto in italiano come “Lettera di Lord Chandos”. La lettera a cui si fa riferimento è quella – immaginaria -  che Lord Chandos, giovane e aristocratico scrittore inglese, indirizza nei primi anni del ‘600 a Francis Bacon, suo amico e mentore, per comunicargli, in un crescendo di dubbi angosciosi, la decisione di abbandonare la scrittura perché ormai sfiduciato verso la possibilità di esprimere i propri stati d’animo più profondi con il linguaggio; è questo l’espediente letterario che Hofmannsthal sceglie nel 1902 per affermare la necessità di una rottura rispetto ai canoni della letteratura ottocentesca e la determinazione di aprire una stagione di ricerca interiore, di introspezione, che avrebbe avuto come fulcro la figura stessa dell’artista, che si scopre come non mai, all’inizio del nuovo secolo, incompreso e fragile. È qui che Manfred Trojahn trova nella vicenda biografica beethoveniana una breccia per far dialogare due opere – la Lettera e l’Oratorio - altrimenti distanti ben più del secolo che le separa. Anche Beethoven infatti, sostiene Trojahn nell’intervista che accompagna il programma di sala, nei primi anni dell’Ottocento – la prima versione del Cristo sul Monte degli Ulivi è del 1803 – stava lottando non solo per trovare una sua “estetica”, poiché gli era ormai chiaro che non si poteva più continuare a comporre come nel secolo che si era da poco concluso nel segno di Mozart, ma anche per accettarsi e farsi accettare per quello che era: un musicista sordo, con lo spettro della solitudine che faceva capolino, ma determinato a portare a compimento la missione per la quale si sentiva destinato, portare la musica verso il futuro, per il resto dei secoli a venire.

Il sipario si apre su un proscenio spoglio dominato da un gigantesco libro attorno al quale si dipana il monologo di Lord Chandos. Trojahn costruisce per l’unico personaggio in scena una partitura di grande virtuosismo, che dà fondo a tutte le potenzialità della voce: dal declamato, alle frequenti incursioni nel registro acuto, agli slanci melodici che subito precipitano nel caos. Ottima la prova dal baritono tedesco Holger Falk dotato di grandi capacità vocali e recitative e dimostrando di essere perfettamente a suo agio nel repertorio contemporaneo, come dimostrano, non a caso, le incisioni di Paradise reloded di Peter Eӧtvӧs o dei Lieder di Rihm. L’orchestra – l’ottima Beethoven Orchestra Bonn (BOB) diretta con precisione da Dirk Kaftan - segue da presso le sprofondare del protagonista nell’abisso dell’incomunicabilità, ed è davvero grande, non solo per tensione emotiva, il richiamo alla tradizione più nobile dell’espressionismo tedesco, ad Alban Berg in particolare.

Dopo l’intervallo, solo, proprio come Lord Chandos, ritroviamo sulla scena, Cristo, sprofondato nei pensieri più cupi. L’introduzione orchestrale dell’Oratorio op. 85 di Beethoven, una delle pagine più riuscite di quest’opera giovanile forse ingiustamente dimenticata del genio di Bonn, è intensa e dolorosa, e proietta immediatamente l’ascoltatore nel tormento interiore umanissimo del Figlio di Dio – “troppo umano” come ebbe a commentare lo stesso Beethoven anni dopo.
Questo Cristo-uomo beethoveniano splendidamente interpretato dal tenore Kai Kluge diventa simbolo di una redenzione per l’umanità - e forse per l’artista stesso - che non potrà ottenersi senza sacrificio, come gli ricorda l’Angelo Serafino (il soprano Ilse Eerens) e a nulla vale lottare come Pietro (il basso Seokhoon Moon) in difesa di Gesù contro i guerrieri accorsi per condurlo al Calvario.

Ecco allora che grazie a questo dittico pensato da Manfred Trojahn, ci troviamo ad ascoltare l’Oratorio beethoveniano in una maniera affatto nuova. Non solo perché la musica è accompagnata da un’azione scenica fatta di movimenti, gesti, immagini semplici ma allo stesso tempo potenti, affidati ai dieci ballerini dello Studio Danza Folkwang di Essen diretti dalla coreografa e danzatrice Reinhild Hofmann, non a caso una dei pionieri del Teatrodanza e dell’opera d’arte totale. Non tanto, si diceva, per questa drammatizzazione visiva, pure molto efficace, ma soprattutto perché ci porta accanto a un Beethoven poco più che trentenne, che si affanna a comporre la sua prima opera vocale drammatica, non senza contraddizioni e incertezze, con un piede ben saldo nel Settecento e nello stile concertante di haydniana memoria e l’altro sospeso nel vuoto di un proprio stile tutto da cercare, ma che noi già riconosciamo fin dall’ingresso terrificante dei tromboni e del pulsare sordo dei timpani dell’Introduzione. 

Sulla scena, poco prima del coro finale degli Angeli (affidato all’ottima compagine canora “rinforzata” per l’occasione, del Teatro di Bonn diretta da marco Medved) ricompare Holger Falk: dismessi panni di Lord Chandos, legge alcuni passi del testamento di Heilegenstadt, che Beethoven scrisse nell'1802, esattamente un secolo prima della lettera di Chandos e sei mesi prima dell’Oratorio, dove, vinto dalla disperazione, per sordità confessa ai posteri di aver meditato il suicidio. “La mia arte – scrive - soltanto lei, mi ha trattenuto. Mi sembrava impossibile lasciare questo mondo prima di aver compiuto tutto quello per cui mi sentivo destinato”. Lord Chandos, Cristo, Beethoven, ciascuno nella disperazione del proprio Monte degli Ulivi troverà, chi nella dissoluzione del linguaggio, chi nella fede, chi nell’arte la propria redenzione. Ottimo successo di pubblico nel bel teatro moderno, adagiato sulle rive del Reno.

Pubblicato in: 
GN16 Anno XII 20 febbraio 2020
Scheda
Titolo completo: 

Theater Bonn - Bonn

Dall'8 febbraio fino all'11 aprile 2020
EIN BRIEF | CHRISTUS AM ÖLBERGE

EIN BRIEF
Manfred Trojahn (*1949)
A Reflective Scene
Libretto di Hugo von Hofmannsthal

CHRISTUS AM ÖLBERGE (Christ on the Mount of Olives)
Ludwig van Beethoven (1770 - 1827)
Oratorio op. 85

Sottotitoli in tedesco ed inglese

 
CAST

EIN BRIEF
Chandos Holger Falk

CHRISTUS AM ÖLBERGE
Jesus Kai Kluge
Seraph Ilse Eerens
Petrus Seokhoon Moon
Tänzerinnen und Tänzer des Folkwang Tanzstudio Baptiste Bersoux
Emily Castelli
Yi-An Chen
Stsiapan Hurski
Jihee Kim
Giuseppe Perricone
Darko Radosavljev
Narumi Saso
Mariane Verbecq
Pierandrea Rosato
Chor Chor des Theater Bonn
Extrachor Extrachor des Theater Bonn

EIN BRIEF | CHRISTUS AM ÖLBERGE
Orchester Beethoven Orchester Bonn

Direttore Dirk Kaftan
Regia, scenografia e coreografia Reinhold Hoffmann
Costumi Andrea Schmidt -Futterer
Video Frederik Werth
Luci Boris Kahnert
Drammaturgia Thomas Fiedler
Andreas K. W. Meyer
Choreinstudierung Marco Medved
Regieassistenz und Abendspielleitung Mark Daniel Hirsch
Musikalische Assistenz Hermes Helfricht
Studienleitung Pauli Jämsä
Korrepetition Pauli Jämsä
Benedict Kearns
Choreografische Assistenz Christina Theresia Comtesse
Bühnenbildassistenz Isabel Ziegler
Eunsung Yang
Kostümassistenz Frank Schönwald
Inspizienz Tilla Foljanty