Ute Lemper alla Casa del Jazz. La viaggiatrice del tempo

Articolo di: 
Giuseppina Rossi
174551757-3359d738-f7ef-4269-b24c-ea5fb82e5604.jpg

Ha per titolo Time traveler (La viaggiatrice del tempo), il tour che ha visto il ritorno a Roma a distanza di cinque anni di Ute Lemper per la rassegna I concerti del parco, nella cornice sempre splendida della Casa del Jazz, nonostante l’imperversare delle temperature tropicali fino a sera inoltrata, caratteristiche di questa bollente estate romana.

Varcata nel 2023 la soglia dei 60 anni, la raffinata e poliedrica cantante e attrice tedesca, ma newyorkese di adozione, ha intrapreso un progetto speciale – che si è tradotto in un libro autobiografico (La viaggiatrice nel tempo. Tra ieri e domani, in Italia edito da Baldini e Castoldi), in un album con canzoni inedite e da qualche mese in una tournée che la vede ripercorrere la sua lunga e straordinaria carriera in un mosaico di canzoni, memorie e aneddoti di vita privata e artistica senza mai perdere di vista ciò che accade nel mondo.

Non è un caso perciò se il viaggio di Ute Lemper davanti al pubblico romano prende le mosse da “Dona Dona” un canto yiddish per la pace, un dialogo immaginario tra il contadino e il suo vitello avviato al macello, che divenne popolare negli anni ’60 grazie alla cantautrice e attivista statunitense Joan Baez e che suona oggi come una esortazione a non arrendersi di fronte all’apparente inevitabilità delle guerre.
Subito dopo si cambia registro, il tono diventa intimo, più di una volta  la voce vellutata della Lemper accarezza la parola “Time”, tempo, e ritorna con la memoria ai ricordi dell’adolescenza in Germania e alla scoperta della vita come cambiamento, come viaggio incessante, che porta con sé la necessità del distacco e la consolazione della solitudine intesa come “completamento dell’amore”, come canta in “Solitude” brano tratto dall’album 9 Secrets (2016), basato su testi del Manoscritto ritrovato ad Accra dello scrittore brasiliano Paulo Coelho.

La serata volge quasi verso un soliloquio sussurrato come in una confessione, al pianoforte Vana Grieg – sul palcoscenico insieme a Giuseppe Bassi al contrabasso e Mimmo Campanale alla batteria – indugia su una melodia che ricorda l’incipit della sonata beethoveniana Al chiaro di luna, mentre accompagna il bellissimo e crepuscolare "Madrigal Escrito en Invierno" di Pablo Neruda. Ute Lemper non ha paura di guardare l’oscurità, quel fondo nero del maredove non esiste luce ma la musica esiste ancora”, pensiero che affida alle strofe di "The Gift", tratta dall’ultimo album, per sua stessa ammissione una delle sue canzoni più oscure e allo stesso tempo più sentite ispirata dai versi della poetessa statunitense Mary Oliver.

Guardare l’abisso e andare avanti, il viaggio della vita continua e Ute approda a Broadway dove alla fine degli anni ’90 interpreta il ruolo di Velma Kelly nel leggendario musical “Chicago” di John Kander e Fred Ebb. In omaggio a quegli anni ruggenti, la versione di "All that jazz" che Lemper regala alla platea romana è un capolavoro di autoironia quando improvvisamente cambia il testo in “All that… ibuprofen”, uno spassoso inno agli antidolorifici che la aiutarono a superare il mal di schiena che le costò eseguire per otto mesi i movimenti plastici che richiedeva la coreografia di Bob Mosse.

Lemper scivola sinuosa sul palcoscenico nel suo elegante abito nero e in un attimo dalle luci sfavillanti di Broadway ci ritroviamo nella Berlino all’epoca della Repubblica di Weimar. La cantante di Münster passa dall’inglese al tedesco, le vocali diventano più profonde e la erre rullata con grande effetto drammatico per omaggiare Kurt Weill, uno dei suoi autori da sempre prediletti, con una "Salomon-Song" e una "Ballata di Mackie Messer" dall’Opera da tre soldi (Die Dreigroschenoper, 1928) che esaltano la sua straordinaria varietà timbrica e interpretativa, passando dall’atmosfera quasi introspettiva della prima all’incredibile dinamismo spiccatamente jazzistico e ricco di improvvisazioni scat della seconda.

Passano solo pochi attimi e da Berlino siamo con Ute Lemper a Parigi negli anni ’80, la città degli chansonnier e delle icone del cinema francese – ricorda tra gli altri Simone Signoret, Yves Montand, Jean Gabin, per poi attaccare una "La vie en rose" lentissima, quasi strascicata, con voce ora roca ora graffiante che si risolve in una improvvisazione jazz di piano solo che approda senza soluzione di continuità a una vorticosa interpretazione de "Le port de Amsterdam" capolavoro di Brel.

Ma quando torna il silenzio in platea dopo questa ballata piena zeppa di vita e passione, non è ancora tempo di lasciare Parigi. Il viaggio deve proseguire, ma non ancora, non adesso. Bisogna fermarsi e trattenere il respiro - e forse anche le lacrime - perché forse mai come questa sera abbiamo ascoltato un "Avec le Temps" di Lèo Ferrè tanto intensa e straziante.   
Il tempo di ripiegare i fazzoletti e in un istante Ute Lemper riesce a cambiare ancora il mood della serata, ricordandoci le sue doti di eccellente attrice di cabaret, quando racconta la lunga telefonata che ebbe nel 1987 con Marlene Dietrich, un mito alla quale la Lemper è stata più volte paragonata. Alternando la voce profonda della Dietrich ottantasettenne alla propria di giovane artista ventiquattrenne dalle belle speranze, Ute racconta con un misto di ironia ed emozione quelle tre ore che passò attaccata alla cornetta del telefono raccogliendo le confessioni della divina Marlene.

Il viaggio volge quasi al termine, ma c’è ancora tempo per una incredibile imitazione di un assolo di tromba con sordina prima di attaccare una malinconica ma serena "September Song" che ci ricorda che l’Autunno è alle porte e che sarà impossibile non cedere il passo all’Inverno, nelle stagioni come nella vita; c’è ancora tempo di ricordare la madre, la sua bella voce di soprano e i rapporti non sempre facili, che sembra vedere riflessa tra le increspature dell’acqua del lago del Central Park di quella New York che Ute Lemper canta in "At the reservoir" e che ha scelto come sua patria adottiva.

Ora è davvero tempo di andare ma l’ultimo brano della serata è "Blowin’ in the Wind", ancora un pensiero rivolto alla pace, proprio come il canto yiddish che aveva dato avvio a questo magnifico viaggio.

Pubblicato in: 
GN37 Anno XVI 1° agosto 2024
Scheda
Titolo completo: 

UTE LEMPER
Parco di Casa del Jazz
I Concerti nel Parco
29 luglio 2024 ore 21

TIME TRAVELER
Un viaggio attraverso 45 anni di successi della vita di Ute Lemper
con Vana Gierig al pianoforte

Ute Lemper, voce
Vana Gierig, pianoforte
Giuseppe Bassi, contrabbasso
Mimmo Campanale, batteria