Accademia di Romania presenta Cioran. Il sepolcro della nascita

Articolo di: 
Livia Bidoli
Paolo Schianchi

La prima serata dell'11 luglio 2013 della rassegna teatRomania_emersioni sceniche nei giardini dell'Accademia di Romania di Roma - che prosegue fino al 14 luglio, concludendo con un noto autore, Matei Vișniec  – ha offerto un ritratto epistolare di Emil Cioran (Răşinari, 8 aprile 1911 – Parigi, 20 giugno 1995) mentre scrive al fratello Relu, lettura drammatica di Umberto Fabi, accompagnata da un fiorire di arpa e chitarra a tre aste del virtuoso Paolo Schianchi.

La terza edizione del festival italo-romeno teatROmania si è sovlta grazie alle partnership tra l'Istituto Culturale Romeno di Bucarest - il progetto è nato nel 2010 - e le due associazioni culturali, la Telluris Associati di Pontedera  e FIRI (Forum degli Intellettuali Romeni d’Italia) di Roma, in collaborazione con l’Accademia di Romania, la quale ospita la manifestazione che è ad ingresso libero.

La lettura drammatizzata si è svolta nel parterre solitamente dedicato alle mostre ed è stata di notevole spessore; Fabi ha infatti declamato brani da L'inconveniente di essere nati (De l'inconvénient d'être né, 1973, trad. di Luigia Zilli, Adelphi, Milano, 1991), scritto originalmente in francese e non in rumeno da questo flâneur trasferitosi a Parigi nel 1937. Questo “botanico del marciapiede”, come defini Baudelaire i flâneurs, vocabolo creato da lui stesso per significare la completa immersione sinestetica nella metropoli, e la conseguente raccolta di impressioni utili alla traduzione in scrittura, fu condannato dalla nascita, come vediamo dalle sue stesse parole:

Noi fuggiamo la catastrofe dalla nascita. Non si tratta tanto di combattere l'appetito di vivere, quanto il gusto della 'discendenza'. I genitori sono dei provocatori, o dei pazzi. Che l'ultimo dei malnati abbia facoltà di dare vita, di mettere al mondo, può esserci qualcosa di più demoralizzante?"

Questo sepolcro della nascita, ed uso questo assioma appositamente perché lo ritengo adeguato, mi ricorda un critico che di flâneur se ne intende, Walter Benjiamin e che ha scritto un saggio illuminante sul cosiddetto “carattere distruttivo” (un frammento del 1931, Der destruktive Charakter):

Distruggere ringiovanisce, perché toglie di mezzo le tracce della nostra età. E tale carattere distruttivo cancella, finanche, le tracce stesse della distruzione; sicché costituisce il fondamento del futuro, che per la visione messianica che caratterizza il pensiero dell'autore è il luogo dell'eventualità e dell'imprevedibilità radicale.”

Poco dopo ascoltiamo, dall'ombra di Fabi che si staglia come il Klaus Kinski di Nosferatu nel film di Werner Herzog del 1979 (remake del celebre Nosferatu diretto da Murnau nel 1922 e Max Schreck nella parte del Principe della Notte): “Il non sapere è il più potente di tutti gli dei” e che “tanto ci sconcerta chi fugge al tempo e lo elude”, proprio come quel carattere descritto da Benjamin, in grado  di eliminare il presente per fondare il nuovo. Inoltre vogliamo aggiungere che la creatura assetata di sangue ed immortale creata dalla penna di Bram Stoker nel 1897nasce come Cioran, in Transilvania.

Come non ricordarsi che Nosferatu è il Non-morto ma anche il Non-nato: da cui non può esserci progenie se non per “infezione”, come le tre vampire che tiene rinchiuse nel suo castello e che provano strenuamente a mettere al mondo bimbi, e dalle quali nascono solo aborti? È indimenticabile sia la lettura dal libro originale di Stoker (Dracula, naturalmente, e si tratta di un epistolario come quello che legge in parte stasera Fabi); sia la sequenza che riprende Herzog (ma anche Coppola nella sua versione del 1991) con i “frutti” delle tre affascinanti vampire. Come non leggervi una dichiarazione come questa di Cioran:

"Il disgusto per il lato utile della sessualità, l'orrore del procreare, fanno parte del loro rimettere in causa la Creazione: perché moltiplicare i mostri?", legata di saldo con la sua concezione dello spirito sovversivo: "Sovversivo è solo quello spirito che mette in dubbio l'obbligo d'esistere; tutti gli altri, anarchico in testa, scendono a patti con l'autorità costituita." E su queste corde  profondissime, dense di Cioran, spiccano le poche note arpeggiate da Paolo Schianchi, sulla sua chitarra a 49 corde (costruita da lui dopo un fortuito incontro con un liutaio, e Schianchi con lei andrà in tournée negli Stati Uniti). Il guanto che indossa per suonare ricorda le mani e soprattutto le unghie adunche e lunghissime di Dracula, con tre asticelle per giungere alle corde più lontane.

La vera sconfitta per Cioran è la vita, non la morte, in un'antimetafisica di cui ho approfondito i termini con Poe anni fa (L'imagery del maniero in Edgar Allan Poe), e che si struttura su assiomi tremebondi e meditabondi come questo: “Ha preso tanto il vizio alla vita da diventare inadatto alla morte”, affrancandosene proprio attraverso la scrittura, il mezzo scelto per esprimerla.

La grande sciagura è attaccarsi agli esseri”, afferma Cioran, e lo difende da questo attaccamento la sua “inettitudine ad illudersi”, determinante spietatamente nichilista che lo avvicina a Schopenhauer e Heidegger, ed in primis a Nietzsche, da cui fu influenzato come dal suo amico Ionesco, anche lui a Parigi negli stessi anni.

L'ultima rilfessione però dovrebbe essere questa, per rispettare la sua profonda volontà di essere nel non essere, vera liberazione dell'uomo attraverso l'esperienza e non la dottrina:
"Esiste in noi, più che una volontà, una tentazione di morire. Se infatti ci fosse concesso di volere la morte, chi, alla prima contrarietà, non ne approfitterebbe?"
L'unico vero filo rosso che ci fa permanere in vita è difatti l'illusione della finzione della vita: una consistenza astratta e assurda (cfr. Ionesco) che non ha nulla a che vedere con la ragione:

"Non c'è nulla che giustifichi il fatto di vivere. Dopo essersi spinti al limite di sé stessi si possono ancora invocare argomenti, cause, effetti, considerazioni morali, ecc.? Certamente no. Per vivere non restano allora che ragioni destituite di fondamento. Al culmine della disperazione, solo la passione dell'assurdo può rischiarare di una luce demoniaca il caos. Quando tutti gli ideali correnti - di ordine morale, estetico, religioso, sociale, ecc.- non sanno più imprimere alla vita una direzione né trovarvi una finalità, come salvarla ancora dal nulla? Vi si può riuscire solo aggrappandosi all'assurdo, all'inutilità assoluta, a qualcosa, cioè, che non ha alcuna consistenza, ma la cui finzione può creare un'illusione di vita". (E. M. Cioran, Il funesto demiurgo, trad. it. di Diana Grange Fiori, Milano, Adelphi, 1986).

Le note di Paolo Schianchi, influenzato sicuramente da un maestro come Steve Vai, hanno dipinto assoli che si sono divincolati agevolmente e flessuosamente sui testi di un autore così a contatto col proprio daimon (nel senso junghiano del termine, il nostro demone interiore) che nasce insieme a noi e che allo stesso tempo ci fa sussistere, in un dispiegamento continuo di tensioni tra buio e luce.

Pubblicato in: 
GN36 Anno V 16 luglio 2013
Scheda
Titolo completo: 

Accademia di Romania di Roma
teatROmania _ emersioni sceniche
DALL’ 11 AL 14 LUGLIO 2013
Direzione artistica
Letteria Giuffrè Pagano

Giovedì 11 luglio
giardini dell’Accademia
Ore 20.00: presentazione festival
Sala Esposizioni
Ore 21.00: DA QUANDO SONO AL MONDO performance-concerto su testi di Emil Cioran
con Umberto Fabi e Paolo Schianchi produzione Scenari Armonici (Parma) e Emersioni Sceniche

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