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Balanescu Quartet a Roma. Archi per i Kraftwerk
Un’unione tra elettronica e classica: il Balanescu Quartet suona i Kraftwerk nella sua particolare concezione, che per la prima volta li vide insieme a David Byrne riprodurre (con Byrne alla voce) Das Model, capolavoro ultraconosciuto della prima band elettro-industrial della scena teutonica prima della caduta del muro. Dopo Robert Fripp (14 e 15 novembre 2010 con Theo Travis), Alexander Balanescu ha occupato, col suo quartetto d’archi sopraffino, il sito sacro e profano della Chiesa Metodista di Roma il 19 maggio 2011 per un evento memorabile.
Rumeno di nascita, in realtà già nel 1969 si trovava in Israele e subito dopo al Trinity College di Londra, per finire nel 1979 a capo del Michael Nyman Ensemble e collaborando nello stesso periodo con il Gavin Bryars Ensemble. Radici minimaliste quindi e perfettamente in sincrono con i tempi, le influenze tappezzano i suoi spartiti configurandone in ogni caso una caratura a parte, la cui intima sostanza si distingue e sprigiona un’energia che coinvolge il pubblico ed è in piena sintonia con tutti i componenti del quartetto.
Con lui hanno suonato Katie Wilkinson alla viola, lo straordinario James Shenton al violino e Nick Holland al violoncello, che si appropriano di richiami à la Glass - con cui ha collaborato sia come musicista sia come compositore con un concerto per viola commissionatogli da Glass – ed il Nyman che pertugia ovunque insieme a Tiersen per la velatura più leggera e malinconica: No time before time (da Possessed, per la Mute, 1992) rintocca nel contrappunto mentre gli armonici si liricizzano. Senza soluzione di continuità il secondo violino di Shenton si occupa di cadenzare l’andamento contrappuntistico.
Il secondo brano viene dal film di Guido Chiesa Il partigiano Johnny (2000), di cui ha composto la colonna sonora: Convoy e Pursuit, l’inizio è lancinante, poi va calmandosi in un bilanciamento dovuto soprattutto al secondo violino, mentre Balanescu ha un suono denso che a tratti “taglia” i suoni. Nel brano che segue la viola fa da contrappunto al violino principale quando subito dopo si aggiungono gli altri due archi: il ritmo di danza dell’Aria (da Maria T. del 2005), più definito nell’Interludio, suggerisce una flessione verso tempi più stretti che costituiscono il climax lirico e commovente del concerto.
L’orecchiabilità di un simile concerto non lascia nulla al caso: i musicisti sono tutti in sincronico afflato e Doina propina una briosità immediata che tende sempre di più i tempi, per poi lasciare spazio alla nostalgia lenta che intona Lumintza (omonimo, del 1994) che esplode nel canto Mountain Call su temi tradizionali rumeni (gli alpini della Transilvania per quanto riguarda i canti), ricordiamo la collaborazione in proposito con Ada Milea, insieme alla quale ha dato un concerto qui a Roma nel Conservatorio di Santa Cecilia intitolato God’s Playground con lei alla voce ed alla chitarra.
The Young Conscript and the Moon è sferzante ed elegiaco nella drammaticità gemente degli archi nella coda, che è frastagliata da ritmi lenti tra andante e silenzio. I tempi dinamici e ribattuti di Robots ci introducono nell’universo roboante dei Kraftwerk, che coincide con le proiezioni di immagini sul fondo della chiesa. Il pezzo celebre dalla base ritmica ed il contrappunto melodico, su armonici acuti e ribattute del grave violoncello, vira su una Autobahn dal tessuto eccezionalmente variato, e sottotrame pizzicate tra violino e violoncello. Il violino di Shenton tira violento sull’archetto per un brano che dona una resa straordinariamente trascinante per l’ensemble ed il pubblico, che nella successiva Das Model, sugli stessi tempi, solo più allungati, fa vibrare gli archi rispetto all’originale (ricordiamo anche l'omonima punk-metal cover dei Rammstein per questo brano).
Ben tre bis sono accordati al pubblico entusiasta: Pocket Calculator, su cui il secondo violino di Shenton contrappunta, e poi entrano viola e violoncello, proseguendo con altri due brani già presentati nella prima parte della serata, per un live che riesce a trasformare i suoni degli archi in un’orchestra dai contorni desueti e vasti, come a propagarne il suono moltiplicato in un arco senza bordi, in un otto rovesciato*.
Nota * L’otto rovesciato rappresenta l’infinito.