The Blue Planet. L'effluvio cromatico del divino

Articolo di: 
Livia Bidoli
The Blue Planet

Una cascata cromatica che si accende di spiritualità in questo straordinario afflato multimediale di The Blue Planet, che Peter Greenaway con Saskia Boddeke, per la prima volta hanno creato con un’opera a tre livelli. Nessun confronto con gli esperimenti precedenti del regista.

Un oratorio multimediale è stato chiamato, grazie all’intesa tra tre grandi schermi in alto, uno gigantico al centro proprio davanti alla vasca dove Ruth e Shem, figli di Joan of Arc e Noé, danzano cercando di convincere la madre a far costruire questa seconda arca della speranza. Qui confluiranno animali di tutte le specie, elencati dal tassonomico Dio-Angelo al femminile Maria Pilar Pèrez Aspa, che viene proiettato dallo schermo centrale mentre rimprovera Noé, nel bagno con due maiali, di continuare a sporcare la terra coi suoi escrementi tossici.

Requiem laico è l’altro sottotitolo per quest’opera in cui la voce di Joan of Arc, moglie di Noè, è quella possente e profonda di Helga Davis, nello schermo in basso a destra, vicina ai suoi figli interpretati dai sensibili e plastici sia dal vivo sia sullo schermo, Hendrik Aerts e Dory Sanchez.

L’accusa principale di Joan verso Noè è quella stessa di Dio, di aver intossicato la terra coi suoi gas pestilenziali senza preoccuparsene minimamente. Questo dialogo fra Dio, che è un avatar in Second Life disegnato da Luca Lisci e Irma De Vries al video editing, e Joan che canta “Ho perduto il silenzio / Ho perduto la mia acqua pulita”, è estremamente lirico. La scelta di miscelare tre lingue, l’ironico e perentorio spagnolo di Dio, il sintetico inglese di Joan e a tratti il francese di tutti, compresi i figli che parlano le tre lingue, evoca una densità ancora più caratteristica, un melting-pot multimediale e tecnologico, oltreché omnicomprensibile (i sottotitoli sullo schermo in alto a sinistra).

La battaglia armoniosa nell’acqua dei figli, le scene sono di Annette Mosk, che convincono la madre prima ad imparare a nuotare (stile libero, rana, farfalla), è un impeto che le gigantiche proiezioni fanno fluire come un continuo alternarsi di immagini dal mondo della natura fino al consumismo della civiltà, per poi tornare di nuovo al principio cromatico che regola la terra, dove il blu è dominante.

Gli effluvi delle sottili gocce travalicano l’atmosfera, la balena dell’inizio e della fine e la pioggia che batte incessante fuori della finestra, termina solo alla fine con una riconciliazione totale con l’elemento scatenante l’inondazione: una pace con quel liquido che primariamente ci compone ed aveva dato adito alla ribellione di Joan ad un secondo tentativo di salvezza della cieca ed irresponsabile umanità. Un cantico recitato di estrema dolcezza nella stessa drammaticità e chiarezza di intenti.

Il climax vorticoso dell’acqua, attrice principale, è un fluidificarsi dei corpi di Ruth e Shem che nudi volteggiano negli schermi, l’uno a destra l’altro a sinistra, in corrispondenza sincronica. Il tappeto musicale di Goran Bregović riarrangiato dalla Brigata Sinfonica guidata da Antonio Catalfamo, sembra intervallato da almeno due tanghi di Piazzolla. Il ritmo è quindi veloce e anch’esso senza soluzione di continuità, in assolo con le immagini e le voci, compresa quella di Moni Ovadia che interpreta l’avatar di Noè.
 
La grande vasca dove finalmente non dormono cervelli come in Matrix ma danzano esseri umani vivi, fa da contraltare alla Second Life dove affiora il Dio angelico e femminile con una cascata di capelli rossi e gli occhi verdi, contraddistinto dalla voce calda e sensuale, che categorica impone a Noè di salvare il mondo costruendo l’arca. Ed ecco allora il Greenaway tassonomico e ironico che conosciamo attraverso i film: Il cuoco, il ladro, sua moglie e l’amante (The Cook the Thief His Wife & Her Lover, 1989)  oppure quello pittorico di I misteri del giardino di Compton House (The Draughtsman's Contract, 1982).

L’apporto spirituale che vibra in quest’opera si deve ad entrambi gli autori, Saskia Boddeke e Greeneaway stesso, esprimendo però un punto di vista assolutamente femminile ed in modo talmente trasparente da far pensare che forse è il regista ad aver tratto dalla moglie e partner la vocazione a questo nuovo alito rinnovatore, mentre sappiamo che le metafore più recondite sono sicuramente di sua matrice.
 
Le immagini in quest’opera immergono lo spettatore velandosi di un’acqua sostanziale, che ricorda il riflesso dell’assoluto catartico di Bill Viola di recente al Palaexpo con una mostra di video arte, dove il movimento si offusca e si duplica al rallentatore. In particolare l’installazione di apertura, che mostra un uomo colpito da una cascata d’acqua, come nel risveglio di rinascita amniotica che proviene dall’essere immersi totalmente e primariamente in un liquido, senza nessuna gravità.

Da segnalare, tra i prossimi spettacoli innovativi, la Prima mondiale a Bologna di Bothanica spettacolo di Moses Pendleton con i Momix il prossimo 10 febbraio al Teatro Europa/Auditorium e fino al 15 febbraio, ed in tournée fino al 2010.

Pubblicato in: 
GN7/ 6-20 febbraio 2009
Scheda
Autore: 
Peter Greeneway e Saskia Boddeke
Titolo completo: 

The Blue Planet
Teatro Nazionale dal 30 gennaio all'8 febbraio
Spettacolo del 4 febbraio
Scene di Annette Mosk
Costumi di Merrit Van Der Burgt
Luci di Marcello Lumaca
Second life design di Luca Lisci
Video editing di Irma De Vries
Fotografia di Luciano Romano
Interpreti
Helga Davis, Hendrik Aerts e Dory Sanchez
Voci in second life Moni Ovadia e Maria Pilar Pèrez Aspa
Musica di Goran Bregović riarrangiato dalla Brigata Sinfonica
Opera commissionata dal Teatro dell’Opera di Roma e dall’Expoagua 2008 Saragozza
Progetto di Change Performing Arts in collaborazione con Elsinor Barcelona
Produzione esecutiva CRT Artificio – Milano in collaborazione con “I Teatri” di Reggio Emilia e i Musei Civici di Reggio Emilia

Anno: 
2009
Voto: 
9
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