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Aida. Intimi lacerti in blu cobalto
L'Aida di Verdi si veste d’intimità con la regia, le scene e le luci curate da Robert Wilson, al Teatro dell’Opera dopo le Civil Wars con musiche di Philip Glass di venticinque anni fa. Sul podio Fabio Mastrangelo e alle voci Hui He, Giovanna Casolla e Salvatore Licitra.
Il blu cobalto è il topos dell’animo sia di Aida, sia di Amneris che di Radamès. Blu royal in inglese, un colore che accoglie e rivela sentori inconsuetamente sentimentali e profondi, quanto il carisma di Aida, che inaugurò l’Opera del Cairo nel 1871.
I colori traducono le emozioni in un tripudio, sullo scenario che si colora repentinamente di blu, di azzurro, di celeste, come Aida nella romanza celeste cantata da Radamès su libretto di Antonio Ghislanzoni. Sullo sfondo all’inizio un’aquila egizia ed una matita, un vigore verso l’alto ed una trama da disegnare e descrivere con parole elevate, quanto sommerse nell’intimismo assoluto di Wilson. Un regista che si immerge in Verdi e ne interpreta così compiutamente l’opera da renderla un inno spirituale: un’effrazione alla leggerezza della superficie.
All’inizio l’affiatamento tra il direttore Fabio Mastrangelo ed i cantanti sembra quasi mancare, specialmente nel cantato a tre voci tra Radamès, Aida e Amneris, per trasformarsi invece dal secondo atto in poi in un alternarsi di rimandi continui e sincronici. Ed è allora che il canto felpato si contrappone ad un gesto più ritmico e quasi marionettistico nel riprodurre la cadenza dei toni del dramma. I profili della mimica e dei costumi evidenziano lo scorrere del tempo come delle scene, percorse dal nero delle colonne che si divide e si riunisce in passaggi continui dall’esterno all’interno, inglobando le grida di dolore nel nero più assoluto.
Una specie di saetta adunca si staglia sul fondale dall’alto, allungandosi ed accorciandosi al vibrare della storia e dei lamenti sulla bocca tagliente di Amneris quando menzognera racconta della falsa morte di Radamès, mentre la bianca e corvina di capelli Hui He-Aida si strugge rivelando il suo cocente dolore.
In un ritorcersi costante di minacce alla propria vita, a quella di Radamès, a quella del padre Amonasro (Ambrogio Maestri), Aida canta con la voce calda e musicale di Hui He, e si allontana dalla scena come una danzatrice del Teatro No giapponese, a cui Wilson ed il coreografo Jonah Bokaer, si ispirano per i movimenti. Un ossessivo reiterare di piani lunghi e gesti che, come codici, indicano soltanto una parte del discorso, lasciando danzare nei luccichìi dei colori le loro passioni più impervie da delucidare.
Bob Wilson è un mago della cromatica sostanza e assembla colori complementari per evidenziare i momenti di conflitto interno più atroci: dal viola si passa al giallo repentinamente, in uno shock, per ritornare al blu ed all’indaco carichi per le drammaticità interne. I cantati meravigliosi e più affiatati lasciano spesso emergere le danze di nugoli di ballerini e danzatrici guidati da Riccardo Di Cosmo. Queste si rivelano le scene più armoniche, che accarezzano anche quando conducono alla guerra oppure all’insieme imponente del coro, quasi a tornirne le forme e a rinvigorire il cantato per edificare come una cortina di trine intorno allo stuolo egizio trionfante dopo la battaglia.
Jacques Reynaud disegna dei costumi impalpabili, che avvolgono in fasce le eroine esaltandone il minimale movimento, e rivestono di giacche tra i frac del primo Novecento e la maniche del Rinascimento, potenziando degli uomini la dimensione geometrica.
L’entourage della produzione, realizzata dal Théâtre Royal la Monnaie di Bruxelles nel 2002 e nel 2004, assieme al Royal Opera House Covent Garden di Londra nel 2005, inaugura a Roma una stagione 2009 con l’austerità formale, aiutando ad ascoltare con le emozioni febbricitanti per una musica nobile e rigogliosa, sciogliendo il ghiaccio della distanza nel fuoco di una voce che si libra come nobiltà in suono.