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GNAM. Rossetti e Burne-Jones. Il fulgore meduseo della Bellezza. Seconda parte
Nella prima parte abbiamo delineato varie raffigurazioni della Venere fatale, medusea creatura amata e rappresentata con il suo apparato simbolico dai pittori Preraffaelliti, ed anche da molti italiani che, nel complesso della mostra sono raffigurati da Previati e Sartorio soprattutto, ma anche da Adolfo De Carolis: tutta quella congerie che, - insieme alle straordinariamente redoniane pitture di Alberto Martini (epigone pittorico di Poe al quale ha dedicato molti quadri direttamente connessi con i suoi racconti terrifici) che qui non sono esposte – ci conducono tra i cespugli densi di simbolismo della mostra intitolata Dante Gabriel Rossetti Edward Burne-Jones e il mito dell’Italia nell’Inghilterra Vittoriana alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna fino al 12 giugno 2011.
Siamo scesi nel territorio insidioso dei sogni e della mitologia, dove le Belle dame sans merci ancora di Keats: “I met a lady in the meads/ Full beautiful, a faery's child; Her hair was long, her foot was light,/ And her eyes were wild” (“incontrai una dama nei prati/ molto bella, la figlia di una fata/ I suoi capelli erano lunghi, il suo passo leggero/ e i suoi occhi erano selvaggi”, trad.mia), fanno bella coppia con l’omonima tela di John William Waterhouse del 1893 (non esposta). Non possiamo ora che alzare lo sguardo verso la Venus Verticordia di Rossetti (1864-68, modella Alexa Wilding) e poi verso Proserpina (1874) e Pandora (1871) ancora del Dante inglese (per approfondire Rossetti in particolare), che hanno entrambe come modella Jane Burden Morris: tutte bellezze pericolose e fulgide. La stessa Pia dè Tolomei (1868), affranta dalla decadente tristezza di essere stata uccisa appena sposata dal marito per sposarne un’altra, non fa retrocedere lo sguardo dall’intensità che lo contraddistingue, rendendolo quasi imperioso, e che disse, nelle parole del nostro Dante (Purgatorio V, 130-136):
"Ricorditi di me, che son la Pia; Siena mi fé, disfecemi Maremma: salsi colui che 'nnanellata pria disposando m'avea con la sua gemma".
Il riferimento è al marito uccisore che, non dandole che all’ultimo la possibilità di pentirsi, l’ha condannata al purgatorio per la morte violenta che le ha procurato.
Ritornando ai sogni ed alla mitologia incontriamo la Sybilla Palmifera di Dante Gabriel Rossetti e Henry Treffry Dunn (1865-66, modella Alexa Wilding), in cui rinveniamo a destra un teschio e dall’altra parte la testa di un angelo: perfettamente simmetrici; ma anche la velenosa (oppure avvelenata, sic!) Lucrezia Borgia (1861, modella Fanny Cornforth) e, in contrapposizione, la naïveté della Nausicaa (1878) di Frederic Leighton, come anche il suo Il ritorno di Persefone 1891, siamo già calati nell’Art for Art’s Sake di Pater, l’estetismo nato intorno al 1860 e prmulgato da Wilde e Pater, della “bellezza per la bellezza”, ha trovato i suoi eccelsi epigoni. Albert Moore, Whistler, lo stesso Burne-Jones e Rossetti non dipingono che per essa e la candida Sefora di Ruskin copiata dal Botticelli nel 1874, è già stata teoricamente sorpassata e adombrata mentre risplende proprio come la descrive la Bibbia come moglie di Mosé (all'inizio della mostra).
Le stesse effigi sacre ridondano di erotismo: il San Giorgio (1897-98) di Burne-Jones, è androgino e sensuale, ha un giglio ceruleo accanto ai piedi dell’armatura, dello stesso colore del drago appena abbattuto ai suoi piedi impresso sul suo scudo in bella vista mentre la premonizione della lotta è impressa sul suo scudo. L’Annunciazione e Adorazione dei Magi (1861), in tre pannelli, espone un angelo con la pelliccia maculata e brunita, e l’oro zecchino conferisce una ricchezza ai dipinti da far rassomigliare la sacra famiglia ad una casata reale, sebbene come dimorante in un universo parallelo da cui sembrano provenire tutti i personaggi dipinti da Burne-Jones, a cominciare dalla languida ed pallida Psiche del dipinto Psiche e Pan (1872-74), ben diversa dalla curiosa Psiche di Waterhouse (1903) che aprirà la scatola d’oro per essere poi portata via con sé da Eros (una scelta di dipinti sul tema).
I nostri immancabili capolavori ispiratori dei Preraffaelliti in mostra sono del tutto ineguagliabili come nelle parole che Pater usò per Michelangelo: “una tensione dalla bellezza esteriore verso la bellezza invisibile (che) trascenda nella forma universale”. Ognuno di loro meriterebbe queste parole – una mostra e perlomeno un capitolo a parte -, tanti e grandi sono, come Giotto, Perugino, Tiziano Vecellio, Giorgione, solo per nominarne alcuni. Parlare dell’uno o dell’altro sarebbe un torto incommensurabile per l’uno o per l’altro: sono la nostra storia, ovvero, la storia universale dell’Arte. Gli Old Masters li chiamavano i Preraffaelliti, gli “antichi maestri”: un titolo che manifesta l’ammirazione indicibile per questi capolavori della loro iniziazione.
Conosciuti attraverso le cromolitografie della gloriosa Arundel Society, presenti in questa forma nella prima sala della mostra, sono loro che i pittori hanno osservato prima delle grandi acquisizioni della National Gallery di Londra, sono stati il grano con cui hanno macinato le loro creazioni. Coloro che, italiani, vennero dopo o quasi parallelamente, molto somigliano nelle fattezze e nei sogni, mitologici e non, di una cultura d’Oltremanica ma affine: Previati con La danza delle ore (1899) ed Il giorno che sveglia la notte (1905); Sartorio con le sue Vergini Savie e Stolte (trittico, 1890-93) e la sua Circe (1893-1903), ed il suo incontro tra Dante e Beatrice (1896, dove ricorre il 9, tutti i loro incontri s’erano succeduti intorno a questo numinoso numero); Le Castalidi di Adolfo De Carolis (1905). Una ricchezza di drappeggi, di tessuti, di ornamenti, le stesse foglie d’oro zecchino de Le Castalidi, abbondano come nei quadri albionici e ricordano, come nel dipinto di Sartorio dedicato alle Vergini Savie e Stolte che, se la fiammella non rimarrà accesa, si farà compagnia a Proserpina, nel buio, come ricorda l’iscrizione sul dipinto omonimo di Rossetti (1878, in alto a destra):
Lungi è la luce che in sù questo muro
Rifrange appena, un breve istante scorta
Del rio palazzo alla soprana porta:
Lungi quei fiori d'Enna, O lido oscuro,
Dal frutto tuo fatal che omai m'è duro.
Lungi quel cielo dal tartareo manto
Che qui mi cuopre: e lungi ahi lungi ahi quanto
Le notti che saràn dai dì che fùro!
Ci saluteremo nel giardino delle esperidi, al crepuscolo tanto amato dai Preraffaelliti, e tanto dipinto da William Turner, dove si ultima il nostro giro in musica: con un consiglio, di ascoltare due album di respiro medievale e favolistico, oltreché di natura squisitamente romantica, mentre osservate Andando al ballo di San Martino (1846) oppure L’arco di Costantino (1835) del paesaggista inglese: entrambi gli album sono degli Hexperos, un duo di matrice classica-medievale, con una certosina conoscenza della composizione per strumenti e voce, ed un ammirevole repertorio di influenze, da De Falla al più recente Glass.
Il primo album è The Garden of the Esperides (ed il motivo qui è più che chiaro, essendo la stella della sera ad illuminare i vespri, il crepuscolo), che si connette all’omonima tela di Burne-Jones (1870-73) ed anche alla tela dedicata alla stella, Hesperus, Evening Star (1870) da Turner; l’altro è The Veil of Queen Mab, da poco uscito (entrambi per etichetta Equilibrium), ovvero la regina albionica dei sogni (che Turner stesso ha dipinto in Queen Mab's Cave nel 1827), perché di certo non si potrà fare a meno di una cavalcata onirica dopo un simile afflato. E chioso con una delle liriche tratte dall'album The Veil of Queen Mab che si intitola El velo azul (Il velo azzurro):
The Blue Veil
Then the queen Mab, from the bottom of her chariot, made of one single pearl, took a blue, almost impalpable veil.
And that one was the veil of sweet dreams, that make life appear rose-colored.
A veil weaved out of sighs, or out of angels’ gazes, wrapped the four artists, who ceased being sad.
Il velo blu
E allora la regina Mab, dalla cima della sua carrozza, fatta di un’unica perla, prese un velo blu quasi del tutto impalpabile
E quello era il velo dei sogni incantati, che faceva sembrare la vita tinta di rosa.
Un velo intrecciato coi sospiri, e con gli sguardi attenti degli angeli, avvolse i quattro artisti, che smisero di essere tristi. (trad.mia)*
(The Veil of Queen Mab di Hexperos, Equilibrium; cfr. dalla raccolta di poesie Azul/azzurro di Ruben Dario del 1888 che contiene la poesia che dà il titolo all’album, El velo de la reina Mab).
* In originale: Entonces la reina Mab, del fondo de su carro hecho de una sola perla, tomó un velo azul, casi impalpable.Y aquel era el velo de los dulces sueños que hacen ver la vida de color de rosa.Un velo formado de suspiros, o de miradas de ángeles envolvió a los cuatro artistas que cesaron de estar tristes.