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Les Ballet Russes I seconda parte. Il cappello a tre punte e L'uccello di fuoco
La seconda parte del primo ciclo di Ballets Russes al Teatro dell'Opera di Roma dal 7 all'11 aprile 2009 presenta un excursus su due masterpieces conosciutissimi del balletto: Il cappello a tre punte su musiche di de Falla e L'uccello di fuoco musicato da Igor Stravinskij.
Il cappello a tre punte è stato rappresentato per la prima volta a Londra all’Alhambra Theatre nel 1919 e ambientato in Andalusia, con la musica di Manuel de Falla, in quel “folklore di invenzione” che lo accomuna a Kodály e Bartók, sotto la direzione del giovane Ernest Ansermet, con scene e costumi di Pablo Picasso e coreografia di Léonide Massine (Leonid Mjasin), che sostituì Nijinsky dopo la rottura con Diaghilev.
Una prima versione fu eseguita nel 1917 a Madrid in veste pantomimica e col titolo “El corregidor y la molinera”. Nei due anni successivi alla commissione di Diaghilev, il musicista ampliò l’organico orchestrale aggiungendo come danza finale la revisione della “Jota”, già inserita nelle Siete Canciones populares Espanolas (1914), ripristinando il titolo del romanzo di Alarçon da cui era tratto.
La coreografia, ben ricostruita da Susanne Della Pietra come nell’originale, per sottolineare il legame con la tradizione popolare non è sulle punte ma usa le scarpe di “carattere” con il tacco. Bravi e spiritosi i due protagonisti Igor Yebra e soprattutto Stéphanie Roublot, come anche Cyril Atanasoff che è stato un “corregidor” esilarante. L’allestimento è del Teatro dell’Opera, anche in questo caso e come in Les Sylphides, di cui ha curato anche i costumi, le scene sono state ricostruite da Maurizio Varamo, che continua magistralmente la grande tradizione scenografica italiana delle scene dipinte a mano, restituendoci così l'atmosfera magica di quelle concepite da Benois e Picasso. Bene anche i costumi di Il cappello a tre punte riproposti da Anna Biagiotti. David Coleman come direttore d’Orchestra è stato un ottimo interprete.
La musica di Igor Stravinskij è quanto di più avanguardistico e cerebrale sia apparso alle soglie del secolo. L’anno è il 1910 e L’uccello di fuoco nacque come suo primo incarico per musica da balletto. Musica, libretto e coreografie sono completamente nuove e Fokine rielabora una fiaba russa per allestirle. Nella versione odierna sono riprese da Nicolay Androsov mentre le scene ed i costumi sono ricostruiti sui bozzetti originali di Alexander Golovin e Léon Bakst da Anna ed Anatolii Nezhny.
La tenebra dell’incedere della musica al principio fa illuminare di un blu intessuto di verde il palco, ricoperto da una foresta che racchiude un castello ombroso. Nell’introduzione brilla la direzione di Coleman, che imprime la giusta coloritura cromatica ad una partitura fortemente espressionista ed epurata dall’autore stesso per la riscrittura del 1919. Si rischiara il fiato dei violini soltanto con l’apparire circospetto dell’Uccello di fuoco, la vibrante Irma Nioradze tra piume rosse e bianche, agitando le braccia come ali tornite e ondeggianti al minimo librarsi di suono nella foresta davanti all’albero di mele d’oro.
Il Palazzo del mago Kascej è difatti pericoloso, non solo per lei ma anche per il Principe Ivan, l’eccellente Mario Marozzi, che la cattura e la libera soltanto in cambio di una piuma fatata che lo salverà dalla Danza infernale dei servitori di Kascej. Al contrario di come l’ha immaginata Disney in Fantasia 2000 (l'episodio in particola ree è di Gaëtan e Paul Brizzi, qui l’Uccello è l’entità benefica che libera tutte le Principesse rinchiuse nel Palazzo del mago, dando modo ad Ivan di ricongiungersi con la sua preferita impersonata dalla valente Gaia Straccamore. Uno dei momenti clou è la rottura dell’uovo nero che è il cuore del mago (propriamente horror con tanto di scheletro impresso sulla tunica) da parte del Principe Ivan, ed il sonno profondo in cui cadono tutti gli esseri suoi schiavi soggiogati dall’Uccello di Fuoco.
Nonostante la melanconica Berceuse rimanga romantica, in questa partitura che Stravinskij ha composto a 27 anni, si notano i primi albori di quel ritmo ossessivo che primitivamente sconvolse il palco di Parigi nel 1913 con il Sacre du Printemps. La congerie stilistica del ritmo come struttura portante che erode dalla base e con druidico panico la musica del ‘900 è esplosa dirompente fra le piume scarlatte e trionfali di un finale da fiaba.