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Les Ballets Russes I prima parte. Les Sylphides, Cléopatre e Les Biches
Il centenario dei Ballets Russes coincide con il centenario della nascita del Futurismo, il 1909, e non è un caso visto che si tratta di due avanguardie, l’una nella danza, l’altra onnivora in tutte le arti. Sergej P. Diaghilev, l’inventore dei balletti “dell’avvenire” per evocare Wagner e la sua arte “totale”, discesa con l’impresario russo nella danza.
Per rievocare questa unità che approda sui palchi di Parigi ad inizio Novecento, si è deciso di adottare un solo direttore d’orchestra, l'inglese David Coleman, a lungo collaboratore di Nureyev, per tutto il ciclo di balletti che si divide in tre parti ed è partito il 7 aprile per terminare il 3 maggio.
Di questo primo escursus che va da da martedì 7 fino a sabato 11 aprile (con un giorno di sospensione per il lutto nazionale del 10 aprile per le vittime del terremoto in Abruzzo) fanno parte cinque balletti per due serate, quella del 9 e quella dell'11 aprile: Les Sylphides su musica di Chopin (9/04); Cléopâtre, musica di Arenskij (11/04); Les biches, musica di Poulenc (11/04); Il cappello a tre punte, musica di de Falla (9/04); L’uccello di fuoco, musica di Stravinskij (11/04).
Les Sylphides apre la prima parte dei Ballets Russes, un balletto che ripropone la ballerina come creatura ultraterrena e incorporea, concezione nata negli anni trenta dell’'800 con Filippo Taglioni, che nel corso del secolo era progressivamente scomparsa. Una coreografia emblematica all’inizio di un percorso rivelatosi vincente, che dalla profonda conoscenza del passato si aprì ad un radicale rinnovamento grazie all’intuito formidabile di Diaghilev che, dopo aver radunato i migliori artisti presenti nella Russia di allora, si trasferì a Parigi e rese possibile l’emergere dei giovani talenti scommettendo su di loro quando ancora non erano conosciuti.
Michel Fokine (in russo Mikhail Fokin, la trascrizione occidentale aggiunge la “e” finale), aveva proposto a Pietroburgo nel 1907 una corografia “Chopiniana” con musiche di Chopin orchestrate da Aleksandr Glazunov, che si prestavano benissimo a riproporre l’ideale della “Sylphide” (genio aereo dei boschi, femminile, dalla figura alta e snella). Il 2 giugno 1909 a Parigi al Théâtre du Châtelet con le scene ed i costumi del grande Alexander Benois (ricostruiti da Maurzio Varamo) il balletto divenne astratto, un “ballet blanc”, tiipico del romanticismo, nel quale dominano personaggi eterei e fantastici vestiti di candido tulle.
Le musiche, con l’aggiunta di alcuni Preludi e Valzer, furono orchestrate da altri musicisti: Anatolj Ljadov, Sergej Taneev e Nikolaj Sokolov a cui si aggiunse per l’orchestrazione del Valzer finale una nuova scoperta di Diaghilev, il giovane e allora sconosciuto Igor Stravinskij. L'orchestrazione che è stata eseguita è però quella di Roy Douglas. La coreografia originale è stata riproposta da Carla Fracci, che in passato l’aveva ballata apprendendola da Tamara Karsavina, una delle mitiche protagoniste della prima edizione. Non si può che sottolineare l’importanza della trasmissione diretta di un balletto da un interprete all’altro, anche ora che a differenza del passato è possibile la ripresa visiva, poiché certe sfumature possono essere colte solo nell'insegnamento diretto, L’esecuzione del balletto è stata pressoché perfetta: tutti i ballerini hanno reso mirabilmente l’incorporeità e l’atmosfera sognante e astratta. Laura Comi, Anjella Kounetsova e Massimo Garon si sono segnalati nelle parti principali il 9 aprile.
L’opera 50 di Anton Arenskij, ovvero Une Nuit d’Egypte, con tali aggiunte da divenire un pastiche creato a più mani e rievocativo di tutto l’Ottocento russo, diviene nel giugno 1909 al Théâtre du Châtelet, un balletto di nome Cléopatre, con l’ambigua e ipnotizzante Ida Rubinstein come prima balletina. La coreografia di Michel Fokine viene ricostruita da Viatcheslav Khomyakov, mentre scene e costumi di Léon Bakst sono ripresi da Anna Biagiotti.
Il balletto è dionisiaco e tragico, in un mélange scolpito nei movimenti e nelle pose tipicamente egiziani, presagendo il finale avvelenato del giovane Amun, amante per una notte di Cléopatre e poi colpito volontariamente a morte. Gli stessi capelli blu che agita Gaia Straccamore nel ruolo principale, annunciano quanto sia fluido il suo passo tra languido languore e trapasso. Amun è interpretato da Vito Mazzeo mentre Berenika da Alessia Gay. Una nota di merito per Annalisa Cianci per le sue danze attente e trascinanti.
La musica melodiosamente ed eroticamente intimistica di Francis Poulenc serve nel 1924 per una coreografia molto originale, quella di Bronislava Nijinska, sorella di Vaslav Nijinskij, ricreata per l’occasione da Howard Sayette e con le scene ed i costumi di Marie Laurencine. In Les Biches una giovane chic offre un party a casa sua che viene presto popolato da una strana figura in blu, Laura Comi, tre uomini in costume da bagno, Riccardo Di Cosmo, Giuseppe Schiavone e Francesco Sorrentino, in un clima di raffinata sensualità ammiccante.
Alessia Barberini nella parte di Nijinska è fluidamente sensuale ed è capace di esaltare la nitidezza melanconica di una stagione, gli anni ’20 e ‘30, ricordata come l’Età del Jazz dai racconti e dalla vita di Fitzgerald, a Parigi con Zelda a fare da capofila a quel nucleo cosmopolita qui squisitamente rappresentato. L’introduzione delle tre voci, due maschili ed una femminile, che modernamente s’innervano nella partitura, rimandano ad un altro episodio, questa volta cinematografico e dissonante, Improvvisamente l’estate scorsa (1959) di Joseph L. Mankiewicz su soggetto di Tennessee Williams, e sembra quasi di sorseggiare un daiquiri in una lussureggiante serra.
- Segue a breve la pubblicazione della seconda parte dell'approfondimento su Il cappello a tre punte e L'uccello di fuoco. -