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Tolosa. Variazioni e balletti spagnoleggianti in terra di Francia
Il 5 marzo scorso si è tenuto a Tolosa, presso il teatro della Halle aux Grains con l'Orchestre National du Capitole, un concerto dal sapore iberico, quasi a sottolineare l’affinità di questa città dei Midi-Pyrénées con il mondo spagnolo, distante solo un centinaio di chilometri.
In realtà il programma ha cercato di riunire l’Argentina e la Spagna, ossia il mondo latino nuovo con quello vecchio, sotto l’abile conduzione di Josep Pons, direttore catalano, in prestito per quest’occasione alla terra occitana e all’Orchestre National du Capitole, in un ponte ideale tra due tradizioni linguistiche minoritarie ma ancora molto vitali.
Il primo pezzo era costituito dalle Variazioni Concertanti dell’argentino Alberto Ginastera, opera esuberante composta nel 1953. Appartengono al periodo in cui il compositore insegnava a Buenos Aires e somigliano ad un concerto grosso in cui ciascuno dei solisti dell’orchestra è valorizzato nella sua virtuosità melodica o ritmica. Tradizione, quella della ripresa di questa forma di concerto baroccheggiante, che è stata proficuamente continuata da un altro grande compositore argentino, Luis Enríquez Bacalov, di cui è notevole proprio il Concerto grosso, originariamente concepito per un’esecuzione da parte dei Newtrolls, uno dei primi gruppi di progressive italiani.
Il materiale utilizzato è di ispirazione popolare argentina, ma i temi sono trattati alla maniera di Béla Bartók. Il pizzicato degli archi ricorda anche gli ultimi quartetti di Beethoven, con un efficace inserimento dell’arpa, suonata mirabilmente dalla giovane esecutrice.
Il secondo pezzo, Notti nei giardini di Spagna (Noches en los jardines de España) di Manuel de Falla, è in grado di dare piena esaltazione al piano solista: Javier Perianes. Proviene da una prima partitura dal titolo Notturni ed il compositore spagnolo ne cominciò la stesura a Parigi nel 1909, lo riprese nel 1911, per poi infine completarlo nel maggio 1915, durante un soggiorno a Barcellona. Il titolo finale, infatti, prende ispirazione dal ricordo della mostra di un pittore catalano, che ritraeva frequentemente scene dell'Andalusia e del popolo zigano.
De Falla ci offre queste Notti come “porte notturne assetate di profumi e di canicole”, per usare un’espressione del critico Jean-Charles Hoffélé. I tre momenti di forma libera e rapsodica sono vicini a Debussy (in particolare alla Fantaisie pour piano et orchestre, una sorta di poema sinfonico con accompagnamento di pianoforte) e a Ravel, e verranno poi ripresi nel balletto L'amore stregone (El amor brujo). La peculiarità di De Falla, che qui si avvicina anche alla poetica di Stravinskij, è l’uso del pianoforte in maniera ben diversa dalla scrittura concertante tipica del romanticismo: qui lo strumento non sviluppa un tema preciso, ma si limita a delineare delle variazioni ritmiche. Sembra quasi che le melodie pianistiche si interfaccino con l’orchestra come gli arabeschi dell’Alhambra intrecciano una geometria capricciosa con l’architettura del palazzo.
Il primo momento, Alla Generalife, evoca i giardini a terrazza della sontuosa residenza degli emiri mori di Granada, con continui crescendo. Nel secondo momento, La danza lontana, il ritmo di danza accompagna il canto fondamentale con un effetto di controtempo, ben reso dagli archi dell’orchestra. Nell’ultimo movimento, Nei giardini della Sierra di Cordoba, la festa notturna assume un sapore più marcatamente gitano, con un andamento focoso e trascinante che declina alla fine in una sorta di congedo rasserenato.
L’ultimo brano proposto è stato Il Tricorno (El sombrero de tres picos): si tratta di un balletto in due parti con Itxaro Mentxaka nel ruolo di mezzo-soprano. Commissionato a De Falla da Sergej Djaghilev, e rappresentato per la prima volta a Londra, all’Alhambra Theatre, nel 1919, con la direzione di Ernest Ansermet e con le scene e i costumi curati da Pablo Picasso.
Il Tricorno ricorda l’opera buffa ed è ispirato ad una novella di Antonio de Alarcón, incentrata sui goffi tentativi di seduzione della moglie di un mugnaio ad opera del magistrato di una piccola città andalusa. Il balletto si apre con una scansione di timpani a cui rispondono gli ottoni, subito accompagnati dalle castagnette e seguiti dal canto di un mezzosoprano che intona una filastrocca spagnola.
Un po’ come Prokofiev con Pierino e il lupo, ma con intento meno didascalico, De Falla presenta ciascuno dei personaggi del balletto associandoli a precisi strumenti (ad esempio il magistrato è annunciato da un beffardo fagotto). La musica si snoda poi allegra e incalzante, seguendo i ritmi di varie danze tradizionali, dal fandango alla seguidilla, dalla farruca alla jota, ma scanditi da un’orchestrazione sontuosa, raffinata ed elegante: sembra quasi di vedere inverate le parole di Friedrich Nietzsche sulla danza come il simbolo più alto dell’esistenza umana.