L'Officina musicale ai Concerti nel parco. Il progressive riscritto in chiave classica

Articolo di: 
Teo Orlando
Officina

Per la rassegna “Concerti nel Parco”, nella suggestiva cornice della romana Villa Doria Pamphilj, venerdì 18 luglio 2014 abbiamo assistito a un singolare concerto dell’Orchestra “Officina Musicale”, un’autentica istituzione della città abruzzese dell’Aquila, che ha riletto alcuni capolavori del rock progressive made in England e risalenti tutti al 1973, nella trascrizione del compositore inglese Mark Hamlyn.

Si tratta di un esperimento che ricorda per certi versi quello delle cover o tribute bands: certamente il loro fine essenziale è quello di rileggere in chiave classicheggiante i brani più significativi del progressive britannico degli anni ’70, stimolati a ciò anche dal fatto che l’impianto di alcuni di questi brani ricorda molto le partiture soprattutto della musica romantica ottocentesca.

I musicisti hanno tentato di reinterpretare i brani andando al di là della mera nozione di cover, e sottoponendoli a una sorta di fotografia a raggi X dell’opera, per usare un’espressione una volta adoperata da Theodor W. Adorno: si tratta di un’operazione che, non limitandosi a mostrare il mero scheletro del brano musicale per poi riprodurlo fedelmente, tenta di individuare la densità strutturale profonda del suo tessuto melodico e armonico per poi eseguirlo in modo originale.

L’Officina musicale si è accinta appunto a tale impresa, rimanendo comunque serrata nei canoni della musica classica, senza quelle fughe in avanti verso i terreni del post rock e del neoprogressive che abbiamo constatato in altre occasioni, e mantenendosi anche distante dal felice esperimento tentato con i Pink Floyd dalla pianista romana Rita Marcotulli, capace di imprimere un’autentica cifra personale alla materia musicale, controllando i punti di fuga dei solisti.

Il brano d’esordio è “After the Ordeal”, uno strumentale compreso nel disco Selling England by the Pound dei Genesis e dovuto a Steve Hackett e Mike Rutherford. Nell’originale, la prima metà era costituita da un brano eseguito a ritmo veloce da una chitarra classica, a cui faceva riscontro un maestoso accompagnamento di pianoforte, mentre la seconda metà si snodava su un ritmo più lento eseguito da una chitarra elettrica. Qui il ruolo della chitarra è assunto dai fiati e dagli archi, specialmente dal violoncello, mentre il pianoforte risulta più discreto che nell’originale, lasciando spazio alle altre componenti dell’ensemble.
Segue “The Rain Song”, la seconda traccia del quinto album dei Led Zeppelin Houses of the Holy, scritto interamente da Jimmy Page. Non è tanto una canzone nello stile Led Zeppelin, perché di andamento lento e non molto potente, e potrebbe benissimo figurare in un disco della fase folk progressive dei Jethro Tull o del folk apocalittico dei Current 93.

Nell’originale l’esordio vede due melodie di chitarra sovrapposte, la prima (che ricorda la ballad "Something" dei Beatles) affidata a una chitarra elettrica a dodici corde e l'altra a una acustica a sei corde, a cui si sovrappone un cantato quasi sussurrato di Robert Plant. Segue poi, con un deciso ammiccamento al progressive, un lungo assolo di mellotron da parte di John Paul Jones, per poi proseguire con le parti  cantate in cui la voce di Plant sale decisamente verso i consueti picchi, su cui si inseriscono gradualmente il basso e la batteria, che alla fine lasciano di nuovo le due chitarre a chiudere la canzone.

Anche in questo caso l’orchestra rilegge il brano sfruttando le diverse possibilità timbriche offerte dai vari strumenti; in particolare le parti originariamente affidate al mellotron sono prese in carico dai fiati, con il clarinetto basso che la fa da padrone.

È poi la volta di “The Rock”, strumentale tratto da Quadrophenia, l’ambiziosa opera rock degli Who. Nell’originale, scritto da Peter Townshend e con un uso inconsueto delle tastiere per il gruppo, sono concentrati vari Leitmotive tratti da altri brani dell’opera, introdotti da suoni dell’ambiente urbano e marino e di un motoscafo, che cercano di riprodurre le laceranti emozioni del protagonista dall’interiorità scissa in quattro personalità. Anche qui l’orchestra riesce a riprodurre con efficacia la magniloquenza epicheggiante del brano originale, sfruttando soprattutto la sezione dei fiati e affidando invece alla tastiera e agli archi i passaggi più delicati.

La seconda parte del concerto prevede l’esecuzione integrale e senza soluzione di continuità della riscrittura di The Dark Side of the Moon, il celeberrimo concept album dei Pink Floyd. In questo caso abbiamo senza dubbio apprezzato lo sforzo di ricondurre a una partitura più classica i brani pinkfloydiani, ma abbiamo altresì notato qualche incongruenza, derivante soprattutto dal fatto che la partitura orchestrale riproduce senza dubbio fedelmente le melodie e le armonie dei brani originali, ma sembra mancare della ricchezza dell’impasto timbrico che aveva saputo creare il quartetto di Cambridge; in realtà usando strumenti classici quest’impasto avrebbe potuto perfino venire esaltato e arricchito, ma evidentemente il compositore Hamlyn ha preferito operare una scelta minimale.

Tra i brani, di notevole impatto ci è sembrato “The Great Gig in the Sky” (in origine una sorta di “song with no words” incentrata sul tema della morte e affidata al talento vocale di Clare Torry), dove i toni medio-alti e quelli bassi dominano rispetto all’originale caratterizzato dagli acuti della vocalist.

Us and Them” vede di nuovo il predominio del violoncello, con accordi che però necessiterebbero di maggiore armonizzazione tra le varie componenti dell’orchestra. In conclusione, con “Brain Damage” assistiamo alla riscrittura del ritornello del brano originale, energico e incalzante, basato su accordi in maggiore, in cui tutti gli strumenti suonano al massimo delle loro potenzialità fino a concludere senza soluzione di continuità nell'ultima traccia dell'album, “Eclipse” (canzone che "si spegne nello stesso battito cardiaco con cui l'album si apre", Michele Mari, Rosso Floyd, Torino, Einaudi, 2010, p. 156).

Al termine del concerto, il direttore dell’ensemble, Orazio Tuccella, visibilmente emozionato, decide di concedere due bis, che però si limitano alla riproposta di alcuni dei brani già eseguiti durante il concerto. Scelta apprezzata e applaudita dal folto pubblico, anche se noi avremmo preferito che eseguissero brani inediti e non precedentemente suonati.

Pubblicato in: 
GN36 Anno VI Numero doppio 31 luglio - 7 agosto 2014
Scheda
Titolo completo: 

Officina Musicale in concerto

Roma - Villa Pamphilj ,
18 luglio 2014 ore 21.15

Scaletta:

"After the Ordeal", from Selling England by the Pound (Genesis)
"The Rain Song", from Houses of the Holy (Led Zeppelin)
"The Rock", from Quadrophenia (The Who)
The Dark Side of the Moon (Pink Floyd)

Versione di Mark Hamlyn per 17 strumenti: due violini, viola, violoncello, contrabasso, flauto, due clarinetti, clarinetto basso, sax soprano/tenore, tromba, corno, trombone, tuba, tastiere, batteria e vibrafono

Officina Musicale
Daniele Orlando, violino
Federico Cardilli, violino
Paolo Castellitto, viola
Andrea Agostinelli, violoncello
Alessandro Schillaci, contrabbasso
Giampio Mastrangelo, flauto
Gennaro Spezza, clarinetto
Fabrizio Pettorelli, clarinetto
Raffaello Giardino, clarinetto basso
Spallati Pedro, sax tenore/soprano
Alessandro Silvestro, tromba
Luigi Ginesti, corno
Piergiorgio D’aprile, trombone
Giovanni Soricone, tuba
Mark Hamlyn, tastiere
Alessandro Ricci, percussioni
Gianni Maestrucci, percussioni
Orazio Tuccella, direttore